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Dana Schutz: L’ultima risata prima dell’apocalisse

Pubblicato il: 16 Febbraio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 10 minuti

Dana Schutz crea tele monumentali in cui si affiancano figure distorte, corpi impossibili e situazioni così improbabili da diventare terribilmente reali. I suoi dipinti sono come specchi deformanti della nostra società, riflettendo le nostre ansie collettive.

Ascoltatemi bene, banda di snob, vi parlerò di un’artista che dipinge come se il mondo stesse crollando in una risata isterica. Dana Schutz è questa donna che osa guardare la nostra epoca dritto negli occhi e dipingerla in tutta la sua mostruosa assurdità, trasformando le nostre angosce collettive in un carnevale pittorico tanto sconcertante quanto esaltante.

Nel suo atelier di Brooklyn, lontano da occhi indiscreti, lei crea tele monumentali dove si affiancano figure distorte, corpi impossibili e situazioni così improbabili da diventare terribilmente vere. I suoi dipinti sono come specchi deformanti della nostra società, riflettendo le nostre nevrosi con una precisione chirurgica ma sempre condita da un umorismo amaro. Ogni colpo di pennello sembra portare con sé la violenza e l’assurdità del nostro tempo, in una danza macabra che ci ipnotizza tanto quanto ci respinge.

Prendiamo “Jupiter’s Lottery” (2023), la sua ultima mostra da David Zwirner a New York. Il titolo fa riferimento a una favola di Esopo dove Giove organizza una lotteria della saggezza. Quando Minerva vince il primo premio, i mortali, gelosi, ricevono in premio di consolazione la follia. E ne sono felici! Questa mostra è una metafora perfetta del nostro tempo, dove la stupidità trionfante sfila orgogliosamente sui social media mentre il mondo brucia. Le tele che la compongono sono come tante finestre aperte su un universo parallelo dove la ragione ha definitivamente abdicato al suo trono.

È qui che dobbiamo immergerci nel concetto filosofico di “idiotismo attivo” sviluppato da Jean-Yves Jouannais. Questa nozione suggerisce che la stupidità non sia semplicemente l’assenza di intelligenza, ma una forza creativa che può diventare uno strumento di resistenza contro l’ordine costituito. L’idiota attivo non è colui che non sa, ma colui che sceglie deliberatamente di sapere in altro modo, di vedere il mondo attraverso un prisma deformante che rivela verità nascoste. Nei dipinti di Schutz, i personaggi sembrano abbracciare la propria assurdità con una gioia feroce, come se avessero scoperto nella follia una forma di libertà ultima.

Prendete “The Gathering” (2023), questa tela gigantesca di oltre 6 metri di lunghezza: una donna è posta su una piccola piattaforma mobile, il suo corpo contorto come una bambola smembrata, circondata da una folla di spettatori con espressioni contorte. È la nostra società dello spettacolo spinta all’assurdo, dove ognuno mette in scena la propria follia davanti a un pubblico assetato. La composizione ricorda stranamente “La Libertà che guida il popolo” di Delacroix, ma qui la libertà è diventata una contorsionista da circo, e il popolo un’assemblea di spettatori ai volti deformati da un’eccitazione malsana.

I corpi nei suoi dipinti non rispettano alcuna anatomia convenzionale. Si contorcono, si allungano, si frammentano come se la carne stessa rifiutasse di piegarsi alle leggi della fisica. Questa deformazione sistematica ci riporta al concetto di “corpo senza organi” teorizzato da Gilles Deleuze e Félix Guattari. Per loro, il corpo senza organi non è un corpo vuoto, ma un corpo liberato dalle organizzazioni imposte, dalle strutture predefinite. È un corpo che rifiuta la tirannia dell’organizzazione biologica per esplorare nuove possibilità di esistenza. Le figure di Schutz sono proprio questo: corpi in rivolta contro la loro stessa forma, contro i vincoli della rappresentazione tradizionale.

Questa ribellione contro l’ordine naturale si esprime particolarmente nel suo modo di trattare la carne. La pelle dei suoi personaggi non è mai una semplice copertura, ma un campo di battaglia dove si gioca una lotta costante tra forma e informe. I volti si dissolvono in masse di colore, gli arti si moltiplicano come in una visione cubista da incubo, i busti si aprono per rivelare interni impossibili. È come se Schutz cercasse di dipingere non l’aspetto dei corpi, ma la loro esperienza viscerale dell’esistenza.

In “Beat Out the Sun” (2023), un gruppo di uomini marcia a passo militare, brandendo delle tavole per andare a battere il sole. La scena è di un’assurdità totale, ma non è forse esattamente questo che facciamo collettivamente con il cambiamento climatico? Continuiamo i nostri rituali insensati mentre l’astro ci ricorda che stiamo cuocendo a fuoco lento. La tavolozza di colori è esplosiva: arancioni incandescenti, blu elettrici, verdi acidi che sembrano irradiare dall’interno della tela. Questi colori non descrivono il mondo, lo bruciano.

La composizione di questo quadro è particolarmente notevole nel suo modo di giocare con la prospettiva. Le figure sono disposte come in un fregio egizio, ma il loro movimento collettivo crea una tensione diagonale che minaccia di far precipitare tutta la scena. Il sole, rappresentato come un disco ardente con raggi acuminati, occupa il centro della composizione come un bersaglio impossibile. È un’immagine che cattura perfettamente l’hybris della nostra epoca, la nostra convinzione assurda di poter controllare le forze della natura.

I quadri di Schutz sono popolati da creature che sembrano uscite da un incubo gioioso. In “The Visible World” (2023), una donna nuda sdraiata su una roccia in mezzo a un mare agitato indica con il dito l’acqua che sale, mentre un uccello gigante appollaiato sulla sua coscia tiene nel becco quello che potrebbe essere l’ultimo frutto geneticamente modificato sulla Terra. È una scena al contempo apocalittica e burlesca, come se Hieronymus Bosch avesse deciso di dipingere la nostra epoca ossessionata dal crollo ecologico.

La figura femminile, con le sue proporzioni impossibili e la sua posa improbabile, evoca i nudi classici della storia dell’arte, ma visti attraverso il prisma di uno specchio deformante. Il suo corpo è al tempo stesso vulnerabile e mostruoso, vittima e complice del disastro che si svolge intorno a lei. L’uccello, con il suo frutto misterioso, introduce una dimensione allegorica che ricorda le vanità del XVII secolo, ma trasposte nella nostra era di manipolazione genetica e catastrofe ambientale.

La sua tecnica è esplosiva quanto i suoi soggetti. La pittura è applicata a strati spessi, creando rilievi che danno l’impressione che le figure potrebbero staccarsi dalla tela in qualsiasi momento. Le pennellate sono visibili, quasi violente, come se l’atto stesso di dipingere fosse una forma di lotta corpo a corpo con la realtà. Questa materialità eccessiva della pittura ci ricorda che siamo davanti a oggetti costruiti, fabbricati, e non a finestre trasparenti sul mondo.

Questo approccio alla materia pittorica rivela una profonda comprensione della storia della pittura moderna. Si possono vedere influenze dell’espressionismo astratto americano, ma deviato verso fini figurativi. Gli spessori ricordano a volte Willem de Kooning, ma dove quest’ultimo dissolveva la figura nella materia, Schutz usa la materia per far emergere figure impossibili. È come se invertisse il processo dell’astrazione, usando le sue tecniche per creare immagini ancor più intensamente figurative.

Le referenze alla storia dell’arte abbondano nel suo lavoro, ma sono sempre digerite, trasformate, rese irriconoscibili. Si pensa a Philip Guston, a James Ensor, ma queste influenze sono come fantasmi che infestano le sue tele senza mai possederle completamente. Schutz crea il proprio linguaggio pittorico, dove orrore e umorismo danzano un vertiginoso passo a due.

Questa danza è particolarmente visibile nei suoi ritratti. In “The Arbiters” (2023), dipinge un gruppo di giudici grotteschi, i loro volti deformati da espressioni che oscillano tra la sufficienza e la demenza. È una critica aspra a chi si arroga il diritto di giudicare l’arte, la società, la vita degli altri. Ma è anche un autoritratto distorto dell’artista stessa, consapevole della sua posizione ambigua nel mondo dell’arte contemporanea.

I giudici sono rappresentati come creature ibride, metà umane metà mostruose, i loro corpi che si fondono con le sedie in una confusione organica inquietante. Le loro espressioni sono rese con una precisione caricaturale che ricorda i busti caricaturali di Daumier, ma portati a un punto di distorsione dove il comico si trasforma in inquietante. È come se Schutz cercasse di catturare non l’apparenza dei suoi soggetti, ma la loro essenza morale, resa visibile sotto forma di deformazione fisica.

Car Schutz non è ingenua. Sa che i suoi quadri circolano in un mercato dell’arte che trasforma tutto in merce, anche la critica più radicale. Ma invece di abbandonarsi a un cinismo sterile, sceglie di spingere questa logica fino all’assurdo. I suoi quadri sono come bombe di colore che esplodono in faccia allo spettatore, costringendolo a riconoscere la propria partecipazione alla follia collettiva che rappresenta.

Questa consapevolezza acuta del contesto istituzionale dell’arte si manifesta in modo particolarmente forte nelle sue opere che rappresentano situazioni di esposizione o performance. In “Presenter” (2023), una figura si trova davanti a un podio, i suoi vestiti in disordine, mentre una mano gigante emerge dall’oscurità per strapparle le parole dalla bocca. È un’immagine che cattura perfettamente l’ansia dell’artista di fronte alle aspettative del mondo dell’arte, ma anche la violenza insita in ogni atto di presentazione pubblica.

La violenza è infatti onnipresente nel suo lavoro, ma è una violenza trasformata in energia creativa. In “Sea Group” (2023), una delle sue sculture in bronzo, delle figure si intrecciano in una danza macabra, i loro corpi fusi in una massa organica che sfida ogni logica anatomica. È come se la materia stessa si ribellasse alla forma imposta, creando nuove configurazioni impossibili ma stranamente vive.

Questa scultura segna una nuova direzione nel lavoro di Schutz, dimostrando che la sua visione deformante può esprimersi con la stessa intensità sia in tre che in due dimensioni. Le figure sembrano intrappolate in un movimento perpetuo, come se il bronzo stesso stesse ancora solidificandosi. È un’opera che cattura perfettamente la tensione tra ordine e caos che caratterizza tutto il suo lavoro.

La forza di Schutz risiede nella sua capacità di mantenere un equilibrio precario tra il comico e il tragico, tra la critica sociale e il puro godimento pittorico. I suoi quadri sono come farsescamente cosmiche che ci fanno ridere amaramente mentre ci costringono a guardare in faccia le assurdità del nostro tempo. Trasforma le nostre paure più profonde in uno spettacolo carnevalesco che ci permette di affrontarle senza cadere nella disperazione.

Questa trasformazione è particolarmente evidente nel suo modo di trattare temi contemporanei. Che si tratti della crisi climatica, della manipolazione genetica o della società dello spettacolo, affronta questi argomenti non con la serietà prescrittiva dell’arte “impegnata”, ma con un’ironia mordace che ne rivela l’assurdità fondamentale. È un approccio che ricorda il concetto di “carnevalesco” sviluppato da Michail Bakhtin, in cui la risata diventa un mezzo per sovvertire le gerarchie stabilite e rivelare verità nascoste.

In un mondo dove l’arte contemporanea spesso si perde in astrazioni concettuali disincarnate o in un minimalismo asettico, Schutz osa essere massimale, eccessiva, grottesca. Dipinge come se la sua vita dipendesse da questo, come se ogni quadro fosse un disperato tentativo di dare forma al caos del nostro tempo. Le sue opere non ci offrono il conforto di una contemplazione distaccata, ci attirano nel loro vortice di forme e colori.

Il suo lavoro non offre soluzioni facili, né una morale consolatoria. Al contrario, ci propone una risata liberatoria di fronte all’assurdità della nostra condizione. È una risata che risuona come un tuono nel cielo artificiale dell’arte contemporanea, ricordandoci che la pittura può ancora essere una forza viva, disturbante e necessaria.

Ogni quadro di Schutz è come una nuova proposta su come potremmo vedere il mondo se osassimo abbandonare le nostre certezze. Le sue figure distorte, i suoi spazi impossibili, i suoi colori allucinati non sono fughe nella fantasia, ma tentativi di catturare una realtà che sfugge ai modi convenzionali di rappresentazione. Lei ci mostra che la verità forse non risiede nell’esattezza della rappresentazione, ma nell’intensità dell’esperienza.

In un mondo che corre verso la sua rovina con un sorriso sulle labbra, Dana Schutz è l’artista di cui abbiamo bisogno: colei che osa guardare la follia in faccia e dipingerla in tutta la sua splendida grotesca. Lei ci mostra che se dobbiamo ballare sul vulcano, tanto vale farlo con stile e disinvoltura, ridendo della nostra stessa assurdità fino all’ultimo secondo. I suoi quadri sono specchi che ci riflettono la nostra immagine distorta, ma forse più vera di quella che vediamo di solito. Nel loro stesso eccesso, ci ricordano che l’arte non deve essere saggia per essere profonda, né seria per dire la verità.

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Riferimento/i

Dana SCHUTZ (1976)
Nome: Dana
Cognome: SCHUTZ
Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Stati Uniti

Età: 49 anni (2025)

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