Ascoltatemi bene, banda di snob. Atsushi Kaga non è un artista che si può facilmente catalogare sugli scaffali ben ordinati dell’arte contemporanea. Nato a Tokyo nel 1978, quest’uomo ha scelto l’esilio volontario in Irlanda a diciannove anni per sfuggire alle convenzioni soffocanti della sua società natale, e questa decisione fondativa irrora ancora oggi ogni tratto di pennello, ogni sguardo melanconico dei suoi personaggi antropomorfi. Il suo percorso artistico, alimentato da questa doppia appartenenza culturale nippo-irlandese, rivela un’opera di rara complessità psicologica, dove la semplicità apparente delle forme nasconde una profonda meditazione sull’identità, l’appartenenza e la condizione umana moderna.
L’universo visivo di Kaga ruota attorno a personaggi ricorrenti: Usacchi, quel coniglio dall’espressione impassibile che funziona come suo alter ego artistico, Kumacchi l’orso monco, e un menagerie di animali antropomorfi che si muovono in paesaggi fantastici tinti da una malinconia dolceamara. Queste creature, lungi dall’essere semplici prestiti alla cultura manga, costituiscono un vocabolario plastico originale che permette all’artista di esplorare i territori intimi dell’anima contemporanea. Kaga stesso descrive il suo lavoro come ponendo “domande banali a cui non ci sono risposte particolari”, una formula che riassume perfettamente l’ambizione filosofica del suo percorso.
Questa apparente semplicità formale in realtà cela una costruzione narrativa complessa, nutrita dall’esperienza dell’esilio e della sradicamento. L’Irlanda, terra d’adozione di Kaga da oltre vent’anni, ha profondamente segnato la sua sensibilità artistica. L’umorismo irlandese, questa capacità di trovare il riso nelle situazioni più cupe, impregna le sue tele di un’ironia tenera che stempera l’oscurità esistenziale dei suoi soggetti. I suoi personaggi parlano giapponese mentre bevono pinte di Guinness, incarnando questa ibridazione culturale che costituisce uno degli snodi drammatici della sua opera.
L’eredità di Samuel Beckett: l’assurdo come condizione esistenziale
L’opera di Atsushi Kaga intrattiene una parentela inquietante con l’universo di Samuel Beckett [1], quell’altro esiliato che ha fatto di Dublino la sua terra di adozione creativa. Come i protagonisti di Beckett, i personaggi di Kaga si muovono in un mondo il cui senso sembra costantemente rinviato, dove l’attesa e l’incertezza costituiscono le uniche certezze. Questa filiazione non è casuale: l’Irlanda, con la sua storia tumultuosa e la sua tradizione letteraria segnata dall’assurdo, ha profondamente influenzato la visione del mondo dell’artista giapponese.
L’influenza di Beckett si manifesta innanzitutto nella costruzione dello spazio pittorico di Kaga. I suoi paesaggi, spesso spogli e indeterminati, ricordano i non-luoghi di Aspettando Godot o di Oh, che bei giorni. In opere come “The World Will Not End Tomorrow” (2024), Usacchi si erge su un ceppo d’albero in mezzo a un paesaggio montano che evoca le distese desolate del teatro di Beckett. Questa messa in scena della solitudine esistenziale, dove il personaggio sembra aspettare un evento che non arriverà mai, traduce un’angoscia metafisica che attraversa tutta l’opera di Kaga.
Più profondamente, è nel trattamento del tempo che la parentela con Beckett diventa sorprendente. Nell’autore irlandese, il tempo non procede: ristagna, si ripete, gira in tondo. I personaggi di Kaga sembrano immersi in una temporalità simile, bloccati in istanti sospesi in cui l’azione narrativa cede il passo alla contemplazione malinconica. Questa stagnazione temporale si traduce visivamente nella ricorrenza di motivi e situazioni: Usacchi appare in contesti diversi, ma la sua postura rimane invariabilmente quella dell’attesa, dell’osservazione silenziosa di un mondo il cui senso gli sfugge.
L’umorismo costituisce un altro punto di convergenza essenziale tra i due creatori. Beckett usa un umorismo nero, amaro, che rivela l’assurdità della condizione umana. Kaga sviluppa un’ironia più dolce ma non meno efficace, mescolando riferimenti alla cultura popolare e riflessioni esistenziali. I suoi personaggi possono esprimere dubbi filosofici pur evolvendosi in situazioni banali, creando uno scostamento comico che non esclude mai la compassione. Questa modalità umoristica permette di affrontare le questioni più gravi senza cadere nel patetico, una lezione direttamente ereditata dalla tradizione irlandese incarnata da Beckett.
La lingua stessa diventa una sfida artistica per entrambi i creatori. Beckett, scrittore bilingue, ha esplorato le possibilità espressive del bilinguismo creativo. Kaga, formato al Dublin College of Art and Design, sviluppa una forma di bilinguismo visivo che mescola codici giapponesi e occidentali. I suoi personaggi parlano giapponese in un ambiente culturale irlandese, creando un’ibridazione linguistica che riflette la complessità identitaria dell’artista in esilio. Questa strategia creativa permette di esplorare le zone di incertezza identitaria generate dall’esperienza migratoria, un tema centrale della modernità artistica.
L’influenza di Beckett raggiunge il culmine nel trattamento del fallimento come materia artistica. Per Beckett, l’arte nasce dall’impossibilità di dire, dal fallimento della comunicazione. Kaga trasporta questa estetica del fallimento nel registro visivo: i suoi personaggi sono spesso rappresentati in situazioni di impotenza o smarrimento, ma è proprio questa vulnerabilità che genera l’emozione artistica. Il fallimento diventa così un modo di conoscere il mondo, un modo di affrontare la complessità del reale contemporaneo.
La malinconia secondo Dürer: l’artista di fronte alla creazione
Il riferimento alla Melencolia I di Albrecht Dürer [2] si impone naturalmente quando si osserva l’evoluzione recente dell’opera di Kaga, soprattutto dal suo trasferimento a Kyoto nel 2018. Come l’angelo pensieroso di Dürer, i personaggi dell’artista giapponese sembrano abitati da quella malinconia creatrice che caratterizza l’artista moderno di fronte ai limiti della propria arte e ai misteri dell’ispirazione.
Questa malinconia di Dürer si manifesta innanzitutto nell’iconografia stessa delle opere recenti di Kaga. In tele come “It always comes; a solace in the cat” (2021), si ritrova quell’atmosfera di raccoglimento contemplativo che pervade l’incisione di Dürer. Gli animali antropomorfi di Kaga adottano posture meditative, lo sguardo rivolto verso un orizzonte invisibile, incarnando quella malinconia produttiva che, secondo la teoria degli umori medievali, caratterizza il temperamento artistico. Questa postura non è casuale: esprime la posizione dell’artista contemporaneo di fronte all’eredità dell’arte e alle sfide della creazione moderna.
L’influenza di Melencolia I si percepisce anche nel trattamento dello spazio pittorico. Dürer organizza la sua immagine intorno a oggetti simbolici che evocano le arti e le scienze: strumenti di geometria, clessidra, bilancia. Kaga sviluppa un’iconografia personale ma non meno carica di significato: i suoi pennelli giganti, i suoi riferimenti alla cultura popolare, i suoi paesaggi simbolici costituiscono un vocabolario plastico che interroga la natura della creazione artistica contemporanea. In “Feet on the Ground, Please” (2024), una scultura in bronzo che rappresenta Usacchi che tiene un pennello smisurato, l’artista giapponese dialoga direttamente con l’eredità di Dürer: lo strumento dell’artista diventa attributo identitario, simbolo di una condizione creativa assunta.
La malinconia di Kaga si arricchisce di una dimensione autobiografica che fa eco alle preoccupazioni di Dürer. L’artista tedesco del Rinascimento esplorava nella sua incisione le tensioni tra ispirazione divina e tecnica umana, tra genio creativo e limiti materiali. Kaga trasporta queste riflessioni nel contesto contemporaneo dell’artista globalizzato: come mantenere un’autenticità creativa in un mondo dominato dall’industria culturale? Come preservare una singolarità artistica di fronte all’omogeneizzazione delle forme? Questi interrogativi traspaiono nelle sue opere recenti, dove i riferimenti alla tradizione pittorica giapponese (influenza di Jakuchu, della scuola Rinpa) si affiancano a prestiti dalla cultura popolare occidentale.
La temporalità malinconica costituisce un altro punto di convergenza tra i due artisti. In Dürer, la malinconia è legata alla consapevolezza acuta del tempo che passa, simboleggiata dalla clessidra e dalla campana. Kaga sviluppa una temporalità simile nei suoi cicli narrativi: Usacchi invecchia impercettibilmente nel corso delle opere, le stagioni si susseguono nei suoi paesaggi, ma questa evoluzione resta segnata da una forma di nostalgia che colora tutta l’opera di una patina malinconica. Questa malinconia non è paralizzante: diventa al contrario un motore creativo, un modo di abitare poeticamente il mondo.
L’aspetto tecnico della malinconia di Dürer trova anche una sua traduzione in Kaga. L’artista giapponese rivendica un approccio artigianale alla pittura, lavorando da solo nel suo atelier, privilegiando l’intimità creativa alle costrizioni della produzione industriale. Questa fedeltà alla pratica tradizionale dell’arte, in un contesto in cui molti artisti delegano l’esecuzione ad assistenti, testimonia una malinconia produttiva che fa dell’atto di dipingere un gesto di resistenza culturale. Come l’angelo di Dürer circondato dai suoi strumenti, Kaga rivendica la dimensione tecnica della sua arte, rifiutando la smaterializzazione contemporanea della creazione artistica.
L’arte come rifugio esistenziale
L’opera di Kaga rivela una concezione dell’arte come territorio di libertà in un mondo sempre più vincolato. I suoi personaggi si muovono in spazi indeterminati che sfuggono alle logiche di redditività ed efficienza che regolano le nostre società contemporanee. Questa dimensione utopica del suo lavoro assume una risonanza particolare nel momento in cui gli artisti devono costantemente giustificare l’utilità sociale della loro pratica.
L’installazione recente alla Maho Kubota Gallery di Tokyo, “While I am touching the sleeping cat, I feel as if I know you were there” (2024), illustra perfettamente questa concezione dell’arte come rifugio. L’artista vi ricostruisce uno spazio domestico giapponese tradizionale, con tatami e travi in legno naturale, creando un ambiente di intimità che contrasta con l’agitazione urbana circostante. Questa messa in scena rivela una nostalgia per l’artigianato tradizionale e i ritmi di vita preindustriali, un’aspirazione a ritrovare una temporalità umana in un mondo accelerato.
La ricorrenza del motivo del sonno nell’opera recente di Kaga (“Rest with us in Peace”, “The sleeping cat”) traduce questa ricerca di un tempo sospeso, di una pausa nel flusso incessante di informazioni e stimoli contemporanei. I suoi personaggi addormentati non fuggono dalla realtà: la sognano, la trasformano e la reinventano. Questa estetica del riposo creativo si oppone all’iperattività contemporanea e propone un’alternativa contemplativa al trambusto moderno.
L’evoluzione recente di Kaga verso una pittura più essenziale, influenzata dalla sua riscoperta dell’arte giapponese tradizionale durante l’insediamento a Kyoto, testimonia una maturazione artistica che rifiuta le facilità della seduzione immediata. Le sue tele recenti richiedono un tempo di contemplazione, una disponibilità della mente che contrasta con le logiche del consumo rapido che dominano il mercato dell’arte contemporanea. Questa esigenza estetica costituisce una forma di resistenza culturale, un’affermazione della necessità di un’arte lenta in un’epoca di velocità.
La residenza parigina presso il Centre Culturel Irlandais, dove si trova attualmente l’artista, conferma questa direzione. Lontano dalle questioni commerciali delle metropoli artistiche, Kaga sviluppa una pratica più interiorizzata, più attenta alle sottigliezze dell’emozione e della sensazione. Questa geografia dell’esilio creativo rivela una concezione dell’arte come territorio di libertà, spazio in cui l’artista può sviluppare una visione personale del mondo senza compromessi con le aspettative del mercato.
L’umorismo di Kaga, ereditato dalla tradizione irlandese, permette di affrontare queste questioni gravi senza eccessiva solennità. Le sue opere recenti mescolano gravità esistenziale e leggerezza ludica, creando un equilibrio tonale che caratterizza le grandi opere dell’arte contemporanea. Questa modalità umoristica gli consente di raggiungere un vasto pubblico senza sacrificare la complessità del suo messaggio, realizzando quella difficile sintesi tra esigenza artistica e accessibilità culturale.
La dimensione politica della sua opera resta implicita ma reale. Scegliendo di rappresentare personaggi vulnerabili in un mondo ostile, Kaga sviluppa una critica sociale che non si nomina. I suoi animali antropomorfi, confrontati con le difficoltà dell’esistenza moderna (solitudine, precarietà e disincanto per esempio), incarnano le fragilità della condizione contemporanea con un’empatia che costituisce già una forma di impegno artistico.
Questa evoluzione recente conferma la singolarità di un percorso artistico che rifiuta le facilità del successo commerciale per approfondire una ricerca personale esigente. Atsushi Kaga si afferma così come una delle voci più originali della sua generazione, capace di conciliare eredità culturale e modernità creativa in un’opera di coerenza notevole.
- Samuel Beckett, En attendant Godot, Éditions de Minuit, 1952
- Albrecht Dürer, Melencolia I, incisione su rame, 1514, conservata al Metropolitan Museum of Art, New York
















