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Chris Huen Sin Kan: memoria e percezione pittorica

Pubblicato il: 23 Maggio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 11 minuti

Chris Huen Sin Kan sviluppa un approccio pittorico che interroga il nostro rapporto con la percezione e la memoria. Dipingendo esclusivamente di memoria la sua vita familiare londinese, questo artista di Hong Kong trasforma l’ordinario domestico in una profonda meditazione sull’essenza stessa dello sguardo e dell’esperienza umana.

Ascoltatemi bene, banda di snob, c’è nell’arte contemporanea un fenomeno che merita un’attenta riflessione, al di là degli effetti di moda e delle speculazioni commerciali. Chris Huen Sin Kan, pittore hongkonghese stabilito a Londra dal 2021, sviluppa un approccio pittorico che interroga con notevole acutezza il nostro rapporto con la percezione e la memoria. Nato nel 1991, quest’uomo dalle maniere gentili e dalla riflessione profonda ha saputo costruire un universo artistico di rara coerenza, dove i momenti più banali dell’esistenza familiare diventano vettori di una meditazione sull’essenza stessa dello sguardo.

Il suo lavoro, lontano dal compiacersi nell’aneddotico, rivela un’intelligenza plastica che affonda le radici in una doppia tradizione: quella della pittura a olio occidentale e quella dell’inchiostro cinese. Questa sintesi non è un semplice esercizio di stile, ma procede da una necessità interiore che si esprime in tele di grande formato dove si muovono, in un presente eterno, sua moglie Haze, i suoi figli Joel e Tess e i loro tre cani dai nomi gustosi: Balltsz, MuiMui e Doodood. Questi personaggi ricorrenti non sono soggetti di un narcisismo familiare beatificante, ma attori di un’esplorazione sistematica di quella che lui stesso chiama “l’esperienza del vedere”.

Questa ricerca trova un’eco particolarmente profonda nell’opera di Jerzy Kosiński, scrittore polacco-americano la cui formula lapidaria risuona come un manifesto estetico: “I principi della vera arte non sono dipingere, ma evocare” [1]. Questa frase, citata dallo stesso Huen Sin Kan nelle sue interviste, illumina con nuova luce il suo percorso pittorico. L’artista non cerca di riprodurre fedelmente le scene della sua vita domestica, ma di far emergere, mediante la magia del suo pennello, quella qualità particolare dell’attenzione che trasforma l’ordinario in straordinario. Come Kosiński nei suoi romanzi, Huen Sin Kan lavora sugli interstizi, su quei momenti sospesi in cui la realtà diventa porosa e permette l’emergere di una verità più profonda.

La letteratura di Kosiński, segnata dall’esperienza della guerra e dell’esilio, esplora i meccanismi della percezione e della memoria con un’acume chirurgico. In “Being There” o “The Painted Bird”, rivela come la nostra comprensione del mondo passi attraverso una serie di filtri soggettivi che deformano e ricostruiscono continuamente la realtà. Questo approccio trova un parallelo impressionante nel metodo di Huen Sin Kan, che dipinge esclusivamente di memoria, rifiutando ogni ricorso alla fotografia o al disegno preparatorio. Questa pratica, lungi dall’essere aneddotica, costituisce il cuore stesso della sua ricerca artistica.

Quando Huen Sin Kan parla della sua tecnica, si riferisce a “strati di immagini memorizzate” che si depositano sulla tela come sedimenti temporali. Questa metafora geologica rivela una concezione del tempo che sfugge alla cronologia lineare per stabilirsi in quella che i filosofi chiamano la durata pura. I suoi dipinti non raccontano storie, creano atmosfere, climi emotivi dove lo spettatore può attingere secondo le proprie risonanze interiori. Questo approccio assomiglia a ciò che Kosiński chiama “l’arte della pausa”, quella capacità di sospendere il flusso temporale per permettere l’emergere del significato.

La tecnica pittorica di Huen Sin Kan partecipa pienamente a questa estetica dell’evocazione. La sua pittura a olio, diluita con trementina fino a prendere la fluidità dell’acquerello, crea effetti di trasparenza e sovrapposizione che conferiscono alle sue tele quella qualità vaporosa così caratteristica. Le impastature si diradano, i contorni si dissolvono, ed è in questa economia di mezzi che nasce la magia. I suoi personaggi emergono da sfondi colorati come apparizioni, le loro silhouette si staccano a malapena dal caos vegetale che li circonda. Questa tecnica, ereditata dalla tradizione dell’inchiostro di Cina, privilegia la suggestione sulla descrizione, l’essenza sull’apparenza.

Kosiński, nelle sue riflessioni sull’arte, insiste sull’importanza di quella che chiama “la relazione creativa tra osservatore e osservato”. Questo dialettico trova nell’opera di Huen Sin Kan una traduzione plastica di una precisione impressionante. I suoi dipinti non sono mai istantanee congelate, ma condensati di esperienza dove si mescolano più temporalità. Una stessa tela può così sovrapporre il ricordo di una passeggiata mattutina a quello di un pisolino pomeridiano, creando una geometria temporale complessa che sfugge alle leggi della prospettiva classica.

Questo approccio alla temporalità trova un prolungamento teorico particolarmente illuminante nei lavori di Donald Winnicott sullo spazio transizionale [2]. Lo psicoanalista britannico, contemporaneo di Kosiński, ha sviluppato una teoria della creatività che risuona in modo sorprendente con la pratica artistica di Huen Sin Kan. Per Winnicott, lo spazio transizionale costituisce quella zona intermedia tra la realtà interiore e la realtà esteriore, quello spazio paradossale dove l’individuo può creare senza costrizione pur rimanendo in relazione con il mondo. Questa nozione illumina sotto una nuova luce l’approccio dell’artista hongkonghese.

Nei suoi dipinti, Huen Sin Kan crea effettivamente uno spazio transizionale dove i suoi ricordi familiari diventano oggetti transizionali nel senso winnicottiano del termine. Quei cani che corrono in giardini improbabili, quei bambini che giocano in scenari dove si mescolano interno ed esterno, quelle donne che si riposano in paesaggi ibridi, tutti questi elementi funzionano come “peluche” pittorici che permettono all’artista e allo spettatore di negoziare il loro rapporto con la realtà. L’oggetto transizionale, secondo Winnicott, non è né puramente soggettivo né totalmente oggettivo: esiste in quel mezzo tra-i-due che il bambino investe della propria creatività per domare il mondo.

Questa dimensione transizionale spiega in parte il carattere rasserenante dell’opera di Huen Sin Kan. Le sue tele funzionano come spazi di riposo psichico dove le tensioni tra dentro e fuori, tra io e non-io, tra passato e presente, trovano una forma di risoluzione temporanea. L’artista stesso evoca questa funzione consolatoria del suo lavoro quando spiega di voler “comunicare l’ordinario della vita” per offrire ai suoi contemporanei un contrappunto all’agitazione del mondo moderno.

Winnicott insiste sul fatto che lo spazio transizionale si costituisce solo in relazione a un sentimento di fiducia fondamentale, questa capacità di sentirsi al sicuro nell’esplorazione creativa. Questa dimensione si ritrova in modo sorprendente nell’universo familiare che Huen Sin Kan sviluppa nei suoi dipinti. I suoi personaggi evolvono in un mondo protetto, al riparo dalle turbolenze storiche e sociali, in questa bolla domestica che l’artista rivendica come suo territorio di indagine. Questa limitazione volontaria del campo d’osservazione, lontana dall’essere una fuga, costituisce una strategia artistica deliberata che permette l’approfondimento della ricerca.

L’influenza di Winnicott si avverte anche nella concezione stessa che Huen Sin Kan ha della creatività. Per lo psicoanalista, la creatività primaria precede ogni forma di adattamento alla realtà: è lei che permette al bambino di “creare” il seno materno nel momento stesso in cui lo trova. Questa creatività fondamentale, che non ha nulla a che vedere con la produzione di opere d’arte, costituisce la base stessa del sentimento di esistere in modo autentico. Huen Sin Kan sembra aver interiorizzato questa lezione quando afferma che “l’essenza dell’esistenza non dovrebbe essere costruita né limitata dalle convenzioni che derivano da una cognizione collettiva”.

Questa filosofia della creazione trova la sua traduzione plastica nella tecnica stessa dell’artista. Il suo rifiuto di ogni bozzetto preparatorio, il suo metodo intuitivo che procede per aggiunte successive finché “l’immagine appare più vicina all’esperienza” da lui vissuta, tutto ciò testimonia una fiducia nei processi primari della creatività che evoca direttamente le teorie winnicottiane. L’artista si pone in una posizione di ricettività attiva, lasciando emergere le forme senza costringerle, in una danza sottile tra controllo e abbandono.

La nozione winnicottiana di area di gioco trova anch’essa un’eco particolare nell’opera di Huen Sin Kan. Per Winnicott, il gioco autentico (playing) si distingue dai giochi codificati (games) per la sua capacità di creare uno spazio di libertà creativa dove il bambino può esplorare le sue relazioni con il mondo senza costrizione esterna. I dipinti di Huen Sin Kan funzionano come tali aree di gioco per adulti, spazi dove l’artista può sperimentare liberamente le relazioni tra colore, forma ed emozione, in un’esplorazione ludica che non ha altra finalità se non sé stessa.

Questa dimensione ludica si manifesta particolarmente nel modo in cui l’artista tratta i suoi soggetti animali. I suoi tre cani, vere star delle sue composizioni, evolvono nelle sue tele con una spontaneità e una gioia di vivere che contagiano l’intera composizione. MuiMui che contempla lo spettatore dalla profondità di una foresta oscura, Balltsz e Doodood che giocano in un giardino rigoglioso, tutti questi momenti canini catturano quella particolare qualità del presente puro che Winnicott associa all’esperienza del gioco autentico.

L’evoluzione recente del lavoro di Huen Sin Kan, da quando si è stabilito a Londra, illustra perfettamente la dinamica transizionale descritta da Winnicott. Il passaggio da un ambiente familiare (Hong Kong) a un nuovo contesto (Londra) ha provocato una trasformazione notevole della sua tavolozza e delle sue composizioni, senza tuttavia rompere la continuità della sua ricerca. Questa capacità di adattamento creativo, che mantiene l’identità artistica integrando nuovi elementi, testimonia una salute psichica straordinaria nel senso winnicottiano del termine.

Le nuove tele londinesi, con i loro fondi più scuri e i verdi più brillanti, rivelano come l’artista sia riuscito a trasformare lo sradicamento geografico in un arricchimento creativo. Questa alchimia, che trasmuta l’esperienza dell’esilio in materia artistica, evoca direttamente i processi di simbolizzazione descritti da Winnicott. L’oggetto perduto (Hong Kong) non scompare ma si trasforma in un oggetto transizionale (la pittura) che permette di mantenere il legame accettando al contempo la separazione.

Questa capacità di trasformazione creativa si manifesta anche nell’evoluzione tecnica dell’artista. Il suo passaggio progressivo dai fondi bianchi ai fondi neri testimonia una maturazione della sua riflessione sulla percezione e la memoria. Come egli stesso spiega, il bianco evoca “la ricerca attiva di qualcosa”, mentre il nero suggerisce “una prospettiva rivolta all’interno”, “una sensazione di tranquillità, come se si fosse seduti in una poltrona a trattare l’informazione e la stimolazione”. Questa evoluzione rivela una crescente sofisticazione del suo pensiero plastico, una capacità di modulare gli effetti psicologici delle sue composizioni con una precisione notevole.

L’opera di Huen Sin Kan si inscrive così in questa tradizione artistica che fa dell’arte un laboratorio dell’esperienza umana piuttosto che un semplice intrattenimento estetico. Come Kosiński nei suoi romanzi, come Winnicott nelle sue osservazioni cliniche, l’artista hongkonghese ci invita a riconsiderare le nostre evidenze percettive, a interrogare i meccanismi con cui costruiamo il nostro rapporto con il reale. I suoi dipinti non ci mostrano il mondo com’è, ma come lo viviamo, in quella soggettività irriducibile che costituisce la nostra umanità stessa.

Questo approccio fenomenologico alla pittura trova giustificazione teorica nella concezione winnicottiana dello spazio potenziale. Per lo psicoanalista, questo spazio intermedio tra sé e l’altro, tra interno ed esterno, costituisce il luogo stesso dell’esperienza culturale. È in questa zona paradossale che nascono l’arte, la religione, la poesia, tutte quelle attività che danno senso all’esistenza umana. I dipinti di Huen Sin Kan abitano pienamente questo spazio potenziale, offrendo allo spettatore un luogo di incontro con la propria soggettività.

La ricezione critica dell’opera di Huen Sin Kan testimonia inoltre questa capacità di evocazione che caratterizza le grandi opere d’arte. Le sue esposizioni suscitano regolarmente reazioni emotive intense tra i visitatori, come se i suoi dipinti riattivassero in ciascuno memorie sepolte, emozioni dimenticate. Questa risonanza affettiva, che supera ampiamente il campo dell’apprezzamento estetico, conferma la correttezza del suo approccio artistico.

L’artista è anche consapevole di questa dimensione terapeutica del suo lavoro. Nei suoi colloqui, parla regolarmente dell’importanza di questi “momenti insignificanti e deliziosi della vita quotidiana” che si impegna a preservare attraverso la pittura. Questa missione di conservazione della memoria, che potrebbe sembrare nostalgica, assume in lui una dimensione prospettica. Fissando questi istanti fugaci, offre ai suoi contemporanei modelli di percezione alternativa, inviti a rallentare il ritmo dell’esistenza per ritrovare il contatto con quella qualità particolare di presenza che la nostra epoca tende a dimenticare.

Questa funzione profilattica dell’arte, questa capacità di preservare e trasmettere modi di essere minacciati dalla modernità, iscrive l’opera di Huen Sin Kan in una prestigiosa linea artistica che va da Chardin a Morandi, passando per Vuillard e Bonnard. Come questi maestri dell’intimismo, trasforma l’umile in sublime, rivela l’incredibile che giace al cuore dell’ordinario. Ma a differenza dei suoi predecessori, opera questa trasmutazione in un contesto culturale segnato dall’accelerazione tecnologica e dalla globalizzazione, il che conferisce al suo approccio un’urgenza particolare.

La sua installazione a Londra, lungi dal costituire una rottura, ha rivelato la portata universale della sua ricerca. I nuovi paesaggi britannici, con la loro luce particolare e i loro verdi brillanti, hanno arricchito la sua tavolozza senza alterare l’essenza del suo discorso. Questa capacità di adattamento, che mantiene la coerenza integrando al contempo la novità, testimonia una maturità artistica notevole. Rivela anche la validità transculturale del suo approccio, la sua capacità di toccare al di là delle specificità geografiche e culturali.

Il futuro dell’opera di Huen Sin Kan si prospetta ricco di sviluppi. Le sue recenti sperimentazioni con grandi formati e sfondi scuri aprono nuove prospettive alla sua ricerca. Si può immaginare che continuerà a scavare questo solco dell’ordinario sublime, approfondendo costantemente la sua comprensione dei meccanismi percettivi e mnemonici. La sua fedeltà a un numero ristretto di soggetti, lontano dall’essere una limitazione, gli permette di esplorare con una profondità rara le infinite variazioni che può assumere l’esperienza umana.

L’opera di Chris Huen Sin Kan costituisce una proposta artistica di rara coerenza, che attinge la sua forza nella convergenza tra un’intuizione poetica giusta e una riflessione teorica approfondita. Basandosi sugli insegnamenti di Kosiński e Winnicott, ha saputo sviluppare un linguaggio plastico originale che parla ai nostri contemporanei con una particolare acutezza. In un mondo saturo di immagini e informazioni, i suoi dipinti offrono oasi di contemplazione, spazi di respiro psichico dove ciascuno può attingere secondo i propri bisogni. Questa funzione riparatrice dell’arte, questa capacità di restaurare la nostra relazione con il tempo e lo spazio, costituisce forse il contributo più prezioso di questo artista discreto ma essenziale.


  1. Jerzy Kosiński, Conversations with Jerzy Kosinski, Univ. Press of Mississippi, 1993
  2. Donald W. Winnicott, Oggetti transizionali e fenomeni transizionali, in Dalla pediatria alla psicoanalisi, Parigi, Petite bibliothèque Payot, 1983
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Riferimento/i

Chris HUEN SIN-KAN (1991)
Nome: Chris
Cognome: HUEN SIN-KAN
Altri nome/i:

  • 禤善勤 (Cinese tradizionale)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Hong Kong

Età: 34 anni (2025)

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