Ascoltatemi bene, banda di snob che sfilate alle inaugurazioni con i vostri commenti pseudo-intellettuali sull’arte contemporanea. Vi parlerò di Felix González-Torres (1957-1996), quell’artista che riuscì nell’impresa di trasformare delle caramelle in manifesti politici e lampadine elettriche in dichiarazioni d’amore incandescenti. E se pensate che vi servirò l’ennesima analisi consensuale e politicamente corretta, vi state mettendo il dito nell’occhio fino al gomito.
González-Torres è probabilmente uno degli artisti più sovversivi che l’America abbia prodotto nel XX secolo. Non perché volesse scioccare, lasciamo questo agli amatori, ma perché ha infiltrato il sistema dell’arte con una sottigliezza diabolica. Immaginate un po’: è riuscito a far entrare un sacco di caramelle nei più grandi musei del mondo, a convincere collezionisti benestanti ad acquistare pile di carta destinate a scomparire e a trasformare catene luminose da supermercato in opere d’arte di grande rilievo. Se questa non è sovversione di alto livello, non so cos’altro sia.
Prendiamo le sue famose “pile di caramelle”. A prima vista, nulla di più semplice: montagne di dolci avvolti che brillano sul pavimento delle gallerie. I visitatori sono invitati a servirsi, e ogni sera un impiegato del museo ricostruisce meticolosamente la pila. Alcuni vi vedono una forma di generosità artistica, una democratizzazione dell’arte. Ma è molto più subdolo di così. Quando González-Torres crea “Untitled” (Ritratto di Ross a L.A.) nel 1991, fissa il peso iniziale a 79 chili, esattamente il peso del suo amante Ross Laycock in buona salute. Nel corso dei giorni, la pila diminuisce come il corpo di Ross consumato dall’AIDS, prima di essere “resuscitata” ogni mattina. È un memento mori dei tempi moderni, un costante richiamo alla nostra fragilità collettiva.
Ma González-Torres non si limita alla metafora personale. Trasforma questa esperienza intima in un atto politico. In piena crisi dell’AIDS, mentre la comunità gay è stigmatizzata e il governo Reagan rimane criminalmente silenzioso, sceglie di non urlare la sua rabbia ma di distillarla in gesti di devastante eleganza. Le caramelle non sono più semplici dolciumi, diventano cellule che si disperdono, corpi che scompaiono, ricordi che si condividono.
Questa strategia dell’infiltrazione sottile, González-Torres l’ha perfezionata come nessun altro. Prendete le sue “tende di perle”, queste cascate di perle che sembrano uscite da un appartamento piccolo-borghese degli anni ’70. Le installa nei musei come separazioni tra gli spazi, costringendo i visitatori a attraversarle fisicamente. È un’esperienza al contempo sensuale e disturbante. Le perle accarezzano la vostra pelle come tanti baci furtivi, ma vi ricordano anche che ogni confine è poroso, che i limiti tra pubblico e privato, tra personale e politico, sono sempre negoziabili.
La sua serie di orologi gemelli, “Untitled” (Perfect Lovers), porta questa logica ancora più lontano. Due orologi identici sono appesi fianco a fianco, sincronizzati all’inizio ma che, inevitabilmente, si desincronizzano col tempo. È una metafora dell’amore e della morte di una semplicità fulminante. Ma è anche una critica aspra alla nostra ossessione per la normalizzazione delle relazioni amorose. Questi due orologi che segnano il proprio tempo ci ricordano che l’amore non segue le convenzioni sociali, che esiste in un tempo tutto suo.
González-Torres era un maestro nell’arte di trasformare oggetti quotidiani in bombe a tempo concettuali. Le sue pile di carta bianca, per esempio, sembrano di una banalità sconcertante. Ma invitando i visitatori a servirsi, trasforma ogni foglio in un potenziale veicolo di significato e memoria. La carta diventa un supporto di proiezione, uno spazio di possibilità infinite. E soprattutto, mette in discussione l’idea stessa dell’opera d’arte come oggetto unico e prezioso.
Questo ripensamento dello status dell’opera d’arte è particolarmente evidente nelle sue installazioni luminose. Ghirlande di lampadine comuni, come quelle che si trovano in qualsiasi fiera, sono trasformate in linee di luce che disegnano geometrie effimere nello spazio. Le lampadine si fulminano, vengono sostituite, la configurazione cambia a ogni installazione. L’opera non è più un oggetto finito ma un processo in costante evoluzione.
I billboard di González-Torres sono forse le sue opere più audaci. Nel 1991 installa nelle strade di New York una serie di cartelloni pubblicitari che mostrano semplicemente un letto disfatto, le lenzuola ancora accartocciate dai corpi assenti. È un’immagine di un’intimità sconvolgente, ma è anche un atto di resistenza politica. In piena epidemia di AIDS, mentre i corpi omosessuali vengono resi invisibili o demonizzati, sceglie di mostrare non la malattia o la morte, ma le tracce dell’amore e del desiderio.
Ciò che è affascinante in González-Torres è la sua capacità di far coesistere diversi livelli di lettura. Le sue opere funzionano come cavalli di Troia concettuali. Si presentano con un aspetto seducente e accessibile, ma trasportano al loro interno cariche esplosive che mettono in discussione le nostre certezze sull’arte, l’amore, la politica e la morte.
Prendete la sua serie “Bloodworks” del 1989. Grafici astratti che sembrano dati scientifici qualsiasi. In realtà, sono le curve delle cellule T di pazienti affetti da AIDS, trasformate in composizioni geometriche di una bellezza gelida. González-Torres compie l’impresa di rendere visibile l’invisibile, di trasformare dati medici in una meditazione sulla fragilità della vita.
Il suo uso della ripetizione è particolarmente significativo. Caramelle, fogli di carta, lampadine sono sempre presentati in quantità importanti, creando accumuli che evocano allo stesso tempo abbondanza e perdita. Questa strategia riecheggia le teorie di Walter Benjamin sulla riproduzione meccanica dell’arte, ma González-Torres la spinge in una direzione radicalmente nuova. La riproduzione non è più una perdita di aura ma una moltiplicazione delle possibilità di significato.
L’influenza della fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty è anch’essa evidente nel suo lavoro. L’importanza data all’esperienza corporea, al modo in cui abitiamo fisicamente lo spazio, è centrale in opere come le tende di perline o le pile di caramelle. Lo spettatore non è più un semplice osservatore ma un partecipante attivo nella creazione del senso.
González-Torres ha inoltre rivoluzionato la nozione di proprietà nell’arte. I suoi certificati di autenticità, che accompagnano ogni opera, sono capolavori di sovversione istituzionale. Specificano che l’opera può essere riprodotta all’infinito, che la sua forma può cambiare, che i materiali possono essere sostituiti. È una ridefinizione radicale di ciò che significa possedere un’opera d’arte.
La dimensione temporale è onnipresente nel suo lavoro. Sia negli orologi che si disallineano, nelle pile che si esauriscono, nelle lampadine che si fulminano, González-Torres ci ricorda costantemente la nostra stessa temporalità. Ma contrariamente alla tradizione delle vanitas nella storia dell’arte, non si tratta semplicemente di ricordarci la nostra mortalità. C’è sempre la possibilità di un rinnovamento, di una rinascita.
Questa tensione tra scomparsa e rinnovamento è al cuore della sua opera. Le pile sono ricostituite, le lampadine sostituite, le caramelle rifornite. È un ciclo senza fine che evoca i grandi cicli della vita e della morte, ma anche la persistenza della memoria e dell’amore. González-Torres ci mostra che la perdita non è la fine, ma una trasformazione.
Il suo approccio al minimalismo è particolarmente interessante. Utilizza il vocabolario formale del minimalismo, la geometria semplice, la ripetizione, i materiali industriali, ma vi infonde una carica emotiva e politica che era esattamente ciò che i minimalisti cercavano di evitare. È una forma di dirottamento sottile che mostra la sua profonda comprensione dei codici dell’arte contemporanea.
Il modo in cui González-Torres affronta la questione dell’identità è altrettanto notevole. Pur essendo apertamente gay e politicamente impegnato, rifiuta sistematicamente la rappresentazione diretta. Niente corpi martirizzati, niente slogan militanti, niente immagini esplicite. Al posto di ciò, crea opere che parlano d’amore, perdita e resistenza in un modo così universale da toccare tutti, pur mantenendo la loro specificità politica.
Il suo lavoro sulla luce merita un’attenzione particolare. Dalle ghirlande luminose ai riflessi sulle tende di perline, la luce è sempre usata come un materiale a sé stante. Crea spazi, definisce volumi, genera emozioni. Ma è una luce fragile, precaria, che può spegnersi in qualsiasi momento. Come la vita stessa.
L’ultima grande opera di González-Torres, “Untitled” (Last Light) del 1993, è forse la più commovente. Una semplice ghirlanda di lampadine che scende dal soffitto come una cascata di luce. È sia un testamento artistico sia una dichiarazione d’amore alla vita, un’opera che ci parla della finitudine irraggiando speranza.
In un mondo dell’arte contemporanea spesso dominato dallo spettacolare e dal provocatorio, Felix González-Torres ci ricorda che la vera radicalità può nascondersi nei gesti più semplici. Ci mostra che si può essere profondamente politici senza essere didattici, poetici senza essere sentimentali, concettuali senza essere ermetici.
La sua influenza sull’arte contemporanea è immensa e continua a crescere. Ha aperto la strada a una forma d’arte che può essere sia accessibile che complessa, personale e politica, effimera e duratura. Ci ha mostrato che l’arte non è solo questione di oggetti da contemplare, ma di esperienze da condividere e di senso da costruire collettivamente.
La prossima volta che vi troverete davanti a un’opera di Felix González-Torres, non limitatevi ad ammirarla da lontano. Prendete una caramella, attraversate la tenda di perline, portate via un foglio di carta. Perché è in questa interazione, in questa partecipazione attiva che la sua arte prende tutto il suo senso. Ci ricorda che l’arte, come la vita, non è fatta per rimanere fissa su un piedistallo, ma per circolare, trasformarsi, scomparire e rinascere continuamente.
González-Torres ci ha lasciati troppo presto, portato via dall’AIDS nel 1996, ma la sua opera continua a brillare come le sue ghirlande luminose, fragile e persistente, ricordandoci che anche nei momenti più bui, la bellezza e l’amore trovano sempre un modo per sopravvivere.
















