English | Italiano

Martedì 18 Novembre

ArtCritic favicon

Cao Jun: Navigatore tra due mondi

Pubblicato il: 12 Aprile 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

Le opere di Cao Jun sono un’immersione vertiginosa in un universo dove l’inchiostro tradizionale cinese si trasforma in nebulose cosmiche, creando un dialogo sorprendente tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, tra l’Oriente ancestrale e l’Occidente contemporaneo.

Ascoltatemi bene, banda di snob, quando l’arte cinese contemporanea ci viene servita come un menu degustazione in un ristorante stellato, accuratamente dosata, politicamente accettabile ed esteticamente prevedibile, è generalmente il segno che bisogna essere diffidenti. Ma Cao Jun, questo artista nato nel 1966 a Jiangyan nella provincia del Jiangsu, è di tutt’altra pasta. Rompe le nostre aspettative con un’audacia che mi fa drizzare i peli delle braccia.

Guardate le sue tele della serie “Universo” e cercate di non sentirvi risucchiati in un vortice cosmico di blu profondi e oro fiammeggiante. Cao Jun non è il tipo che vi invita cortesemente a contemplare un paesaggio. No, vi ci getta con forza, di testa, senza salvagente. Non è un invito, è una convocazione.

L’ironia squisita di questo lavoro risiede nel modo in cui riesce a sposare la tecnica ancestrale dell’inchiostro cinese con una visione quasi allucinatoria dello spazio-tempo che avrebbe fatto gioire Stephen Hawking. Quetti schizzi d’inchiostro sembrano contenere il DNA stesso dell’universo. Dalle nebulose ai buchi neri, dalle galassie a spirale alle esplosioni di stelle, Cao Jun dipinge il cosmo non come una realtà osservata ma come un’esperienza psichedelica vissuta.

Non c’è da meravigliarsi se la sua serie “Universo” ha vinto la medaglia d’oro al Salon du Carrousel du Louvre nel 2013. I francesi hanno sempre saputo riconoscere quando qualcuno scuote le convenzioni con intelligenza piuttosto che con una provocazione gratuita. Ed è esattamente quello che fa Cao Jun.

Ma curiosamente, queste esplosioni cosmiche mi evocano tanto l’infinitamente grande quanto l’infinitamente piccolo. L’astrazione in Cao Jun ci rimanda alla filosofia taoista e a quell’idea fondamentale espressa da Lao Tseu che “il molto piccolo e il molto grande si incontrano” [1]. Nelle sue pitture come “Turning Around the Universe” o “Opening and Closing”, Cao Jun dà forma visiva alla massima taoista secondo cui “il Tao è grande, il cielo è grande, la terra è grande, e anche l’uomo è grande”, quattro grandezze che si riflettono l’una nell’altra.

Questo approccio mi fa pensare al concetto di “corrispondenze” di Baudelaire, quando scriveva ne Les Fleurs du Mal che “i profumi, i colori e i suoni si rispondono” [2]. Cao Jun stabilisce corrispondenze simili tra i microcosmi e i macrocosmi, tra il tangibile e l’etereo. Gli scivolamenti d’inchiostro sulle sue tele possono evocare tanto una vista aerea di un delta fluviale quanto una fotografia scattata dal telescopio Hubble.

La traiettoria di questo artista è tanto affascinante quanto la sua opera. Laureato in ingegneria mineraria all’Università delle Scienze e Tecnologie di Shandong nel 1989, abbandona progressivamente questa carriera già tracciata per dedicarsi all’arte. Questo percorso non convenzionale è probabilmente ciò che conferisce al suo lavoro questa qualità di osservazione scientifica unita a una libertà di espressione artistica sfrenata.

Guarda come manipola l’inchiostro nella sua serie di fiori di loto. Queste composizioni non sono solo delle belle rappresentazioni botaniche. Cao Jun disseziona il fiore di loto come un biologo analizzerebbe un campione, ma con la sensibilità di un poeta. Non è Linneo a catalogare le specie, è Rimbaud che esplora le vocali. Trovo particolarmente sorprendente il modo in cui mette a confronto la precisione quasi fotografica dei dettagli con schizzi di inchiostro che sembrano provenire da un altro mondo, come se la realtà oggettiva si dissolvesse sotto i nostri occhi.

Nel 2002, Cao Jun emigra in Nuova Zelanda e fonda una galleria ad Auckland. Questo sradicamento geografico coincide con una svolta nel suo approccio artistico. L’influenza occidentale comincia a impregnare il suo lavoro, non come una concessione a un nuovo mercato, ma come una sincera esplorazione di nuove possibilità espressive.

È qui che il suo lavoro diventa veramente appassionante per me. Comincia a trascendere le categorie facili di “arte orientale” o “arte occidentale”. Non è né una pura continuazione della tradizione cinese, né un’imitazione servile dei codici occidentali. Non è neppure una fusione superficiale che diluirebbe le due tradizioni. No, Cao Jun crea un linguaggio visivo che appartiene solo a lui.

Il suo approccio mi ricorda ciò che il filosofo François Jullien scrive sulle differenze fondamentali tra il pensiero cinese e occidentale. Jullien osserva che mentre il pensiero occidentale cerca di afferrare l’essenza delle cose, il pensiero cinese si interessa maggiormente alle trasformazioni continue [3]. Nelle opere di Cao Jun questa prospettiva è manifesta: le sue composizioni non fissano una realtà stabile ma catturano stati transitori, mutazioni, passaggi.

Prendete la sua serie “Nuovo stile Song”, in cui si ispira alla pittura della dinastia Song (960-1279) infondendole una sensibilità contemporanea. Non è una semplice riproduzione nostalgica, ma una reinterpretazione vitale che fa dialogare i secoli. I paesaggi montani tradizionali si trasformano in visioni semi-astratte dove il tempo stesso sembra sospeso. “I tempi antichi e nuovi coesistono”, come scrive il critico d’arte cinese Shang Hui riguardo al suo lavoro [4].

Ciò che trovo particolarmente stimolante è il modo in cui Cao Jun usa il colore. Mentre la tradizione cinese privilegia spesso le variazioni sottili del nero, Cao Jun non esita a impiegare blu elettrici, rossi sangue e dorati fiammanti. Questo cromatismo audace non è gratuito ma serve la sua visione cosmica. Il suo blu distintivo, letteralmente chiamato “blu Cao Jun”, è diventato il suo marchio di fabbrica, tanto da essere commercializzato da un’azienda occidentale di materiali artistici. È un blu che evoca tanto le profondità oceaniche quanto le vastità celesti.

Questa palette richiama le sperimentazioni di Vassily Kandinsky, che cercava di esplorare le proprietà spirituali ed emotive dei colori [5]. Cao Jun condivide questa convinzione che il colore non sia semplicemente decorativo ma possieda una dimensione metafisica. Il suo blu non è solo blu, è una porta verso altre dimensioni della coscienza.

Nelle sue opere più recenti, Cao Jun integra materiali come la foglia d’oro, creando superfici che cambiano a seconda dell’angolo di visuale e della luce. Queste opere diventano quasi interattive, invitando lo spettatore a muoversi per cogliere tutte le sfumature. Questa qualità cinetica aggiunge una dimensione temporale al suo lavoro, una quarta dimensione che trascende la superficie bidimensionale.

Ma non fraintendetemi, Cao Jun non è solo un tecnico virtuoso o un giocoliere di stili. Dietro la bellezza formale si nasconde un’interrogazione profonda sul nostro posto nell’universo. I suoi paesaggi cosmici ci mettono di fronte alla nostra insignificanza di fronte all’immensità del cosmo, ricordandoci contemporaneamente che siamo fatti della stessa materia delle stelle.

Questa tensione tra infinito e finito, tra effimero ed eterno, attraversa tutta la sua opera. Mi ricorda ciò che il filosofo Emil Cioran scriveva in “La caduta nel tempo”: “Oscilliamo tra un abisso e un altro, tra due infiniti ugualmente ostili” [6]. I vortici di inchiostro e colore di Cao Jun sembrano visualizzare questa vertiginosa oscillazione.

Ma attenzione, se parlo di filosofia e cosmologia, non è per intellettualizzare eccessivamente un lavoro che funziona soprattutto a livello viscerale. Cao Jun non è un illustratore di idee astratte. Le sue opere colpiscono prima lo stomaco e poi risalgono al cervello. Sono sensuali, tattili, quasi carnali nella loro materialità.

Forse è proprio qui che risiede il suo più grande colpo di genio: riconciliare il sensibile e l’intelligibile, il corpo e la mente, in un unico gesto artistico. In un mondo dell’arte contemporanea in cui spesso si ha la sensazione di dover scegliere tra una bellezza vuota di senso e una concettualità arida, Cao Jun ci ricorda che è possibile pensare con i sensi e sentire con l’intelletto.

La sua formazione iniziale in ingegneria gli ha dato una comprensione intima dei materiali, della loro composizione chimica e delle loro proprietà fisiche. Affronta la pittura con la precisione di uno scienziato e la libertà di un poeta. Questa dualità è particolarmente evidente nel suo modo di manipolare i pigmenti minerali, di cui sfrutta le reazioni imprevedibili con l’acqua e l’inchiostro.

Si potrebbe vedere in questo approccio una metafora della sua posizione all’incrocio delle culture. Né completamente cinese nella sua pratica, né occidentalizzato nella sua visione, Cao Jun occupa questo spazio fecondo dell’entre-deux, dove le apparenti contraddizioni si dissolvono per lasciare il posto a una nuova sintesi.

Questa posizione mi fa pensare alla nozione di “terzo spazio” teorizzata da Homi Bhabha, quello spazio liminale che non è né l’uno né l’altro, ma qualcosa di nuovo e ibrido [7]. Le opere di Cao Jun incarnano perfettamente questo “terzo spazio” culturale ed estetico, in cui le tradizioni dialogano senza diluirsi.

Il suo percorso geografico, dalla Cina alla Nuova Zelanda e poi agli Stati Uniti, riflette questa traiettoria artistica. È un artista nomade, non solo fisicamente ma anche intellettualmente e spiritualmente. Attraversa le frontiere come i suoi inchiostri attraversano la carta, con fluidità e determinazione.

Nel 2018, il McMullen Museum of Art di Boston ha dedicato una grande mostra al suo lavoro, intitolata “Cao Jun: Inni alla Natura”. Questo titolo è rivelatore. Nonostante tutta la sua sofisticazione tecnica e concettuale, l’arte di Cao Jun rimane fondamentalmente un inno alla natura, non la natura addomesticata e pittoresca delle cartoline, ma la natura nella sua dimensione cosmica, misteriosa e talvolta terrificante.

Questa mostra, curata dal filosofo John Sallis e dalla storica dell’arte Nancy Netzer, ha messo in luce la dimensione filosofica del suo lavoro. Come scrive Sallis, “le opere di Cao Jun sono una meditazione visiva sulla relazione tra l’umano e il cosmo” [8]. Questa meditazione non è astratta ma incarnata nella materia stessa della pittura.

In un mondo dell’arte contemporanea spesso cinico e autoreferenziale, l’opera di Cao Jun offre una boccata di aria fresca, o meglio, un’immersione nelle profondità oceaniche e celesti. Ci ricorda che l’arte può ancora meravigliarci, disorientarci e riconnetterci a qualcosa di più grande di noi.

Quindi la prossima volta che incontrerete un’opera di Cao Jun, non limitatevi ad ammirarla cortesemente come un bel oggetto decorativo. Lasciatevi sommergere dalle sue onde di inchiostro, perdetevi nei suoi blu cosmici e forse, solo forse, sentirete quel brivido metafisico che solo la grande arte può provocare.


  1. Lao Tseu, “Tao Te King”, traduzione di Liou Kia-hway, Gallimard, 1967.
  2. Charles Baudelaire, “I Fiori del Male”, poema “Corrispondenze”, 1857.
  3. François Jullien, “Processo o creazione. Un’introduzione al pensiero degli studiosi cinesi”, Seuil, 1989.
  4. Shang Hui, “Cao Jun: Alla ricerca del senso filosofico profondo nella creazione della pittura a inchiostro”, Journal de la Culture Chinoise, 2024.
  5. Vassily Kandinsky, “Lo spirituale nell’arte e nella pittura in particolare”, Denoël, 1954.
  6. Emil Cioran, “La Caduta nel tempo”, Gallimard, 1964.
  7. Homi K. Bhabha, “I luoghi della cultura. Una teoria postcoloniale”, Payot, 2007.
  8. John Sallis, “Cao Jun: Inni alla natura”, catalogo della mostra, McMullen Museum of Art, Boston College, 2018.
Was this helpful?
0/400

Riferimento/i

CAO Jun (1966)
Nome: Jun
Cognome: CAO
Altri nome/i:

  • 曹俊 (Cinese semplificato)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Cina

Età: 59 anni (2025)

Seguimi