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Martedì 18 Novembre

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Gli spazi emozionali di Li Xuegong

Pubblicato il: 22 Aprile 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 9 minuti

Li Xuegong trasforma il paesaggio tradizionale cinese in un’esperienza sensoriale totale. Le sue opere monumentali come “Mille leghe dei monti Taihang forgiati nel ferro” superano la semplice rappresentazione per diventare meditazioni visive sul nostro rapporto con la natura, dove ogni pennellata diventa filosofia incarnata.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Se pensate che l’arte contemporanea cinese si riduca a repliche insipide di calligrafie millenarie o a riproduzioni banali di paesaggi nebbiosi, è perché non avete mai posato gli occhi sulle opere di Liu Xuegong. Questo artista di Pechino nato nel 1962, che ha studiato con maestri come Li Kufen e Ouyang Zhongshi, fa esplodere i codici tradizionali onorandone al contempo la profonda essenza. Un esercizio di equilibrista che solo i grandi sanno compiere.

Quando osservo il suo monumentale “Mille leghe dei monti Taihang forgiati nel ferro” (8 x 23,6 metri), non vedo semplicemente un paesaggio. Vedo una dichiarazione filosofica sulla relazione tra l’uomo e la natura che avrebbe fatto sorridere lo stesso Heidegger. Liu non dipinge la montagna, diventa la montagna. E noi con lui. Questa fusione tra soggetto e oggetto richiama stranamente i concetti sviluppati da Gilles Deleuze sulla deterritorializzazione e riterritorializzazione [1]. Lontano dall’essere una semplice contemplazione passiva, l’immersione nell’opera di Liu Xuegong è un’esperienza attiva in cui lo spettatore partecipa alla creazione di un nuovo spazio concettuale.

Nella sua serie “Ubriaco, mi inoltro nella foresta di pruni per trenta li” [1 li (里) = circa 500 metri], Li dispiega una padronanza tecnica impressionante che non è mai pretesto per un’esibizione di virtuosismo gratuito. La sua tecnica serve una visione. E che visione! Una visione che trascende il semplice quadro della pittura tradizionale cinese per offrirci una riflessione profonda sulla trascendenza. Deleuze scriveva in “Che cos’è la filosofia?” che “l’arte non pensa meno della filosofia, ma pensa per affetti e percetti” [2]. Gli affetti e i percetti dispiegati da Li in questa serie sono di una potenza rara, spingendo ai limiti ciò che si credeva possibile in materia di pittura a inchiostro.

Al contrario di molti artisti contemporanei cinesi che rifiutano il loro patrimonio culturale per abbracciare un’internazionalizzazione spesso superficiale, Li ha capito che l’universale si trova nel particolare ben compreso. La sua formazione presso i maestri tradizionali non ha ostacolato la sua originalità, ma l’ha nutrita. Come ha giustamente osservato il critico d’arte Wang Wei: “Il suo tratto più distintivo è l’introduzione della calligrafia nella pittura. In quanto pittore di fiori e uccelli in stile xieyi (impressionista), la calligrafia deve prima di tutto essere solida” [3]. Questa fusione tra calligrafia e pittura non è nuova di per sé, ma Li la porta verso territori inesplorati.

Guardate la sua serie sui fiori di pruno. La forza che ne emana è quasi fisica, come se i rami stessero per saltare fuori dalla tela per colpirvi. La composizione è piena, l’atmosfera palpabile, la tecnica impeccabile. Ma ridurre il suo lavoro a queste qualità sarebbe perdere l’essenziale: la profondità filosofica che sostiene ogni pennellata. Li non dipinge per decorare i vostri salotti borghesi. Dipinge per mettere in discussione il vostro rapporto con il mondo, per far vacillare le vostre certezze.

Ciò che colpisce nel suo lavoro è questa capacità di conciliare opposti apparenti: tradizione e innovazione, vigore e delicatezza, spontaneità e controllo. Questa dialettica ci rimanda all’architettura contemporanea di Tadao Ando, dove il cemento grezzo convive con la sottigliezza della luce naturale. Come l’architetto giapponese che crea santuari di serenità nel caos urbano, Li trova l’armonia nella tensione tra forze contrastanti. Tadao Ando cerca “di creare un luogo che non sia semplicemente uno spazio fisico, ma uno spazio emozionale” [4]. Allo stesso modo, i paesaggi di Li non sono semplici rappresentazioni topografiche, ma spazi emozionali in cui lo spettatore è invitato a perdersi per ritrovarsi meglio.

Questa dimensione architettonica si ritrova nella struttura stessa delle sue composizioni. Prendete “Tai Hang Qian Ren” (La serie delle Montagne Taihang), dove la montagna non è solo un soggetto, ma diventa letteralmente l’architettura del dipinto, la sua ossatura e la sua carne. Li costruisce la sua opera come un architetto, con un’attenzione particolare ai pieni e ai vuoti, alla circolazione dell’energia, alla solidità dell’insieme. Come ha giustamente osservato Sun Ke: “creare una grande opera come si creerebbe un piccolo pezzo è un’esplorazione significativa nell’arte della pittura cinese” [5]. Li riesce in questo colpo di forza di mantenere l’intimità del piccolo formato in opere monumentali.

L’architettura, come la pittura di Li, è un’arte dello spazio. Ma mentre l’architetto deve confrontarsi con le restrizioni fisiche della gravità e dei materiali, Li è limitato solo dalla sua immaginazione e dalla sua capacità di controllare l’inchiostro e l’acqua sulla carta xuan. Questa libertà apparente è però bilanciata da una disciplina rigorosa. Come ha osservato Tadao Ando: “Più uno spazio è limitato, più è forte” [6]. Li comprende questo massimo e sa che una libertà totale produce solo caos e insignificanza. È nella costrizione della tradizione che trova paradossalmente la sua più grande libertà espressiva.

La sua relazione con lo spazio non è solo formale, ma anche concettuale. Nella tradizione cinese, lo spazio vuoto non è assenza ma presenza, presenza dell’aria, del soffio vitale (qi). Allo stesso modo, nell’architettura di Tadao Ando, il vuoto non è una mancanza ma una pienezza, uno spazio dove luce e ombra danzano e dove il visitatore può proiettare i suoi pensieri. Nelle pitture di Li, gli spazi non dipinti sono importanti quanto i tratti d’inchiostro, creando una tensione dinamica che attiva l’intera superficie.

Ciò che mi piace particolarmente di Li è la sua capacità di creare opere che rispondono sia alle esigenze della tradizione pittorica cinese sia alle questioni della nostra epoca. In questo senso, il suo lavoro è profondamente contemporaneo senza cedere alle mode passeggere. Crea una pittura radicata nella storia ma rivolta verso il futuro. Come ha detto così bene Nie Xiaoyang: “Ci sono molti pittori che, con il lavoro, possono diventare artigiani, ma mai artisti. L’arte richiede talento, ma anche una cultura profonda” [7]. Li possiede indubitabilmente entrambi.

Questa profondità culturale si manifesta nella sua capacità di integrare nelle sue opere riferimenti alla letteratura e alla poesia classica cinese, creando così un’opera che risuona con secoli di tradizione intellettuale. Non è un caso che Li sia anche scrittore e poeta. La sua visione artistica trascende le categorie ristrette per abbracciare una concezione olistica della creazione. Il suo romanzo “Tempesta di neve nelle grandi terre selvagge” pubblicato nel 2002 testimonia questa polivalenza creativa.

D’altronde, questa capacità di navigare tra diverse forme di espressione artistica è caratteristica dei grandi creatori. Deleuze parlava di “linee di fuga” per descrivere quelle traiettorie che sfuggono alle categorizzazioni rigide e aprono nuovi spazi di pensiero. Li crea costantemente tali linee di fuga, rifiutando di lasciarsi rinchiudere in una definizione restrittiva di cosa debba essere un pittore cinese contemporaneo.

Il suo approccio alla materialità dell’inchiostro mostra anche una comprensione profonda delle questioni contemporanee. Nell’epoca in cui l’arte occidentale spesso si perde in una smaterializzazione eccessiva, Li riafferma l’importanza della materia pur trascendendola. L’inchiostro non è solo un medium, è un elemento vivente con cui l’artista dialoga. Nella sua serie “Fiori selvatici a decine di migliaia”, la densità materiale dell’inchiostro crea una presenza fisica innegabile che contrasta con la leggerezza eterea dei fiori rappresentati.

Questa tensione tra materialità e trascendenza ci riporta all’architettura di Tadao Ando, dove la massività del cemento grezzo è bilanciata dalla delicatezza della luce che lo attraversa. Come ha scritto l’architetto: “La luce è l’origine di tutte le presenze” [8]. Nell’opera di Li, l’inchiostro svolge questo ruolo originario, fonte di tutte le presenze visive.

Il rapporto di Li con l’architettura non si limita ad analogie concettuali. Ha progettato lui stesso il proprio museo a Songzhuang, nella periferia di Pechino. Questo spazio, che si estende su più di 3000 metri quadrati, è un’estensione della sua visione artistica nel campo costruito. Come ha osservato Tang Shihe: “Il suo stile di pittura è un riflesso del suo carattere” [9]. Il suo museo è anche il riflesso di questo carattere: generoso, ambizioso, radicato nella tradizione ma decisamente contemporaneo.

Ciò che rende grande Li è proprio questa capacità di creare un universo coerente che supera di gran lunga il quadro della pittura tradizionale cinese. La sua opera costituisce un sistema di pensiero complesso che interroga il nostro rapporto con il mondo, con la tradizione, con la creazione. In questo senso, si unisce alle preoccupazioni fondamentali della filosofia deleuziana, che cerca di pensare il divenire piuttosto che l’essere, il movimento piuttosto che la fissità.

Il filosofo francese scriveva: “L’arte non è uno scopo, è un processo” [10]. Questa concezione dinamica della creazione artistica è perfettamente incarnata da Li, che non smette mai di reinventarsi, di mettere in discussione i propri risultati per esplorare nuovi territori espressivi. La sua produzione prolifica, dipinti, calligrafie, scritti, testimonia questa vitalità creativa che rifiuta di adagiarvisi.

Ciò che mi interessa anche nel suo percorso è il suo impegno sociale. Nel 2005 ha finanziato la costruzione di una scuola nel distretto di Yi, nella provincia di Hebei. Lungi dall’immagine dell’artista chiuso nella propria torre d’avorio, Li comprende che la creazione artistica ha senso solo se inserita in un progetto più ampio di trasformazione sociale. Questa dimensione etica del suo lavoro fa eco a ciò che Deleuze chiamava un “etica dell’immanenza”, dove l’azione viene giudicata non in base a principi trascendenti ma alla sua capacità di aumentare la nostra potenza d’agire nel mondo.

Ciò che rende l’opera di Li Xuegong così singolare e preziosa è la sua capacità di creare uno spazio di pensiero in cui tradizione e innovazione, Oriente e Occidente, materialità e spiritualità non sono più opposizioni ma polarità in dialogo costante. Il suo lavoro ci ricorda che le grandi opere d’arte sono sempre ponti tra mondi apparentemente separati.

Quindi, la prossima volta che vi avventurerete in una mostra di arte contemporanea cinese, non accontentatevi di quelle installazioni pacchiane che imitano goffamente l’arte occidentale. Cercate piuttosto le opere che, come quelle di Li Xuegong, hanno il coraggio della loro complessità, del loro radicamento culturale e della loro visione singolare. La vera arte non è mai stata questione di facilità, ma di necessità interiore e rigore intellettuale. E se non capite subito, meglio così! Come diceva giustamente Paik Nam June: “La comprensione è la peggior forma di disprezzo” [11]. L’arte di Li merita più della nostra comprensione frettolosa; merita la nostra paziente attenzione e il nostro impegno sensibile.


  1. Deleuze, G. e Guattari, F., Mille Piani, Les Éditions de Minuit, Parigi, 1980.
  2. Deleuze, G. e Guattari, F., Che cos’è la filosofia?, Les Éditions de Minuit, Parigi, 1991.
  3. Wang Wei, citato in “Raccolta di critiche su Li Xuegong da critici d’arte”, 2013.
  4. Ando, T., I colori della luce, Phaidon Press, Londra, 1996.
  5. Sun Ke, citato in “Raccolta di critiche su Li Xuegong da critici d’arte”, 2013.
  6. Ando, T., Conversazioni con gli studenti, Princeton Architectural Press, New York, 2012.
  7. Nie Xiaoyang, “Li Xuegong: vero sentimento, vera natura, vero talento”, 2023.
  8. Ando, T., Luce e architettura, The Japan Architect, Tokyo, 1993.
  9. Tang Shihe, citato in “Raccolta di critiche su Li Xuegong da critici d’arte”, 2013.
  10. Deleuze, G., Francis Bacon: Logica della sensazione, Éditions de la Différence, Parigi, 1981.
  11. Nam June Paik, Dal cavallo a Christo e altri scritti, Éditions Lebeer Hossmann, Bruxelles, 1993.
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Riferimento/i

LI Xuegong (1962)
Nome: Xuegong
Cognome: LI
Altri nome/i:

  • 李學功 (Cinese semplificato)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Cina

Età: 63 anni (2025)

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