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Martedì 18 Novembre

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Grayson Perry: Ritratto satirico dell’Inghilterra

Pubblicato il: 29 Marzo 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 9 minuti

Nei suoi arazzi e ceramiche provocanti, Grayson Perry analizza con umorismo acido le contraddizioni della societE0 britannica contemporanea, trasformando l’ordinario in straordinario. Le sue opere sfidano l’élitismo del mondo dell’arte pur seducendo un pubblico sempre piF9 ampio.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Pensate di sapere tutto sull’arte contemporanea, con le vostre discussioni pretenziose sulla decostruzione post-strutturalista? Ma conoscete davvero Grayson Perry, quel cavaliere dell’Ordine dell’Impero Britannico che si aggira con abiti a balze creando opere che vi strapperanno quel sorriso sufficiente?

Perry non è semplicemente un artista, è un fenomeno culturale, un sisma estetico che ha scosso le fondamenta vittoriane dell’establishment artistico britannico. Nato nel 1960 nell’Essex, quella regione che l’intelligentsia londinese guarda con un disprezzo a malapena velato, ha ottenuto l’impensabile: vincere il prestigioso Turner Prize nel 2003 e far entrare la ceramica nel santuario dell’arte contemporanea.

Ciò che distingue Perry è la sua capacità quasi soprannaturale di intessere una critica sociale pungente nella trama stessa delle sue opere. I suoi vasi dalle forme classiche, decorati con immagini provocatorie e testi irriverenti, rappresentano una collisione frontale tra la raffinatezza tecnica e una visione senza compromessi della società britannica contemporanea. È proprio questa tensione che rende il suo lavoro così potente.

Prendiamo ad esempio la sua serie di arazzi “The Vanity of Small Differences” (2012). Ispirandosi al “Rake’s Progress” di William Hogarth, Perry ci offre un’esplorazione pungente della mobilità sociale in Gran Bretagna. Attraverso questi sei arazzi monumentali, segue la ascesa e la caduta di Tim Rakewell, un personaggio fittizio che naviga tra le classi sociali con una goffaggine tragica. Ogni arazzo è un microcosmo saturo di dettagli rivelatori: i loghi dei marchi, gli oggetti domestici, i vestiti, tutti quei marcatori sociali che definiscono con tanta spietatezza l’appartenenza di classe in Gran Bretagna.

Quest’opera ci ricorda la posizione di Pierre Bourdieu sulla distinzione sociale. Il sociologo francese ha dimostrato come i nostri gusti estetici non siano semplicemente preferenze personali, ma strumenti di posizionamento sociale [1]. In “La Distinzione” (1979), Bourdieu espone come le nostre scelte culturali servano a rafforzare le gerarchie sociali esistenti. Perry illustra brillantemente questa teoria, mostrando come il capitale culturale di Tim Rakewell evolva mentre scala la scala sociale, passando dalle spese nel supermercato discount alle cene gastronomiche.

“Il gusto è classe, e chi classifica è classe”, scriveva Bourdieu, e Perry ci mostra esattamente come funziona questo meccanismo nella società britannica contemporanea. I arazzi rivelano come le nostre preferenze in fatto di cibo, mobili, arte e persino linguaggio del corpo siano indicatori della nostra posizione sociale. Come ha dichiarato lo stesso Perry: “Mi interessa il modo in cui segnaliamo il nostro status attraverso ciò che possediamo e consumiamo” [2].

Questa riflessione sociologica non si limita ai suoi arazzi. In “The Tomb of the Unknown Craftsman” (2011), un’installazione presentata al British Museum, Perry ha creato un potente omaggio agli artigiani anonimi il cui lavoro riempie i nostri musei ma i cui nomi sono stati cancellati dalla storia. Quest’opera è una meditazione profonda sul valore che attribuiamo all’arte e all’artigianato, e su come tali valori siano plasmati dalle strutture di potere.

Parlando di strutture di potere, come non menzionare il travestimento di Perry? Il suo alter ego, Claire, non è semplicemente un’eccentricità, ma un commento provocatorio sulle costruzioni sociali del genere. Presentandosi come Claire, che descrive come “una matriarca riformatrice del XIX secolo, una protestataria della middle England per No More Art, una costruttrice di modelli di aeroplani, o una combattente per la libertà dell’Europa dell’Est”, Perry sconvolge le nostre aspettative su ciò che un artista maschile “dovrebbe” essere.

Questo gioco sulle identità di genere ci ricorda le teorie di Judith Butler sulla performatività del genere. In “Trouble nel genere” (1990), Butler sostiene che il genere non è un’essenza innata, ma una performance sociale che ripetiamo costantemente [3]. Perry incarna letteralmente questa teoria, dimostrando come il genere possa essere costruito, decostruito e ricostruito. Come Claire, espone la natura arbitraria delle norme di genere celebrando al contempo il piacere della trasgressione.

Ma non lasciatevi ingannare, Perry non è semplicemente un provocatore che cerca di scioccare. Il suo lavoro è radicato in una profonda comprensione della storia dell’arte e in una impressionante padronanza tecnica. Le sue ceramiche fanno riferimento a varie tradizioni, dalla ceramica greca all’arte popolare, pur essendo decisamente contemporanee. La tecnica del colombino che utilizza per creare i suoi vasi è millenaria, ma le immagini e i testi che li decorano sono inequivocabilmente del XXI secolo.

Questa fusione del tradizionale e del contemporaneo è particolarmente evidente in “The Walthamstow Tapestry” (2009), un’opera monumentale lunga 15 metri. Ispirata all’arazzo di Bayeux e ai “Sette età dell’uomo”, traccia un percorso dalla nascita alla morte attraverso i segni del consumo. Il design richiama William Morris (nato a Walthamstow), ma l’esecuzione è decisamente moderna, creata digitalmente e poi tessuta su un telaio controllato da computer.

L’arazzo evoca le meditazioni di Guy Debord sulla società dello spettacolo. Nel suo omonimo libro del 1967, Debord critica il modo in cui il consumo ha sostituito le autentiche relazioni sociali [4]. Perry attualizza questa critica mostrando come la nostra esistenza sia costellata di loghi e marchi, dai pannolini per bambini ai servizi funebri. È una visione disincantata ma profondamente perspicace della vita moderna, in cui anche i nostri momenti più intimi sono mediati dal commercio.

Ciò che rende Perry così singolare è la sua capacità di affrontare queste questioni profonde con umorismo e accessibilità. Contrariamente a molti artisti contemporanei che sembrano determinati a escludere il pubblico profano, Perry cerca attivamente di comunicare con un pubblico ampio. I suoi documentari televisivi, come “All In The Best Possible Taste” (2012) o “Grayson Perry’s Big American Road Trip” (2020), sono esplorazioni intelligenti ma accessibili di argomenti complessi come la classe sociale, il genere e l’identità nazionale.

Perry incarna ciò che il teorico dell’arte Arthur Danto chiamava “la fine dell’arte”, non la fine della produzione artistica, ma la fine delle grandi narrazioni che definivano ciò che l’arte “dovrebbe” essere [5]. In un mondo post-storico, dove nessuno stile o medium è privilegiato, Perry è libero di attingere a tutte le tradizioni, di mescolare alta e bassa cultura, di sfumare i confini tra arte e artigianato.

Questa libertà è particolarmente evidente in “A House for Essex” (2015), una collaborazione con lo studio di architettura FAT. Questa casa, concepita come un tempio dedicato a Julie Cope, una donna immaginaria dell’Essex, è un audace mix di influenze, dalle cappelle bizantine alle follie architettoniche vittoriane. È allo stesso tempo un’opera d’arte, una casa vacanze funzionale e un commento sulle aspirazioni e le tragedie della vita ordinaria.

La casa è decorata con piastrelle ceramiche verdi e bianche, infissi rosso vivo e un tetto dorato, un’esplosione di colori che sfida le convenzioni del buon gusto architettonico. All’interno, arazzi raccontano la storia di Julie, “nata sull’isola di Canvey colpita da un’alluvione nel 1953 e travolta lo scorso anno da un fattorino del curry a Colchester”. È grottesco, commovente e profondamente umano, come tutte le migliori opere di Perry.

Ciò che unisce tutti questi progetti disparati è l’interesse di Perry per i racconti personali e collettivi. Come Roland Barthes (che Perry evita consapevolmente di citare, forse perché è troppo alla moda nei circoli artistici), comprende che viviamo attraverso mitologie culturali [6]. Ma a differenza di molti artisti concettuali che trattano queste mitologie con distacco clinico, Perry li affronta con un’empatia pungente.

Prendiamo l’uso che fa di Alan Measles, il suo orsacchiotto d’infanzia. In opere come “Tomb of the Unknown Craftsman”, Measles appare come una figura divina, un dio personale che Perry ha creato per navigare in un mondo caotico. È allo stesso tempo commovente e esilarante, un riconoscimento del fatto che tutti noi creiamo le nostre mitologie per dare un senso alle nostre vite.

Questa attenzione alle storie personali è evidente in “Portrait of the Artist as a Young Girl” (2007), l’autobiografia di Perry scritta in collaborazione con Wendy Jones. Il titolo fa riferimento al romanzo di James Joyce, ma il contenuto è senza pretese, raccontando l’infanzia difficile di Perry e la sua evoluzione come artista e travestito. È un racconto di sopravvivenza e trasformazione che risuona ben oltre il mondo dell’arte.

L’arte di Perry è profondamente radicata nella sua esperienza personale, ma trascende l’autobiografia per affrontare preoccupazioni universali. Le sue ceramiche sono ricoperte di riferimenti alla sua infanzia traumatica, alle sue fantasie sessuali e alle sue osservazioni sociali, ma parlano anche della condizione umana in modo più ampio. Come ha detto lui stesso: “Voglio fare arte per le persone che non vanno nelle gallerie d’arte”.

Questa volontà di accessibilità non significa che il suo lavoro sia semplicistico. Al contrario, è densamente stratificato, pieno di riferimenti storici, letterari e popolari. In “The Vanity of Small Differences”, per esempio, ogni arazzo fa eco a un capolavoro religioso: “L’adorazione dei combattenti in gabbia” evoca l’adorazione dei Magi, mentre “#Lamentazione” fa riferimento agli innumerevoli pianti di Cristo nell’arte occidentale.

Questi riferimenti non sono semplici ammiccamenti intellettuali, ma modi per elevare l’ordinario allo status di sacro. Perry ci mostra che i rituali della vita contemporanea, le partite di calcio, le cene in famiglia, le uscite per fare shopping, sono i nostri equivalenti moderni delle scene religiose che dominavano l’arte occidentale per secoli. C’è una dignità in questi momenti quotidiani, anche se spesso sono impregnati di consumismo e pregiudizi di classe.

Questa capacità di trovare bellezza e significato nell’ordinario ricorda i lavori di Michel de Certeau sulle pratiche quotidiane. In “L’invention du quotidien” (1980), Certeau esplora come le persone comuni creano significato attraverso le loro attività quotidiane, spesso deviando le strutture imposte dalle élite culturali [7]. Perry fa qualcosa di simile, elevando le vite e i gusti delle persone comuni allo status di arte.

Ma Perry non idealizza la cultura popolare. Critica tanto i pregiudizi e le cecità della classe operaia quanto la presunzione della classe media o l’arroganza dell’élite. Il suo lavoro espone le contraddizioni e le ipocrisie di tutti gli strati della società britannica, incluso il mondo dell’arte a cui ora appartiene.

Questa posizione ambivalente, sia insider che outsider, dà a Perry una prospettiva unica. Ora è Sir Grayson, membro dell’establishment, ma conserva uno sguardo critico sui privilegi e le presunzioni di questo establishment. Come ha detto con spirito: “Sono diventato membro dell’establishment da molto tempo ormai e forse coloro che amano considerarsi controversi potrebbero scoprire che ora sono anch’essi membri dell’establishment.”

Questa ambivalenza è al cuore dell’attrattiva di Perry. In un mondo artistico spesso diviso tra elitismo impenetrabile e populismo semplicistico, trova un equilibrio raro. Il suo lavoro è intellettualmente stimolante ma emotivamente accessibile, tecnicamente compiuto ma visivamente immediato, politicamente impegnato ma mai didattico.

Ciò che rende Grayson Perry un artista così importante è che ci fa vedere il nostro mondo con occhi nuovi. Che si tratti dei nostri pregiudizi di classe, delle nostre ansie di genere o dei nostri rituali di consumo, Perry ci mostra le strutture invisibili che plasmano le nostre vite. E lo fa con una combinazione irresistibile di umorismo, empatia e competenza tecnica.

La prossima volta che vedrete una figura maschile in abito a volant in televisione britannica, non cambiate canale. Perché sotto le parrucche e i volant si nasconde uno dei commentatori sociali più perspicaci e divertenti della nostra epoca. Un artista che trasforma la ceramica in satira sociale, gli arazzi in commenti di classe e la propria vita in una meditazione sull’identità e l’autenticità. Un vero originale in un mondo di imitatori.


  1. Bourdieu, Pierre. “La Distinzione: Critica sociale del giudizio.” Les Éditions de Minuit, 1979.
  2. Perry, Grayson. Intervista in “The Guardian”, 9 novembre 2021.
  3. Butler, Judith. “Disturbo nel genere: Il femminismo e la sovversione dell’identità.” Routledge, 1990.
  4. Debord, Guy. “La società dello spettacolo.” Buchet/Chastel, 1967.
  5. Danto, Arthur. “Dopo la fine dell’arte.” Seuil, 1996.
  6. Barthes, Roland. “Mitologie.” Seuil, 1957.
  7. de Certeau, Michel. “L’invenzione del quotidiano, 1.: Arti del fare.” Gallimard, 1980.
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Riferimento/i

Grayson PERRY (1960)
Nome: Grayson
Cognome: PERRY
Altri nome/i:

  • Sir Grayson Perry

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Regno Unito

Età: 65 anni (2025)

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