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Albert Willem: Lo sguardo disallineato sulla nostra epoca

Pubblicato il: 30 Giugno 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

Albert Willem trasforma le nostre piccole miserie quotidiane in spettacoli colorati. Questo pittore belga autodidatta eccelle nell’arte di cogliere l’assurdità dei nostri comportamenti sociali, creando composizioni brulicanti dove l’ironia si confronta con il grottesco con una benevolenza tinta di un umorismo irresistibile.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Albert Willem non è né il salvatore della pittura contemporanea né il suo becchino, ma qualcosa di molto più interessante: un narratore impertinente che trasforma le nostre piccole miserie quotidiane in spettacoli colorati. Questo belga, autodidatta dichiarato, dipinge con la spontaneità di un bambino di dodici anni e l’occhio acuto di un sociologo amatoriale. Le sue tele sono piene di personaggi dai tratti semplificati, presi in situazioni in cui l’ironia compete con il grottesco: risse tra invitati durante un matrimonio, danze sfrenate a un funerale, conga interminabili che serpeggiano attraverso la tela come metafore della nostra condizione umana.

Willem appartiene a quella generazione di artisti che ha capito che l’arte contemporanea a volte si prende troppo sul serio. Le sue pitture acriliche, dai colori vivaci e chiari, rifiutano deliberatamente ogni ricerca di perfezione tecnica. Questo approccio richiama curiosamente le teorie di Henri Bergson sul riso [1]. Il filosofo francese spiegava che il comico nasce “dal meccanico impresso sul vivente”, una formula che sembra fatta su misura per descrivere l’universo di Willem. I suoi personaggi, dai movimenti scattosi e dalle espressioni fisse, si muovono in situazioni in cui le convenzioni sociali vanno in frantumi.

L’influenza bergsoniana va oltre la semplice meccanica del riso. Willem sembra aver intuito che l’umorismo può funzionare come rivelatore sociale. Le sue folle compatte, ereditate da Pieter Bruegel il Vecchio, che ammira apertamente, non sono mai neutre. Espongono i nostri automatismi comportamentali, i nostri riflessi gregari, quella tendenza dell’umanità a comportarsi in modo prevedibile anche nelle circostanze più straordinarie. Quando Bergson afferma che “ridiamo ogni volta che una persona ci dà l’impressione di una cosa”, Willem traduce questa osservazione in immagini. I suoi piccoli ominetti dal tratto essenziale diventano archetipi, delle “cose” che rivelano i nostri meccanismi sociali.

Questa dimensione sociologica non è mai pesante in Willem, a differenza di tanti artisti contemporanei che assillano lo spettatore con riferimenti teorici. L’artista belga procede mediante accumulo, per saturazione visiva. Le sue composizioni brulicano di dettagli aneddotici: auto della polizia perse nella mischia, cartelloni pubblicitari incongrui, personaggi secondari che vivono il proprio piccolo dramma ai margini dell’azione principale. Questo metodo richiama i lavori di Georg Simmel sulla sociologia urbana [2]. Il sociologo tedesco descriveva la modernità come un’esperienza di stimolazione permanente, in cui l’individuo deve costantemente filtrare una massa di informazioni per sopravvivere psicologicamente all’intensità della vita urbana.

Willem trasporta questa analisi nei suoi “chaos urbani”. Le sue tele come “The Boxing Match” o “The Funeral” funzionano come laboratori di osservazione sociale. Ogni personaggio conduce la propria esistenza, indifferente al dramma centrale, creando quella cacofonia visiva che caratterizza le nostre società moderne. L’artista non giudica, constata. Non denuncia, mostra. Questa neutralità benevola avvicina le sue opere allo spirito di Simmel, che rifiutava di gerarchizzare i fenomeni sociali, preferendo analizzarli nella loro complessità contraddittoria.

La tecnica rudimentale di Willem, lungi dall’essere un difetto, diventa una scelta estetica coerente. I suoi personaggi con membri disarticolati e volti schematici sfuggono alla trappola del realismo per cogliere meglio l’essenza delle situazioni che attraversano. Questa semplificazione grafica permette una lettura immediata, quasi istintiva, delle sue composizioni. Si capisce istantaneamente che scoppia una rissa, che una festa degeneri, che una cerimonia sfoci nel caos, senza bisogno di decifrare le sottigliezze psicologiche di ogni protagonista.

Questa economia di mezzi rivela una certa intelligenza artistica. Willem ha capito che la nostra epoca, saturata di immagini, richiede codici visivi semplificati per catturare l’attenzione. I suoi colori saturi e i suoi contrasti brutali funzionano come segnali nel rumore di fondo della cultura contemporanea. L’artista non cerca di competere con la sofisticazione tecnica dei suoi pari, inventa il proprio linguaggio plastico, assumendo pienamente il proprio status di outsider.

L’umorismo in Willem non è mai gratuito. Serve da griglia interpretativa per decodificare le assurdità del nostro tempo. I suoi “match di boxe” in cui tutti si prendono a pugni tranne i pugili, i suoi “funerali” trasformati in piste da ballo rivelano i disfunzionamenti dei nostri riti sociali. L’artista pratica una forma di antropologia visiva, documentando con malizia i comportamenti tribali dell’uomo del XXI secolo.

Questo approccio trova un’eco particolare nei nostri tempi segnati dai social network e dall’iperconnessione. Willem ha infatti scoperto i suoi primi collezionisti su Instagram, piattaforma che privilegia l’impatto visivo immediato sulla contemplazione prolungata. Le sue opere funzionano perfettamente in questo ambiente digitale: catturano l’occhio, provocano il sorriso, si condividono facilmente. Ma a differenza di molte produzioni destinate ai social network, resistono a un esame approfondito.

Il successo commerciale fulmineo di Willem interroga tanto quanto affascina. Le sue tele, stimate tra 11.000 e 17.000 euro, si vendono regolarmente a dieci volte la stima, raggiungendo persino 215.000 euro nel 2023 per il dipinto “The mountain air provided a pleasant atmosphere” (2020). Questo fenomeno rivela l’esistenza di una domanda per un’arte immediatamente accessibile, che rompe con l’ermetismo concettuale dominante. I collezionisti, particolarmente asiatici, sembrano aver trovato in Willem un antidoto alla solennità dell’arte contemporanea istituzionale.

Questa popolarità improvvisa non deve nascondere la coerenza del progetto artistico di Willem. L’artista sviluppa da diversi anni un universo riconoscibile, popolato da figure ricorrenti e situazioni tipo che formano progressivamente una mitologia personale. La sua serie “Everything”, composta da cento dipinti che rappresentano oggetti e scene della sua vita quotidiana, testimonia un’ambizione totalizzante che supera l’aneddoto umoristico.

Willem rivendica una discendenza da Pieter Bruegel il Vecchio, di cui adatta la visione panoramica alle realtà contemporanee. Come il suo illustre predecessore, eccelle nell’arte della composizione corale, dove ogni elemento contribuisce a un insieme più grande. Ma là dove Bruegel moralizzava sottilmente, Willem si limita a osservare con benevolenza. Il suo sguardo non condanna mai, si diverte con le contraddizioni umane senza pretendere di risolverle.

Questa posizione di osservatore distaccato conferisce alle sue opere una dimensione documentaria inattesa. Tra cento anni, gli storici potrebbero scoprirvi indizi preziosi sulla nostra epoca: i nostri codici d’abbigliamento, i nostri passatempi, le nostre angosce collettive. Willem fotografa lo spirito del tempo con i mezzi a disposizione, creando involontariamente un archivio visivo del nostro presente.

L’artista rivendica peraltro questa dimensione testimoniale. “Dipingo il XXI secolo”, dichiara semplicemente [3]. Questa ambizione documentaria, assunta senza pretese teoriche, inscrive il suo lavoro in una tradizione realista che attraversa la storia dell’arte. Da Chardin a Hopper, passando per gli impressionisti, sono numerosi gli artisti che hanno scelto di testimoniare la loro epoca piuttosto che trasfigurarla.

La tecnica di Willem, volutamente expedita, serve questa urgenza documentaria. L’artista termina i suoi dipinti in massimo quarantotto ore, privilegiando la spontaneità rispetto alla finitura. Questa rapidità di esecuzione preserva la freschezza dello sguardo, evitando che la riflessione edulcopri l’osservazione primaria. Willem dipinge come altri prendono appunti, fissando l’istante prima che svanisca.

Questo metodo di lavoro rivela anche una forma di resistenza all’industria artistica contemporanea. Rifiutando il perfezionismo tecnico, Willem sfugge ai criteri estetici dominanti. Non cerca né di sedurre i commissari di esposizione né di soddisfare le aspettative critiche. Questa indipendenza gli consente di preservare l’autenticità della sua visione, una qualità rara in un ambiente spesso formato dalle logiche di mercato.

Il percorso atipico di Willem, che ha riscoperto la pittura a 36 anni, illustra le trasformazioni del mondo artistico contemporaneo. In un’epoca in cui i percorsi accademici standardizzano le pratiche, la sua autodidattica rivendicata rappresenta un’eccezione. L’artista è sfuggito alle influenze professorali per forgiare la propria estetica, attingendo i suoi riferimenti tanto nella cultura popolare quanto nella storia dell’arte.

Questa formazione eterodossa spiega forse la singolarità del suo stile. Willem mescola senza complessi le influenze più diverse: Bruegel per la composizione, Lowry per la stilizzazione dei personaggi, Ensor per lo spirito carnevalesco. Questa sintesi eclettica, che potrebbe sembrare confusa in un artista formattato, produce in lui una coerenza sorprendente.

L’emergere di Willem coincide con un movimento più ampio di ritorno alla figurazione narrativa nell’arte contemporanea. Dopo decenni di dominio concettuale, una nuova generazione di artisti riscopre i piaceri della rappresentazione. Willem si iscrive in questa tendenza senza però rivendicare alcuna missione di restauro. Dipinge semplicemente ciò che vede, con i mezzi che domina.

Questa modestia rivendicata costituisce forse la sua principale forza. In un ambiente artistico spesso impantanato nelle proprie teorie, Willem propone un’arte direttamente leggibile, immediatamente commovente. I suoi dipinti funzionano su più livelli: spettacolo colorato per alcuni, satira sociale per altri, testimonianza antropologica per altri ancora. Questa polisemia senza pretese permette a ciascuno di proiettare le proprie interpretazioni.

Willem incarna una certa idea di arte democratica, accessibile al maggior numero senza però scadere nella facilità. Le sue opere parlano tanto all’amante dell’arte quanto al neofita, al collezionista come al semplice passante. Questa universalità del discorso, rara nell’arte contemporanea, spiega senza dubbio il suo successo tanto pubblico quanto commerciale.

L’artista belga riesce in questo colpo di forza di conciliare intrattenimento ed esigenza artistica. I suoi dipinti divertono senza demagogia, interrogano senza pedanteria, commuovono senza pathos. Questa giusta misura, difficile da raggiungere, testimonia una maturità artistica reale nonostante il carattere recente della sua pratica.

Albert Willem ci ricorda che l’arte può ancora sorprendere, divertire, emozionare senza rinunciare alla sua dimensione critica. In un panorama artistico spesso prevedibile, porta una ventata d’aria fresca, uno sguardo nuovo su realtà familiari. La sua opera dimostra che è ancora possibile inventare un linguaggio plastico originale partendo dai dati più semplici: un pennello, della pittura e soprattutto, un occhio attento allo spettacolo del mondo.


  1. Henri Bergson, Le Rire. Essai sur la signification du comique, Parigi, Félix Alcan, 1900.
  2. Georg Simmel, “Les grandes villes et la vie de l’esprit” (1903), in Philosophie de la modernité, Parigi, Payot, 1989.
  3. Albert Willem, citato in Annie Armstrong, “Meet Albert Willem, the Self-Taught Belgian Painter Whose Jokey Tableaux Are Suddenly Netting Six Figures at Auction”, Artnet News, 16 novembre 2022.
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Riferimento/i

Albert WILLEM (1979)
Nome: Albert
Cognome: WILLEM
Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Belgio

Età: 46 anni (2025)

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