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Fang Lijun: Ritratti di una Cina in transizione

Pubblicato il: 12 Maggio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

Fang Lijun crea opere potenti che esplorano la tensione tra individuo e società attraverso pittura, incisioni su legno e ceramiche. Il suo stile distintivo, caratterizzato da personaggi calvi con espressioni esasperate, diventa un commento incisivo sull’identità e la condizione umana contemporanea.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Se cercate l’artista che incarna visceralmente la tensione tra individuo e collettivo nella Cina contemporanea, non cercate oltre Fang Lijun. Nato nel 1963 a Handan, nella provincia dello Hebei, quest’uomo è riuscito a trasformare teste calve e volti contratti in icone di un’intera epoca. È diventato, quasi controvoglia, il portabandiera del “realismo cinico”, termine che non ha mai veramente rivendicato ma che gli si attacca addosso come un tatuaggio indelebile.

Quando il New York Times Magazine ha messo un’opera sua in copertina nel dicembre 1993, Fang è diventato in un istante l’incarnazione di una nuova ondata artistica cinese. Ma non fatevi ingannare, dietro il suo successo commerciale si cela un artista che ha quasi rifiutato il mercato dell’arte degli anni ’90, giudicando imprudente vendere le sue opere a prezzi incredibili. Ecco un uomo che ha fatto del rifiuto una forma d’arte in sé.

Le sue pitture, incisioni su legno e sculture in ceramica sono pugni visivi che colpiscono direttamente il plesso solare. I suoi personaggi calvi, ripetuti ad nauseam, non sono semplicemente firme visive facili da commercializzare. Rappresentano la depersonalizzazione, la conformità forzata e, paradossalmente, una forma sottile di resistenza. È come se Fang ci dicesse: “Ecco cosa siamo diventati, esseri senza individualità, ma attenzione, siamo consapevoli di questa perdita ed è proprio questa consapevolezza che ci salva”.

La Cina post-Tiananmen del 1989 ha generato artisti come Fang, che hanno dovuto navigare nelle acque torbide di una società in rapida transizione. Tra la repressione politica e l’apertura economica, questi creatori hanno trovato nell’ironia e nel distacco le uniche risposte possibili a un mondo che perdeva i suoi punti di riferimento. Fang non ha mai preteso di essere un rivoluzionario, sarebbe troppo semplice e pericoloso. Ha preferito essere un osservatore, un testimone che trasforma il proprio disagio esistenziale in immagini d’impatto.

Prendi la sua opera monumentale del 2003, inizialmente intitolata “SARS” poi rinominata “Senza titolo”, oggi esposta al Centre Pompidou di Parigi, al MoMA di New York e al Museo d’arte del Guangdong. Sette pannelli alti quattro metri pieni di volti dai toni fiammeggianti, stampati utilizzando blocchi di legno. Una tecnica tradizionale cinese rivisitata per esprimere il disagio contemporaneo. Un’opera così potente da trascendere il suo contesto originario per parlare a tutti coloro che si sentono sommersi dalla massa umana.

E che dire della sua serie di ritratti a inchiostro, dove cattura l’essenza dei suoi amici con espressioni esagerate, quasi caricaturali? Lungi dall’essere semplici esercizi tecnici, queste opere sono esplorazioni dell’identità individuale in un paese che ha a lungo valorizzato il collettivo a scapito dell’individuo. Fang ci ricorda che dietro ogni volto si nasconde una storia unica, anche se la società cerca di cancellarla.

È qui che Fang incontra la psicoanalisi, questa scienza occidentale dell’inconscio individuale che contrasta così fortemente con l’ideologia collettivista della Cina maoista. Le sue figure ripetute fino all’ossessione, le masse di teste calve che si estendono all’infinito come un mare umano, non possono non ricordare le analisi freudiane sulla perdita dell’identità nella folla. Nella sua opera magistrale “1991.6.1”, un’enorme incisione su legno, una folla di teste calve si trova sotto una testa più grande con un dito anonimo che punta verso il cielo. Questa potente immagine evoca quella che Freud chiamava la “psicologia delle masse”, dove l’individuo abdica al proprio giudizio personale per fondersi nella mentalità collettiva [1].

Il dolore è al centro dell’opera di Fang, come lui stesso ha confessato: “Una volta che senti il dolore, ti rendi conto di quanto la vita sia preziosa”. Questa frase potrebbe uscire direttamente da un manuale di psicoanalisi lacaniana, dove il riconoscimento della sofferenza è il primo passo verso l’autenticità. I suoi volti deformati dal dolore o congelati in risate forzate ci ricordano che sotto lo smalto sociale si nasconde sempre la cruda verità della nostra condizione umana.

Ma Fang non è solo un teorico del dolore in camice bianco. È anche un praticante dell’arte, un maestro di tecniche diverse che vanno dalla pittura a olio all’incisione su legno, passando per la ceramica. È proprio in quest’ultimo mezzo che recentemente ha spinto la sua esplorazione artistica all’estremo, creando opere così fragili da sembrare sempre sul punto di rompersi. Questa fragilità non è accidentale, è il riflesso esatto di ciò che Fang percepisce come la condizione umana moderna.

La transizione di Fang verso la ceramica non è casuale. Dopo aver studiato questo mezzo alla Scuola dell’Industria Leggera di Hebei negli anni ’80, vi è tornato negli ultimi anni con un approccio radicalmente diverso. Contrariamente alla tradizione cinese della porcellana che valorizza la perfezione, “solo un pezzo su 999 è considerato riuscito”, Fang preferisce esplorare le imperfezioni, le crepe, i difetti. “Perché non buttare via questo pezzo perfetto e tenere i 999 imperfetti?” si chiede, ribaltando così secoli di tradizione ceramica cinese.

Questo approccio ha suscitato la rabbia di molti artigiani di Jingdezhen, il centro storico della porcellana in Cina. Ma Fang insiste, perché per lui la perfezione è noiosa. Preferisce esplorare quello che chiama “lo stato liminale”, quel momento preciso in cui un’opera potrebbe tanto iniziare quanto finire, come “una persona in piedi sul bordo di una scogliera”. Non è forse esattamente ciò che Kierkegaard descriveva come la vertigine della libertà, quell’angoscia esistenziale che ci coglie di fronte al vuoto delle possibilità?

I riferimenti alla filosofia esistenzialista abbondano nell’opera di Fang. I suoi personaggi sembrano sempre in uno stato di attesa, sospesi tra cielo e terra, né del tutto liberi né completamente oppressi. Evocano le descrizioni di Sartre sull’essere-per-sé, quella coscienza umana condannata alla libertà ma sempre tentata dalla cattiva fede. Nei suoi quadri dove figure si anneghano o fluttuano nell’acqua, Fang esplora ciò che Sartre chiamava “la viscosità”, questo stato intermedio tra il solido e il liquido che simboleggia l’impantanamento della coscienza [2].

L’acqua è del resto un motivo ricorrente nell’opera di Fang. Egli stesso ha spiegato che “l’acqua è molto vicina alla [sua] comprensione della natura umana”. L’acqua è liquida, senza regole fisse. Quando la guardi, cambia. A volte la trovi molto bella, molto confortevole, ma altre volte la trovi terrificante”. Questa descrizione richiama irresistibilmente le analisi di Bachelard sull’immaginario dell’acqua, talvolta materna e accogliente, talvolta ostile e mortifera.

L’opera “1995.2” di Fang, che mostra una figura calva di fronte al mare, di spalle allo spettatore, è particolarmente emblematica di questa ambiguità. Nessuno può dire cosa prova quel personaggio. È contemplazione o disperazione? Libertà o abbandono? Questa stessa indeterminatezza è al centro del percorso di Fang, che rifiuta le interpretazioni facili e univoche.

In fondo, Fang Lijun è un artista del paradosso. Usa forme semplici e ripetitive per esprimere la complessità infinita dell’esperienza umana. Impiega l’umorismo e l’ironia per parlare di temi profondamente seri. Usa tecniche tradizionali per creare opere risolutamente contemporanee. E soprattutto, riesce a essere intensamente personale pur parlando di esperienze universali.

La sua stessa metodologia di lavoro è paradossale. Mentre la maggior parte degli artisti si specializza in un medium o uno stile, Fang lavora simultaneamente su diversi progetti usando tecniche differenti. “Se fai tutti questi lavori contemporaneamente, sarai particolarmente consapevole delle caratteristiche di ciascuno di essi e della direzione in cui dovresti andare”, spiega. Questo approccio comparativo gli permette di vedere possibilità che altri artisti, rinchiusi nella loro specialità, perderebbero.

Forse è questa capacità di tenere insieme contrari ciò che rende Fang un artista così importante per la nostra epoca. In un mondo sempre più polarizzato, dove le sfumature sono spesso schiacciate da certezze ideologiche, la sua opera ci ricorda il valore del dubbio, dell’ambiguità, dell’entremedio. Le sue figure non sono né eroiche né patetiche, sono semplicemente umane, con tutta la complessità che ciò implica.

Anche il suo rapporto con il movimento del “realismo cinico” è ambivalente. Sebbene sia considerato uno dei suoi pionieri, ha sempre mantenuto una certa distanza da questa etichetta. “Non ho mai davvero aderito al termine Realismo Cinico”, afferma. Questa resistenza alle categorizzazioni facili è caratteristica del suo approccio artistico in generale.

La forza dell’opera di Fang Lijun sta nella sua capacità di trascendere i contesti particolari per parlare a un’esperienza umana più ampia. Sebbene le sue prime opere siano nate nel contesto specifico della Cina post-Tiananmen, esse oggi risuonano ben oltre queste circostanze iniziali. Come lui stesso ha sottolineato: “Questi sentimenti sono legati tra le persone. Non importa da dove vieni, che sia dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti, dall’Africa, dalla Cina, siamo tutti legati dall’empatia”.

Nella sua recente serie di ritratti di amici ad inchiostro, iniziata durante la pandemia di COVID-19, Fang ha cercato di rafforzare i legami umani attraverso la sua arte. Questi ritratti non mirano a catturare una somiglianza fedele, ma piuttosto a esprimere un sentimento, una connessione emotiva. È un promemoria che l’arte, al suo meglio, non è semplicemente una rappresentazione del mondo, ma un modo di essere in relazione con esso.

A oltre sessant’anni, Fang continua a esplorare nuove direzioni artistiche, a spingere i limiti dei materiali e delle tecniche, a confrontarsi con questioni esistenziali fondamentali. Il suo percorso, dall’agitazione della Rivoluzione culturale al riconoscimento internazionale, testimonia non solo la sua resilienza personale, ma anche la capacità dell’arte di trasformare l’esperienza della sofferenza in creazione significativa.

Fang ha paragonato il suo percorso artistico a una salita di scale, o meglio a un gradino, passo dopo passo. Questa immagine di progressione graduale, senza grandi gesti drammatici, è rivelatrice del suo approccio all’arte e alla vita. Non ci sono rivelazioni improvvise, né trasformazioni magiche, solo un impegno paziente con la realtà in tutta la sua complessità. Forse è questa pazienza, questa perseveranza nell’esplorare questioni difficili, che rende Fang Lijun un artista così importante per il nostro tempo. In un mondo che spesso privilegia la velocità, lo spettacolare e l’immediato, la sua opera ci invita a rallentare, a guardare attentamente, a abitare le contraddizioni e le ambiguità che fanno parte integrante della nostra condizione.

Allora sì, banda di snob, se cercate un’arte facile, seducente, che confermi i vostri pregiudizi e accarezzi il vostro ego, andate pure oltre. Ma se siete pronti a confrontarvi con questioni profonde sull’identità, la libertà, la relazione tra individuo e società, allora l’opera di Fang Lijun vi aspetta. Non vi offrirà risposte semplici o consolazioni facili, ma qualcosa di molto più prezioso: uno spazio per pensare, sentire e forse, solo forse, riconoscervi in quei volti calvi che ci fissano con un’intensità disturbante da più di trent’anni.


  1. Li Xianting, “Tendenze principali nello sviluppo dell’arte cinese contemporanea”, in China’s New Art, Post-1989, 1993, Hanart TZ Gallery, Hong Kong.
  2. Fang Lijun, What About Art, 2020, Pechino.
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Riferimento/i

FANG Lijun (1963)
Nome: Lijun
Cognome: FANG
Altri nome/i:

  • 方力钧 (Cinese semplificato)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Cina

Età: 62 anni (2025)

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