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Jadé Fadojutimi: La sciamana dei colori vivaci

Pubblicato il: 12 Dicembre 2024

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 7 minuti

Nel suo studio londinese, Jadé Fadojutimi trasforma le sue tele monumentali in portali dimensionali, creando vortici emotivi dove regna la sinestesia. Le sue opere non sono semplici composizioni astratte, ma esperienze sensoriali totali che ci immergono in un bagno di sensazioni cromatiche.

Ascoltatemi bene, banda di snob che pensate di sapere tutto sull’arte contemporanea, lasciate che vi parli di Jadé Fadojutimi, nata nel 1993 a Londra, un’artista che fa esplodere le vostre piccole certezze come una supernova in un cielo d’estate. So già cosa mi direte: “Un’altra giovane artista sopravvalutata dal mercato!” Ma prima di tornare a sorseggiare il vostro champagne millesimato ai vostri vernissage mondani, prendetevi il tempo di ascoltare perché avete completamente torto.

Nel suo studio nel sud-est di Londra, trasformato in un laboratorio sperimentale degno dei più grandi alchimisti, conduce una danza frenetica con le sue tele, spesso di notte, come una sacerdotessa moderna che invoca gli spiriti della creazione. Il paragone non è casuale: lei stessa definisce il suo processo creativo una “stregoneria”. E quando si osservano le sue opere monumentali, alcune delle quali superano i tre metri di larghezza, si capisce perché. Non sono semplici dipinti, ma portali dimensionali verso un mondo in cui la sinestesia regna sovrana.

Prendete “The Woven Warped Garden of Ponder” (2021), venduto per 2 milioni di dollari da Christie’s. Questo dipinto non è solo una composizione astratta, ma un’esperienza sensoriale totale che ci immerge in un bagno di sensazioni cromatiche. I blu profondi si mescolano con esplosioni di rosso e arancione in una danza cosmica che fa sembrare le opere di Turner delle tranquille cartoline. Ma attenzione, non cadete nella trappola facile di vederla solo come un’erede dell’espressionismo astratto. Sarebbe come ridurre Serge Gainsbourg a un semplice cantante francese.

Ciò che si gioca qui è molto più profondo e si inserisce direttamente nella linea della fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty. Questo filosofo francese ci spiegava che la percezione non è una semplice ricezione passiva del mondo, ma un’interazione costante tra il nostro corpo e l’ambiente. Fadojutimi incarna perfettamente questa teoria nella sua pratica artistica. Ogni pennellata, ogni spruzzo di colore è una manifestazione diretta di questa interazione viscerale con il mondo che la circonda. Quando dipinge, non rappresenta semplicemente ciò che vede, ma traduce in colori e forme l’esperienza stessa della percezione.

In “How to Protect a Smile” (2022), esposto alla Hepworth Wakefield, usa pitture fotosensibili che cambiano colore con il tempo. Quest’opera monumentale non è solo una prodezza tecnica, ma una metafora vivente della nostra stessa esistenza, in costante mutamento, mai veramente fissa. Gli strati di pittura si sovrappongono come tante stratificazioni di coscienza, creando una presenza visiva che ci ricorda che la nostra identità non è mai fissa, ma sempre in divenire.

Ed è qui che la magia opera davvero. Perché Fadojutimi non è una semplice pittrice che applica colori su una tela. No, è un’esploratrice dell’ineffabile, quel concetto tanto caro a Vladimir Jankélévitch. Per questo filosofo, l’ineffabile non è ciò che non può essere detto, ma ciò che richiede un’infinità di parole per essere espresso. Le tele di Fadojutimi sono proprio questo: tentativi di dire l’indicibile, di dipingere l’impalpabile.

Prendi il suo uso del colore. Per lei non è solo uno strumento estetico, è un linguaggio a sé stante, un modo per comunicare emozioni che sfuggono al vocabolario convenzionale. Ha sviluppato quella che chiama una “sinestesia emozionale”, ogni emozione si traduce in un colore specifico. Il verde non è solo verde, è la manifestazione visiva di uno stato d’essere particolare. Questo approccio ricorda stranamente le teorie di Wassily Kandinsky sulla corrispondenza tra colori e suoni, ma Fadojutimi spinge il concetto ancora oltre.

Nel suo studio, circondata dalle sue piante, dai suoi giocattoli d’infanzia e dai suoi schermi che trasmettono in continuazione anime giapponesi, crea un ambiente totale che nutre la sua creazione. Non è solo uno spazio di lavoro, è un ecosistema creativo in cui ogni elemento contribuisce all’alchimia finale. Le notti che trascorre a dipingere non sono semplici sessioni di lavoro, sono rituali di trasformazione in cui l’artista diventa medium, canalizzando forze creative che superano la semplice volontà individuale.

E parliamo di questa influenza della cultura giapponese sul suo lavoro. Diversamente da tanti artisti occidentali che si limitano a un giapponismo superficiale, Fadojutimi ha sviluppato una vera comprensione dell’estetica nipponica. Il suo amore per l’anime non è una semplice moda passeggera, è un’influenza fondamentale che ha plasmato la sua visione artistica sin dall’infanzia. Nelle sue opere si ritrova la stessa capacità di creare mondi paralleli che sono insieme familiari e strani, la stessa attenzione alle transizioni sottili, la stessa celebrazione dell’effimero.

La questione dell’identità attraversa tutta la sua opera come un filo rosso incandescente. In quanto britannica di origine nigeriana, avrebbe potuto facilmente cadere nei cliché dell’arte “postcoloniale”. Ma no, trascende queste categorie facili per creare qualcosa di molto più universale. Le sue tele non parlano tanto di identità culturale quanto di identità umana nel suo senso più ampio. Esplorano quel momento preciso in cui ci guardiamo allo specchio e non sappiamo più molto bene chi siamo.

“A Permeable Existence” (2022) è forse l’opera che illustra meglio questa ricerca. Gli strati di pittura si interpenetrano come tanti stati di coscienza differenti, creando uno spazio pittorico che è allo stesso tempo profondamente personale e stranamente universale. Le forme emergono e si dissolvono come ricordi a metà dimenticati, creando una mappa emotiva che parla a ciascuno di noi.

Ma ciò che rende il suo lavoro veramente rivoluzionario è che crea opere che sono insieme intellettualmente stimolanti e visceralmene potenti. In un’epoca in cui tanti artisti contemporanei si perdono o in un concettualismo arido o in un espressionismo facile, Fadojutimi riesce nell’impresa di creare un’arte che coinvolge sia la mente sia i sensi.

Il suo processo creativo è esso stesso una performance. Danza letteralmente con le sue tele, a volte prendendo slancio per applicare la pittura, creando movimenti che ricordano più una coreografia che una sessione di pittura tradizionale. Questa fisicità si ritrova nelle opere finite, dove ogni gesto è catturato come un momento congelato nel tempo, una traccia di quella danza notturna con la creazione.

E non parliamo nemmeno del suo uso dello spazio. Le sue grandi tele non sono semplicemente grandi per impressionare i collezionisti, la loro dimensione è intrinseca al loro significato. Creano ambienti immersivi che ci costringono a ripensare il nostro rapporto con lo spazio pittorico. Non sono finestre su un altro mondo, come nella tradizione della pittura occidentale, ma portali che ci invitano a entrare fisicamente nello spazio della pittura.

“The Empress of the Plants” (2022), con i suoi otto metri di lunghezza, non è tanto un dipinto quanto un ambiente totale, un’installazione che ci avvolge nel suo universo cromatico. I colori vibrano e pulsano come esseri viventi, creando un’esperienza che è vicina sia alla realtà virtuale sia alla pittura tradizionale.

Ma ciò che forse è più impressionante nel suo lavoro è la sua capacità di rimanere autentica nonostante un successo commerciale fulminante. Mentre molti artisti si lasciano corrompere dal mercato, producendo variazioni infinite dei loro maggiori successi, Fadojutimi continua a sperimentare, a prendersi dei rischi, a spingere i limiti di ciò che la pittura può essere.

Il suo passaggio da Gagosian nel 2022 avrebbe potuto segnare l’inizio di una commercializzazione eccessiva del suo lavoro. Invece, ha utilizzato le risorse della galleria per creare opere ancora più ambiziose, ancora più radicali. È raro, molto raro, vedere un’artista usare il sistema a suo vantaggio senza lasciarsi assorbire da esso.

E forse è lì che risiede la vera importanza di Jadé Fadojutimi nel panorama artistico contemporaneo. Ci mostra che è ancora possibile creare un’arte autentica e personale mentre si naviga nelle acque torbide del mercato dell’arte contemporanea. Le sue opere sono prove viventi che la pittura non è morta, che continua a evolversi e a reinventarsi. Il suo lavoro ci ricorda anche il potere unico della pittura: la sua capacità di creare esperienze che coinvolgono tutto il nostro essere, non solo i nostri occhi. Le sue tele non sono oggetti da contemplare passivamente, sono inviti all’esperienza, portali verso altri stati di coscienza.

Quindi sì, potete continuare a vedere nelle sue tele semplici esplosioni di colori astratti, potete continuare a ridurre il suo successo a una bolla speculativa del mercato dell’arte. Ma vi perdereste l’essenziale. Ciò che Fadojutimi ci offre è molto più di un’esperienza estetica, è un invito a ripensare il nostro rapporto con il mondo sensibile, a esplorare quelle zone della nostra esperienza che sfuggono al linguaggio verbale.

Tra cinquant’anni, quando gli storici dell’arte guarderanno indietro, vedranno in Jadé Fadojutimi non semplicemente un’artista che ha avuto successo da giovane, ma qualcuno che ha cambiato fondamentalmente la nostra comprensione di cosa può essere la pittura nel XXI secolo. E se non mi credete, andate a vedere le sue opere da soli. Ma attenzione: potreste non uscire indenni da questo incontro con l’ineffabile.

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Riferimento/i

Jadé FADOJUTIMI (1993)
Nome: Jadé
Cognome: FADOJUTIMI
Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Regno Unito

Età: 32 anni (2025)

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