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Joseph Kosuth: L’arte come filosofia in azione

Pubblicato il: 21 Gennaio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 7 minuti

Le installazioni di Joseph Kosuth trasformano il linguaggio in esperienza visiva, creando dialoghi affascinanti tra testo e spazio. I suoi neon luminosi e i suoi fotostat concettuali ci invitano a riflettere sulla natura stessa dell’arte e sul suo rapporto con il pensiero filosofico.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Se pensate che Joseph Kosuth (nato nel 1945) sia solo un artista che si diverte a fotografare sedie e a scrivere definizioni di dizionario sui muri, vi sbagliate di grosso. Questo pioniere dell’arte concettuale americana, che ha fatto tremare le fondamenta stesse dell’arte tradizionale, merita che ci si soffermi sul suo percorso intellettuale con l’attenzione che richiede.

Lasciate che vi racconti come questo giovane di Toledo, Ohio, è diventato uno degli artisti più influenti della sua generazione. A soli vent’anni, crea “One and Three Chairs”, un’opera destinata a diventare emblematica dell’arte concettuale. Una semplice sedia di legno, la sua fotografia a grandezza naturale e la definizione della parola “sedia” tratta dal dizionario. Questo è tutto. Ma non lasciatevi ingannare, questa apparente semplicità nasconde una riflessione profonda sulla stessa natura dell’arte e della rappresentazione.

Kosuth trasforma concetti filosofici complessi in esperienze visive accessibili. Prendiamo l’esempio di questa tristemente famosa sedia. Presentando tre manifestazioni diverse dello stesso oggetto, non si limita a giocare con la nostra percezione, ma ci costringe a mettere in discussione la natura stessa della rappresentazione e della realtà. La sedia fisica, la sua fotografia e la sua definizione testuale non sono semplicemente tre modi di rappresentare lo stesso oggetto, ma tre modalità distinte di esistenza e significato.

Questo approccio si ispira direttamente alla filosofia del linguaggio di Ludwig Wittgenstein, per il quale le parole hanno senso solo nel loro uso. Kosuth spinge questa riflessione oltre suggerendo che l’arte stessa ha senso solo nel suo contesto concettuale. È come se Platone e la sua teoria delle forme incontrassero Andy Warhol in un seminario di filosofia analitica. La sedia non è più semplicemente un oggetto, ma diventa un vettore di riflessione sulla natura stessa della rappresentazione e del significato.

Nella sua serie rivoluzionaria “Art as Idea as Idea”, Kosuth radicalizza ancora di più il suo approccio. Riproducendo semplicemente definizioni di dizionario in bianco e nero, elimina ogni traccia di estetica tradizionale. Questi fotostati di definizioni, presentati come opere d’arte, costituiscono una provocazione intellettuale importante. Mettono in discussione non solo la natura dell’arte ma anche il suo modo di produzione e recezione.

Ciò che mi diverte è che alcuni critici dell’epoca accusarono Kosuth di essere troppo intellettuale, troppo cerebrale. Quegli stessi critici che si estasiavano davanti a tele astratte senza porsi la minima domanda sul loro significato giudicavano improvvisamente l’arte concettuale troppo esigente. Che ironia! Come se la riflessione intellettuale fosse incompatibile con l’esperienza artistica.

Il rapporto di Kosuth con il linguaggio è particolarmente affascinante. Nelle sue installazioni al neon, usa le parole non come semplici portatrici di senso, ma come oggetti visivi a pieno titolo. “Five Words in Blue Neon” (1965) è un esempio perfetto di questo approccio. Le parole scritte in neon blu dicono esattamente quello che sono: cinque parole in neon blu. Questa apparente tautologia nasconde una riflessione profonda sulla natura autoriferita dell’arte.

Il suo saggio fondamentale “Art After Philosophy” (1969) sviluppa questa riflessione in modo teorico. Per Kosuth, l’arte ha preso il posto della filosofia come modo di interrogarsi sulla natura della realtà e del senso. Sostiene che da Marcel Duchamp in poi, tutta l’arte è concettuale per natura, perché l’arte esiste solo concettualmente. Questa posizione radicale ha influenzato generazioni di artisti e continua a risuonare nell’arte contemporanea.

Gli anni Settanta segnano una svolta nella sua pratica. Kosuth inizia a studiare antropologia e filosofia alla New School for Social Research di New York. Questo periodo vede il suo lavoro arricchirsi di nuove prospettive teoriche. Si interessa particolarmente alle strutture di potere che governano il mondo dell’arte e al modo in cui il senso viene prodotto e controllato nella società.

La sua installazione “Text/Context” (1979) illustra perfettamente questa evoluzione. Collocando citazioni filosofiche su cartelloni pubblicitari, crea un dialogo inaspettato tra il pensiero puro e lo spazio pubblico commerciale. Quest’opera non si limita a mettere in discussione la natura dell’arte, ma interroga anche il suo posto nella società e il suo rapporto con il potere economico.

L’influenza di Jacques Derrida e della sua teoria della decostruzione diventa visibile anche nel suo lavoro. Per Derrida il senso non è mai fisso, è sempre in movimento, sempre differito. Le installazioni al neon di Kosuth materializzano quest’idea. Le parole brillano come pensieri fugaci nella notte della nostra coscienza, il loro senso costantemente in flusso.

La sua pratica artistica si caratterizza anche per un uso sofisticato dello spazio. Nelle sue installazioni, il testo non è semplicemente appeso al muro come un quadro, ma fa parte integrante dell’ambiente. Le parole in neon creano il loro proprio spazio luminoso, trasformando la galleria in un luogo di riflessione sia letterale che metaforica.

L’installazione permanente al Louvre, “Ni apparence ni illusion” (2009), illustra magistralmente questo approccio. I testi in neon bianco, installati nelle fondazioni medievali del museo, creano un dialogo affascinante tra storia e contemporaneità. Le parole luminose si riflettono sulle pietre antiche, creando un contrasto sorprendente tra la materialità grezza del passato e l’immaterialità concettuale del presente. Quest’opera monumentale dimostra la capacità di Kosuth di trasformare uno spazio storico in un luogo di riflessione filosofica.

Negli anni 1980 e 1990, Kosuth prosegue la sua esplorazione del linguaggio e del senso attraverso installazioni sempre più ambiziose. Inizia a integrare citazioni di autori diversi nelle sue opere, creando reti complesse di significati. Questi testi, spesso presentati in neon o in vinile su pareti dipinte di grigio scuro, costituiscono una sorta di mappatura del pensiero contemporaneo.

Ma ciò che distingue veramente Kosuth è che mantiene una coerenza intellettuale durante tutta la sua carriera. Mentre molti artisti concettuali sono stati sedotti dalle sirene del mercato dell’arte, lui è rimasto fedele alla sua visione originaria. In un mondo dell’arte dominato da mode e tendenze effimere, è riuscito a mantenere una linea di ricerca coerente per più di cinquant’anni. Il suo lavoro continua a interrogare la natura dell’arte e il suo rapporto con il linguaggio e il pensiero, e ci ricorda che l’arte concettuale non è una semplice moda degli anni 1960, ma un approccio ancora pertinente per interrogare il nostro rapporto col mondo.

L’installazione “A Conditioning of Consciousness” (1988) è particolarmente rivelatrice di questo approccio. Mettendo a confronto citazioni di diversi filosofi con immagini d’archivio, Kosuth crea un dispositivo complesso che ci costringe a riflettere su come la nostra coscienza sia condizionata dal linguaggio e dalle immagini. È un vero e proprio labirinto concettuale dove ogni elemento rimanda a un altro in una catena infinita di significati.

Ciò che mi piace di Kosuth è che rende il complesso accessibile senza semplificarlo. Le sue opere funzionano come porte d’ingresso verso riflessioni più profonde. Si possono apprezzare a diversi livelli: per la loro bellezza formale, per il loro gioco intellettuale oppure per la loro critica sociale e istituzionale. È questa molteplicità di letture possibili che rende ricco il suo lavoro.

Negli anni 2000, Kosuth continua a sorprenderci con progetti monumentali come la sua commissione per il Bundestag tedesco. Questa installazione, che integra testi di Thomas Mann e Ricarda Huch, trasforma lo spazio politico in un luogo di riflessione sulla democrazia e il potere. È un esempio perfetto di come l’arte concettuale possa intervenire nello spazio pubblico e contribuire al dibattito politico.

La grande forza di Kosuth risiede nella sua capacità di creare opere che resistono al tempo. Contrariamente a molti artisti concettuali il cui lavoro sembra oggi datato, le sue installazioni continuano a interrogarci. Ci invitano a riflettere su questioni fondamentali: cos’è l’arte? Come si produce il senso? Qual è la relazione tra linguaggio e realtà?

Il suo lavoro recente mostra un’evoluzione sottile ma significativa. Le installazioni diventano più complesse, integrando diversi livelli di lettura e di riferimento. I testi non sono più semplicemente presentati come definizioni o citazioni, ma si intrecciano in composizioni sofisticate che creano nuove reti di significato.

La mostra “A Short History of My Thought” (2017) alla Anna Schwartz Gallery di Melbourne è emblematico di questo approccio. Riunendo opere di diverse epoche, permette di vedere come le preoccupazioni iniziali di Kosuth sulla natura dell’arte e del linguaggio si siano arricchite nel tempo, pur rimanendo fedeli alla loro impulsione originaria.

E mentre alcuni si entusiasmano davanti a NFT privi di sostanza, Kosuth continua tranquillamente la sua esplorazione del senso e del non senso nell’arte. Ci mostra che è possibile creare un’arte intellettualmente esigente senza cadere nell’ermetismo o nell’élitismo. Le sue opere ci invitano a pensare, ma ci lasciano anche la libertà di interpretare e sentire.

La prossima volta che vedrete un’opera di Kosuth, non limitatevi a guardarla, rifletteteci. Lasciate risuonare le parole nella vostra mente. Lasciatevi trasportare dal gioco dei significati. Perché è lì che risiede la vera bellezza del suo lavoro: nella sua capacità di farci vedere oltre le apparenze, di farci pensare al di là delle evidenze. Non è forse questo il vero ruolo dell’arte concettuale?

Joseph Kosuth ci ricorda che l’arte non è solo una questione di forme e colori, ma di produzione di senso. La sua opera è un invito costante alla riflessione, una sfida alle nostre abitudini di pensiero, una messa in discussione delle nostre certezze sulla natura dell’arte e della realtà. Il suo lavoro rimane un faro che ci guida verso questioni più essenziali.

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Riferimento/i

Joseph KOSUTH (1945)
Nome: Joseph
Cognome: KOSUTH
Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Stati Uniti

Età: 80 anni (2025)

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