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Martedì 18 Novembre

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Ilann Vogt: Tessere la letteratura, scolpire il tempo

Pubblicato il: 24 Aprile 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 7 minuti

Ilann Vogt trasforma la letteratura in oggetti tessili con una meticolosità monastica. Armato di un taglierino, ritaglia linea per linea intere opere per trasformarle in arazzi di parole, creando così una biblioteca ideale dove il testo diventa materia e la lettura un’esperienza immediata.

Ascoltatemi bene, banda di snob, in questo mondo artistico saturo di installazioni video incomprensibili e di performance concettuali soporifere, esiste un artista che fa qualcosa di altrettanto semplice quanto audace: taglia i libri. Non in modo qualsiasi, ovviamente. Ilann Vogt, questo tessitore di testi bretone nato nel 1986, trasforma la letteratura in oggetti tessili con una meticolosità monastica che sfiora l’ossessione. Ogni giorno, armato di un taglierino e di una riga, taglia riga per riga opere intere, da Rimbaud a Proust, da Omero a Kafka, per trasformarle in arazzi di parole. E quando dico “riga per riga”, intendo letteralmente tagliare lo spazio tra ogni riga stampata, senza mai tagliare una parola, per poi intrecciare queste strisce di carta come un antico tessitore.

Vogt, uno dei tre vincitori del Luxembourg Art Prize nel 2022, premio internazionale d’arte contemporanea, lavora nella solitudine del suo atelier bretone con la costanza di un monaco copista medievale. Questo paragone non è casuale. Come i monaci che preservavano il sapere attraverso i loro manoscritti miniati, Vogt crea una biblioteca ideale mondiale, ma sotto forma di corpi tessili. È un atto di conservazione quasi paradossale: smantella fisicamente i libri per conservare meglio la loro essenza.

Se si osserva attentamente il suo lavoro, si scopre l’influenza profonda di Claude Lévi-Strauss e la sua concezione strutturalista dei miti [1]. Come l’antropologo che scomponeva i racconti mitici in unità costitutive per comprenderne la struttura profonda, Vogt smembra letteralmente il testo per rivelare un’anatomia invisibile dell’opera. De-struttura per ristrutturare, decodifica per ricodificare. Trasformando “Alla ricerca del tempo perduto” in un’immensa tela tessuta, non fa che cambiare il medium; propone una lettura strutturale dell’opera proustiana, dove il tempo non è più lineare ma simultaneo, dove il racconto non è più successione ma giustapposizione.

Questo approccio strutturalista si manifesta particolarmente nel suo metodo rigoroso. Come Lévi-Strauss che stabiliva regole rigide per l’analisi dei miti, Vogt impone a sé stesso vincoli inviolabili: utilizzare il testo nella sua lingua originale, non tagliare mai le parole, usare l’opera per intero. Questi vincoli non sono arbitrari ma essenziali al suo progetto di rivelazione strutturale dei testi. Nel suo intreccio di “Adresse au récit”, che mescola arabo, greco, inglese, francese e diverse altre lingue, riproduce quasi inconsciamente l’impresa levi-straussiana di ricerca degli invarianti attraverso la diversità culturale.

Ma non illudiamoci: Vogt non è solo un teorico freddo che gioca con la letteratura come con formule matematiche. Il suo lavoro è anche profondamente impregnato dal pensiero di Jorge Luis Borges, quell’altro amante dei labirinti testuali [2]. La “Biblioteca di Babele” borgiana, infinita e contenente tutti i libri possibili, trova eco nel progetto di Vogt di tessere potenzialmente ogni opera letteraria esistente. Come scrive Borges: “La Biblioteca è illimitata e periodica. Se ci fosse un viaggiatore eterno che la attraversasse in un senso qualsiasi, i secoli finirebbero per insegnargli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine.” [3]

Questa dimensione borgiana si manifesta anche nella trasformazione del tempo di lettura proposta da Vogt. Quando dice di volere che si possa “leggere Proust d’un solo colpo d’occhio”, si unisce alla concezione borgiana del tempo non lineare, dell’istante che contiene l’eternità. I sette volumi di “Alla ricerca del tempo perduto”, con le loro migliaia di pagine e milioni di caratteri, si trovano condensati in un solo oggetto visivo che l’occhio può abbracciare istantaneamente. È esattamente ciò che Borges descriveva in “L’Aleph”, quel punto nello spazio che contiene tutti gli altri punti: “[…] vidi […] la circolazione del mio sangue oscuro, l’ingranaggio dell’amore e la trasformazione della morte, vidi l’Aleph, da ogni angolazione, vidi sull’Aleph la terra, e sulla terra di nuovo l’Aleph e sull’Aleph la terra, […] perché i miei occhi avevano visto quell’oggetto segreto e congetturale, di cui gli uomini usurpano il nome, ma che nessun uomo ha mai guardato: l’universo inconcepibile.” [4]

Dove altri artisti contemporanei si limitano a sfiorare la superficie dei testi che utilizzano, spesso come semplice pretesto visivo, Vogt si immerge completamente nella loro materialità. C’è qualcosa di quasi erotico nel modo in cui maneggia il corpo del libro, tagliandolo, piegandolo, intrecciandolo. Non è una violenza al testo, ma una relazione consensuale, una danza intima tra artista e opera. Guardate il suo “Madame Bovary” trasformato in vestito: è molto più di un gioco visivo facile, è una lettura corporea del romanzo di Flaubert, dove l’abito diventa metafora dei desideri e dei vincoli sociali che soffocano Emma.

Il lavoro di Vogt si inserisce anche in una tradizione artigianale che la nostra epoca di produzione digitale di massa ha quasi dimenticato. Nell’era in cui qualsiasi algoritmo può generare opere in serie, lui passa ore, giorni, a volte mesi a tagliare e tessere manualmente una singola opera. Questa lentezza deliberata è un atto di resistenza contro la nostra cultura dell’immediatezza, un promemoria che certe cose non possono essere accelerate senza perdere la loro essenza.

Quello che mi piace è il modo in cui Vogt riesce a rendere visibile l’invisibile. Un libro chiuso è un oggetto ermetico, un blocco di carta inerme. Distruggendolo per tessere lo rivela la trama nascosta del testo, il suo respiro, il suo ritmo interno. I tessuti di Virginia Woolf sono densi, compatti, quelli di Paul Celan sono ariosi, frammentati. Questa visualizzazione degli stili letterari è di una rara intelligenza, una forma di critica letteraria che non passa attraverso le parole ma tramite la pura materialità.

Ma attenzione, non è perché Vogt lavora con i libri che va inserito nella categoria comoda degli “artisti del libro”. Il suo medium è la carta stampata, certo, ma il suo vero soggetto è il tempo. Come dice lui stesso parlando del suo tessuto incompleto di Proust (tutti i volumi tranne “Il tempo ritrovato”), “riflette per mezzo della materia sull’incompiuto”. I suoi tessuti sono orologi fermi, momenti congelati che contengono paradossalmente tutta la durata di una lettura.

Il mito di Penelope, che ispira esplicitamente Vogt, è anch’esso una storia di tempo sospeso, di attesa, di lavoro che non finisce mai. Ma a differenza di Penelope che disfaceva di notte ciò che tesseva di giorno, Vogt accumula le sue opere. Ogni nuovo tessuto aggiunge un volume alla sua biblioteca ideale, questa collezione impossibile che non sarà mai completa ma tende asintoticamente alla totalità borgiana.

Questa dimensione borgiana del suo lavoro non si limita all'”Indirizzo al racconto”, quest’opera babelica dove mescola le lingue. Si ritrova anche nella sua stessa concezione della lettura. Per Borges come per Vogt, leggere non è un semplice decodificare lineare di un testo bensì un’esperienza complessa dove l’immaginazione del lettore ha un ruolo importante quanto le parole dell’autore. È per questo che Vogt privilegia l’astrazione alla figurazione: non vuole imporre le sue immagini mentali ma creare uno spazio dove quelle dello spettatore possono dispiegarsi liberamente.

Quando tesse “L’Odissea” di Omero, Vogt non ci mostra Ulisse o le sirene; ci offre una materia che evoca il movimento del mare, il passaggio del tempo, l’erranza dell’eroe. Questo approccio ricorda la distinzione che Borges fa fra allegoria, che è solo una trasposizione meccanica di idee astratte in immagini concrete, e simbolo, che è aperto a una moltitudine di interpretazioni. I tessuti di Vogt sono profondamente simbolici nel senso borgiano: non rappresentano, ma evocano.

Lo scrittore argentino scriveva che “il libro è un’estensione della memoria e dell’immaginazione” [5]. Vogt sembra condividere questa visione quando parla di creare opere che permettono di “sentire il testo e percepirne l’aura in una frazione di secondo”. Non si tratta di riassumere o semplificare l’opera letteraria, ma di coglierne l’essenza, di preservarne la complessità rendendola immediatamente percepibile.

Ciò che distingue radicalmente Vogt da tanti artisti contemporanei che giocano con il testo è il suo profondo rispetto per la letteratura. Non tratta i libri come semplici materiali da distorcere, ma come universi da esplorare e onorare. Il suo gesto di tagliare non è distruttivo ma trasformativo: non uccide il testo, gli dà una nuova vita.

Ciò che fa la grandezza di Ilann Vogt è la sua capacità di abitare pienamente questo spazio intermedio tra artigianato e arte concettuale, tra letteratura e arti visive, tra tradizione e innovazione. In un mondo artistico che spesso valorizza lo spettacolare e l’immediato, propone un’opera che richiede tempo e attenzione, un’opera che, come i grandi libri che trasforma, si rivela progressivamente a chi sa guardarla.

Allora, la prossima volta che passerete davanti a una sua opera, prendetevi il tempo. Fermatevi. Guardate come la luce gioca sulle pieghe della carta tessuta. Provate a decifrare alcune parole sparse che emergono dall’intreccio. E forse, solo forse, cogliere in un attimo ciò che lo scrittore ha impiegato anni a scrivere e il lettore ore a leggere. Questo è il miracolo che ci offre Ilann Vogt: non la distruzione del libro, ma la sua trasfigurazione.


  1. Lévi-Strauss, Claude. Antropologia strutturale. Plon, 1958.
  2. Borges, Jorge Luis. Finzioni. Tradotto da P. Verdevoye e N. Ibarra. Gallimard, 1951.
  3. Borges, Jorge Luis. “La Biblioteca di Babele” in Finzioni. Gallimard, 1951.
  4. Borges, Jorge Luis. “L’Aleph” in L’Aleph. Tradotto da R. Caillois e R. L.-F. Durand. Gallimard, 1967.
  5. Borges, Jorge Luis. “Il libro” in Conferenze. Tradotto da F. Rosset. Gallimard, 1985.
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Riferimento/i

Ilann VOGT (1986)
Nome: Ilann
Cognome: VOGT
Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Francia

Età: 39 anni (2025)

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