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Martedì 18 Novembre

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Chen Yifei: Il maestro del realismo romantico cinese

Pubblicato il: 10 Dicembre 2024

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 7 minuti

Chen Yifei (陈逸飞) trasforma la pittura a olio cinese in una sinfonia visiva dove il realismo socialista danza con il romanticismo occidentale. La sua straordinaria tecnica e visione unica creano un nuovo vocabolario artistico che trascende i confini culturali.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Vi parlerò di un artista che ha fatto tremare le fondamenta stesse dell’arte cinese contemporanea, Chen Yifei (1946-2005). Sì, proprio quel Chen che ha osato sfidare le convenzioni con un’audacia che farebbe impallidire Courbet. E non venitemi a dire che lo conoscevate già, so perfettamente che fate finta di annuire con aria compiaciuta durante i vostri vernissage parigini, tra un calice di champagne tiepido e tre piccoli pasticcini secchi.

Lasciate che vi racconti la storia di un uomo che ha saputo trasformare la pittura a olio cinese in una sinfonia visiva in cui il realismo socialista danza un tango sfrenato con il romanticismo occidentale. Un artista che ha avuto l’intelligenza di capire che l’arte non è solo una questione di tecnica, ma anche di visione. E che visione! Quella di un creatore che ha saputo navigare tra le acque torbide della Rivoluzione culturale e le correnti tumultuose del mercato artistico occidentale con la grazia di un funambolo che cammina su un filo di seta.

Voi che trascorrete le vostre giornate a dibattere sulla pertinenza dell’arte contemporanea nelle vostre gallerie asettiche, lasciate che vi spieghi perché Chen Yifei merita la vostra attenzione. Non che abbia bisogno della vostra convalida, la storia dell’arte se ne occuperà benissimo da sola, ma perché capire la sua opera significa comprendere come l’arte possa trascendere le frontiere culturali senza perdere la propria anima.

Nella prima parte della sua carriera, Chen si è imposto come il maestro indiscusso del realismo eroico. La sua opera “Eulogy of the Yellow River” (1972) non è solo un semplice dipinto, è una manifestazione magistrale di ciò che Hegel chiamava “lo spirito del tempo” (Zeitgeist). E no, non sto tirando in ballo Hegel per fare il furbo, anche se funziona piuttosto bene, ammettetelo. Chen ha compiuto l’impossibile: incarnare in un unico quadro la tensione dialettica tra l’individuo e la Storia con la S maiuscola. Il soldato solitario che contempla il Fiume Giallo non è solo una figura eroica, è l’incarnazione stessa di ciò che Hegel definiva come la coscienza storica in azione. La composizione monumentale, i colori intensi, la luce drammatica, tutto converge per creare ciò che Walter Benjamin avrebbe definito un'”immagine dialettica”, un momento in cui passato e presente si sovrappongono in una fulgida rivelazione.

Questo periodo iniziale della sua carriera è segnato da una padronanza tecnica che farebbe piangere di invidia i vostri piccoli protetti concettuali. Prendete “Looking at History from My Space” (1979), e no, non è un’installazione Instagram ante litteram. Quest’opera rappresenta una svolta importante nella sua carriera, un momento in cui l’artista osa posizionarsi egli stesso nel flusso della storia, creando un mise en abyme vertiginoso che avrebbe fatto girare la testa persino a Velázquez. Chen si dipinge mentre contempla un affresco storico, creando così un dialogo tra il personale e il collettivo, tra l’intimo e il politico. È ciò che Michel Foucault avrebbe chiamato un'”eterotopia pittorica”, uno spazio dove i diversi strati della realtà si sovrappongono e si interpenetrano.

Ma aspettate, non è finita qui. La vera rivoluzione artistica di Chen arriva negli anni ’90, quando sviluppa quello che io chiamo il suo “realismo romantico trascendentale”. Sì, lo so, amate questi termini pomposi che potrete riutilizzare ai vostri prossimi cenoni mondani tra una discussione sul recente premio Turner e una critica aspra della Biennale di Venezia. Prendete il suo capolavoro “Beauties on Promenade” (1997). Questo quadro non è solo una semplice rappresentazione di donne eleganti, è una meditazione profonda su ciò che Baudelaire chiamava “la modernità”. Chen realizza qui un’impresa concettuale: usa i codici del realismo accademico occidentale per celebrare l’essenza stessa della femminilità cinese tradizionale.

La maestria tecnica di Chen è assolutamente stupefacente. Le sue pennellate sono precise come un’equazione di fisica quantistica, ma qui non risiede la sua vera forza. No, ciò che fa di Chen un gigante dell’arte contemporanea è che crea quella che io chiamo un'”estetica della trascendenza culturale”. Nei suoi ritratti di musiciste tradizionali cinesi, come in “Banquet” (1991), non si limita a dipingere donne che suonano strumenti. Crea uno spazio pittorico in cui la tradizione cinese e la modernità occidentale si incontrano in una danza sensuale che avrebbe fatto arrossire Matisse.

I suoi paesaggi di Venezia e di Zhouzhuang non sono semplici esercizi di stile pittoresco. No, sono meditazioni visive sulla natura stessa del tempo e della memoria. L’acqua, onnipresente in queste opere, non è solo un elemento decorativo. È uno specchio filosofico che riflette la tensione permanente tra tradizione e modernità, tra Oriente e Occidente. Chen usa la superficie riflettente dell’acqua come Narciso usava il suo riflesso: per esplorare le profondità dell’identità culturale.

Prendete la sua serie sul Tibet. Queste opere non sono semplici reportage etnografici per turisti in cerca di esotismo. Sono esplorazioni profonde di cosa significhi essere umani di fronte all’immensità del mondo. In “Wind of Mountain Village” (1994), Chen non si limita a dipingere contadini tibetani. Crea una vera meditazione visiva sulla relazione tra l’uomo e il suo ambiente, tra lo spirituale e il materiale. È esattamente ciò che Martin Heidegger intendeva con “abitare poeticamente il mondo”, solo che Chen lo fa con una sensibilità che trascende i limiti della filosofia occidentale.

I critici superficiali, e voi sapete chi siete, hanno spesso accusato Chen di eccessiva commercializzazione negli ultimi anni della sua vita. Che cecità intellettuale! La sua espansione nella moda, nel cinema e nel design non era un tradimento dei suoi ideali artistici, ma la loro naturale estensione nel mondo contemporaneo. Quando nel 1998 crea il suo marchio di moda Layefe, non è per opportunismo commerciale, ma per il desiderio di estendere la sua esplorazione estetica alla vita quotidiana. Questo è ciò che i situazionisti chiamavano “la rivoluzione della vita quotidiana”, solo che Chen lo fa senza il loro pessimismo culturale.

In “Beauty with Fan” (1996), Chen raggiunge quello che chiamo il “punto di fusione estetica”, dove la tecnica occidentale e la sensibilità orientale si fondono in una nuova forma di espressione artistica. La donna dal volto malinconico che tiene il ventaglio non è semplicemente un soggetto pittorico, è una metafora vivente della condizione dell’artista contemporaneo, preso tra tradizione e modernità, tra Est e Ovest. Il ventaglio stesso diventa un simbolo potente di questa dualità: un oggetto tradizionale cinese trattato con una tecnica pittorica occidentale.

La sua padronanza della luce è assolutamente stupefacente. In “Lingering Melodies at Xunyang”, utilizza la luce non come un semplice effetto drammatico, ma come uno strumento filosofico per esplorare ciò che Heidegger chiamava “la radura dell’essere”. Le zone d’ombra e di luce non sono semplici effetti pittorici, ma manifestazioni visive della tensione tra il visibile e l’invisibile, tra il detto e il non detto. È particolarmente evidente nei suoi ritratti di musiciste, dove la luce sembra emanare dai soggetti stessi, creando un’atmosfera che ricorda tanto Vermeer quanto i maestri della pittura tradizionale cinese.

Vedete queste tonalità scure, queste ombre profonde che caratterizzano il suo stile? Non è un semplice effetto drammatico. È una manifestazione visiva di ciò che Theodor Adorno chiamava la “negatività dialettica”. Chen utilizza l’oscurità non come assenza di luce, ma come una presenza positiva che struttura lo spazio pittorico. È particolarmente evidente nelle sue scene d’interni, dove l’ombra diventa un personaggio a sé stante, dialogando con la luce in una danza sottile che rivela tanto quanto nasconde.

Nelle sue ultime opere, Chen spinge ancora più lontano questa esplorazione della luce e dell’ombra. “Soirée” diventa così uno studio magistrale su come la luce possa trasformare l’ordinario in straordinario. I musicisti emergono dall’oscurità come apparizioni, i loro strumenti brillano di uno splendore quasi soprannaturale. È ciò che Gaston Bachelard avrebbe chiamato una “poetica della luce”, dove ogni raggio diventa una metafora della rivelazione artistica.

L’influenza di Chen sull’arte contemporanea cinese è paragonabile a quella di Picasso sull’arte occidentale del XX secolo. Ha dimostrato che è possibile creare un’arte che sia allo stesso tempo profondamente cinese e universalmente accessibile. Un’arte che non si limita a riprodurre le forme del passato, ma che le reinventa per il nostro tempo. La sua eredità non è solo artistica, è filosofica: ci mostra che la vera arte non conosce confini, siano essi geografici, culturali o commerciali.

La tragedia è che Chen ci ha lasciati troppo presto, nel 2005, mentre lavorava al suo film “Barber”. Ma la sua eredità rimane viva, pulsante come il cuore stesso dell’arte contemporanea cinese. Ci ha dimostrato che è possibile creare un’arte che sia profondamente radicata nella propria cultura d’origine e risolutamente rivolta al futuro. Un’arte che non si limita a superare le frontiere culturali, ma le trascende per creare qualcosa di veramente nuovo.

Se dovessi ricordare una sola cosa di Chen Yifei, è la sua capacità di trasformare la pittura in un linguaggio universale che trascende le barriere culturali. Non ha semplicemente dipinto quadri, ha creato un nuovo vocabolario visivo che continua a influenzare gli artisti di oggi. E la prossima volta che incontrerai uno di quei pseudo-intellettuali che pretendono che l’arte contemporanea debba necessariamente essere incomprensibile per essere profonda, mostra loro un’opera di Chen. Questo gli chiuderà la bocca e, con un po’ di fortuna, gli aprirà gli occhi.

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Riferimento/i

CHEN Yifei (1946-2005)
Nome: Yifei
Cognome: CHEN
Altri nome/i:

  • 陈逸飞 (Cinese semplificato)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Cina

Età: 59 anni (2005)

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