English | Italiano

Martedì 18 Novembre

ArtCritic favicon

La danza dissonante di Amy Sillman

Pubblicato il: 28 Marzo 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

I dipinti di Amy Sillman incarnano una coreografia splendidamente goffa, dove astrazione e figurazione si abbracciano e si mordono contemporaneamente, creando una tensione visiva che sfida ogni categorizzazione semplicistica.

Ascoltatemi bene, banda di snob, è tempo di parlare di Amy Sillman, questa pittrice le cui opere sono come schiaffi deliziosi alle convenzioni pittoriche, esercizi di alta acrobazia dove astrazione e figurazione si abbracciano e si mordono contemporaneamente.

Nata nel 1955 a Detroit e cresciuta a Chicago, Sillman è quella newyorkese d’adozione che porta dentro di sé tutta la rudezza del Midwest e la sofisticazione fervente di Manhattan. Non è un caso che abbia aspettato ben passati i quarant’anni prima di essere riconosciuta da un mondo dell’arte troppo occupato a inseguire installazioni video male illuminate o tele gigantesche dipinte da uomini con ego sovradimensionato.

La pittura di Sillman è una coreografia splendidamente goffa, un tango tra forma e informe. Guardate “Elephant in the Room” (2006) o più recentemente le sue opere presentate alla galleria Gladstone nel 2020: a prima vista, potreste pensare a un delirio cromatico gioioso, ma sappiate che vi state sbagliando. Ciò che Sillman realizza è una sorta di danza moderna in cui ogni gesto pittorico è allo stesso tempo controllato e spontaneo, calcolato e viscerale.

La danza, quest’arte del corpo per eccellenza, ci offre una chiave di lettura privilegiata per comprendere l’opera di Sillman. Come scriveva giustamente Valéry: “La danza è l’atto puro delle metamorfosi” [1]. Questa riflessione potrebbe applicarsi altrettanto bene alla pittura di Sillman, che si trasforma costantemente, mai fissa, sempre in movimento. Le sue pennellate somigliano ai movimenti di una coreografia di Pina Bausch: apparentemente caotiche ma seguendo una logica interna implacabile.

La coreografa Mary Wigman, figura di spicco della danza espressionista tedesca, parlava di “la tensione tra ordine e caos, tra struttura e libertà” [2]. Questa tensione abita ogni centimetro quadro delle tele di Sillman. Il suo processo creativo è come un’improvvisazione danzata, dove l’equilibrio precario tra struttura e abbandono costituisce l’essenza stessa dell’opera.

Nella sua serie “Landline” esposta al Camden Arts Centre nel 2018, Sillman propone una sequenza visiva che si avvicina agli studi di movimento di un coreografo. Le sue linee calligrafiche tracciano traiettorie nello spazio pittorico che evocano le notazioni coreografiche di Rudolf Laban. Lo spazio diventa così un territorio sia mentale che fisico, dove le forme eseguono un balletto complesso.

Sillman comprende che la pittura, come la danza, è un’arte del tempo. Le sue opere registrano il tempo impiegato nella loro creazione, ogni strato testimoniando un momento specifico, una decisione, un’esitazione, un cambiamento di intenzione. Come scrive la teorica della danza Laurence Louppe: “Nella danza, l’istante non scompare a vantaggio del successivo, si trasforma in esso” [3]. Allo stesso modo, le tracce precedenti nei quadri di Sillman non scompaiono mai completamente; sono trasformate, reinventate, reincorporate in una nuova configurazione.

Se la danza ci aiuta a cogliere la dimensione corporea e temporale dell’opera di Sillman, la psicoanalisi ci permette di esplorarne le profondità psichiche. Perché queste tele sono ben più di piacevoli arrangiamenti di colori e forme, sono manifestazioni visive di tensioni psichiche, ambivalenze e desideri contrastanti.

In un articolo per Texte Zur Kunst nel 2011, Sillman scrive: “Sono interessata all’astrazione come una forma di pensiero che può incorporare e contenere forze opposte” [4]. Questo pensiero fa eco alle teorie di Melanie Klein sulla posizione depressiva, quello stato psichico in cui l’individuo riesce a integrare gli aspetti contraddittori della propria esperienza, il bene e il male, l’amore e l’odio, in una totalità complessa ma coerente [5].

I dipinti di Sillman, con le loro forme che sembrano simultaneamente attrarsi e respingersi, incarnano perfettamente questa tensione kleiniana. In “Psychology Today” (2006), per esempio, una struttura cubica giallo-verde è perturbata da segni rossi scarabocchiati, mentre gambe incongrue pendono dal basso della tela. È come se assistessimo alla lotta tra il principio del piacere e il principio di realtà, tra l’Es e il Super-Io, giocata sulla scena della tela.

Julia Kristeva, nella sua analisi dell’abiezione, parla di questa zona incerta tra soggetto e oggetto, di questo confine poroso dove l’identità è costantemente minacciata e riaffermata [6]. I dipinti di Sillman abitano precisamente questo spazio liminale. Le sue forme astratte evocano spesso frammenti corporei, un seno, un braccio, un piede, senza mai fissarsi in una rappresentazione letterale. Rimangono in questo tra-due inquietante che caratterizza l’abietto secondo Kristeva.

Questa dimensione psicoanalitica è particolarmente evidente nei suoi disegni di coppie, dove ritraeva i suoi amici in momenti di intimità domestica. Queste opere, che poi ha trasposto in composizioni astratte, rivelano come il desiderio e l’identificazione attraversino il suo lavoro. Osservando queste coppie, Sillman si pone nella posizione del terzo escluso, del testimone che partecipa ma resta fuori dalla scena intima, posizione classica del terapeuta nella cura analitica.

Ma Sillman non è ingenua nei confronti della psicoanalisi. La usa come uno strumento tra i tanti, senza mai sottomettersi completamente a essa. Come ha detto durante una conferenza: “Diffido di ogni teoria che pretenda di spiegare tutto” [7]. Il suo spirito mordace e la sua capacità di autoironia sono una barriera contro qualsiasi interpretazione dogmatica del suo lavoro.

Perché sì, questi dipinti sono divertenti, con un umorismo sottile, a volte pungente, ma indiscutibile. Prendete i suoi zine, quelle pubblicazioni a tiratura limitata che produce regolarmente dal 2009. In “The O-G”, include vignette, piani di tavolo satirici per cene mondane, saggi e schizzi che rivelano uno spirito acuto e caustico. Il suo approccio ricorda quello di Rabelais, usando l’umorismo come arma contro ogni forma di autorità e certezza.

I titoli delle sue opere, “Me and Ugly Mountain”, “Psychology Today”, “The Elephant in the Room”, testimoniano questo spirito ironico. Funzionano come occhiate complici verso lo spettatore, invitandolo a non prendere troppo sul serio ciò che altrimenti potrebbe sembrare austero o ermetico.

Sillman condivide con Philip Guston questa capacità di infondere umorismo nell’astrazione, di umanizzare ciò che potrebbe rimanere freddo e distante. Come scriveva Michail Bakhtin a proposito del carnevalesco, l’umorismo permette di “abolire provvisoriamente tutte le relazioni gerarchiche, i privilegi, le regole e i tabù” [8]. In un mondo dell’arte spesso rigido e gerarchizzato, la pittura di Sillman agisce come una zona temporanea di autonomia dove le regole abituali sono sospese.

Questa dimensione umoristica è particolarmente evidente nelle sue animazioni, che ha iniziato a creare sul suo iPhone nel 2009. Questi piccoli film, dove le forme si trasformano continuamente, sono come scherzi visivi che si sviluppano nel tempo. Ricordano i cartoni animati d’altri tempi, quelli dei fratelli Fleischer o di Tex Avery, dove i corpi sono costantemente deformati, allungati, compressi, senza mai perdere la loro vitalità essenziale.

Ma l’umorismo di Sillman non è mai gratuito. Serve ad affrontare temi seri, il corpo, il desiderio, l’ansia, la politica, in modo obliquo ma efficace. Come diceva Freud, l’umorismo è un meccanismo di difesa sofisticato che ci permette di affrontare l’angoscia [9]. I dipinti di Sillman sono divertenti proprio perché sono profondi, perché toccano verità scomode sulla nostra condizione.

Ciò che rende il lavoro di Amy Sillman così vitale è che reinventa la pittura astratta per la nostra epoca turbolenta. In un periodo in cui questo medium è stato più volte dichiarato morto, in cui l’espressione personale è spesso vista con sospetto, in cui l’arte è sempre più assimilata a una merce o a un intrattenimento, Sillman insiste nel creare opere che esigono un reale impegno.

Il suo lavoro è politicamente impegnato, non illustrando cause o proclamando slogan, ma incarnando una forma di resistenza attraverso la sua pratica stessa. Come ha osservato la critica Helen Molesworth, la pittura di Sillman propone una critica femminista dello sguardo, spostando l’attenzione dalla struttura della rappresentazione ai sentimenti che emergono quando si diventa consapevoli di essere osservati [10].

Sillman rifiuta la facilità, l’immediatezza, il consumo rapido. Le sue opere si rivelano lentamente, richiedono tempo, invitano alla contemplazione attiva piuttosto che al riconoscimento passivo. In un mondo saturato da immagini digitali effimere, i suoi dipinti affermano il valore dell’esperienza fisica, della materialità, della presenza.

Come ha detto lei stessa: “Credo profondamente nella politica dell’improvvisazione. Nei suoi aspetti migliori, riguarda la contingenza, le emozioni. Camminare sulla corda” [11]. Questa metafora del funambolo cattura perfettamente ciò che fa la grandezza della sua arte: il rischio costante, l’equilibrio precario, la vulnerabilità assunta.

Le opere recenti di Sillman, con le loro composizioni leggermente sbilanciate che evocano un senso di squilibrio, di terreno instabile, riflettono il nostro tempo incerto. Sono come sismografi che registrano i tremori del nostro mondo. Di fronte al COVID, alle crisi politiche e climatiche, i suoi dipinti ci offrono non un rifugio, ma uno spazio in cui queste ansie possono essere espresse, esplorate, forse persino temporaneamente addomesticate.

Amy Sillman ci ricorda che la pittura non è solo un oggetto da contemplare, ma un evento da vivere, un incontro da rischiare, una conversazione da proseguire. In un mondo che valorizza la certezza e il controllo, difende il diritto al dubbio, all’esitazione, all’ambivalenza produttiva. E questo è proprio ciò di cui abbiamo bisogno oggi.


  1. Valéry, Paul. Filosofia della danza, Gallimard, Parigi, 1957.
  2. Wigman, Mary. Il linguaggio della danza, Wesleyan University Press, Middletown, 1966.
  3. Louppe, Laurence. Poetica della danza contemporanea, Contredanse, Bruxelles, 2000.
  4. Sillman, Amy. “Reazione Affirmativa”, Texte Zur Kunst, Dicembre 2011.
  5. Klein, Melanie. Amore, colpa e riparazione, The Hogarth Press, Londra, 1975.
  6. Kristeva, Julia. I poteri dell’orrore: Saggio sull’abbiezione, Seuil, Parigi, 1980.
  7. Sillman, Amy. Conferenza alla Städelschule, Francoforte, 2012.
  8. Bakhtine, Mikhaïl. Il lavoro di François Rabelais e la cultura popolare nel Medioevo e sotto il Rinascimento, Gallimard, Parigi, 1970.
  9. Freud, Sigmund. Il gioco di parole e la sua relazione con l’inconscio, Gallimard, Parigi, 1988.
  10. Molesworth, Helen. “Amy Sillman: Guarda, Tocca, Abbraccia”, in One Lump or Two, Institute of Contemporary Art, Boston, 2013.
  11. Sillman, Amy. Intervista con Tausif Noor, Frieze, 2 marzo 2021.
Was this helpful?
0/400

Riferimento/i

Amy SILLMAN (1966)
Nome: Amy
Cognome: SILLMAN
Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Stati Uniti

Età: 59 anni (2025)

Seguimi