English | Italiano

Martedì 18 Novembre

ArtCritic favicon

La turbolenza segreta dei dipinti di Victor Man

Pubblicato il: 21 Maggio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 13 minuti

Victor Man elabora una pittura figurativa dalle tonalità scure in cui le identità si frammentano e si ricompongono in un’atmosfera crepuscolare. Attraverso un lavoro meticoloso di strati pittorici e riferimenti storici sottili, crea un universo visivo enigmatico che mette in discussione la nostra percezione e il nostro rapporto con l’immagine.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Victor Man non è un artista da affrontare alla leggera, come si farebbe per una mostra di pitture floreali in una galleria di quartiere. Il suo universo pittorico oscuro e misterioso richiede un’attenzione particolare, una disponibilità a perdersi nei suoi labirinti visivi dove l’identità umana si frammenta e si ricompone in tavole enigmatiche che rifiutano la lettura diretta.

Nato nel 1974 a Cluj, Romania, Victor Man è emerso sulla scena artistica internazionale nel momento in cui l’Europa dell’Est iniziava ad affermarsi nel mondo dell’arte contemporanea post caduta del Muro. Ampiamente scoperto nel 2007 durante la Biennale di Venezia, il suo lavoro esplora da vent’anni le ossessioni virtuose di una pittura di rappresentazione che mette in discussione tanto quanto afferma. Ma non aspettatevi spiegazioni facili, Man coltiva l’ambiguità come altri coltivano il proprio giardino.

La sua pittura evoca un crepuscolo persistente, un luogo intermedio dove le forme emergono in una tavolozza ridotta di neri, blu profondi e verdi scuri. Potremmo parlare di un’estetica del mistero, ma sarebbe troppo semplice. È piuttosto un’archeologia visiva dove ogni strato rivela tanto quanto nasconde, dove la memoria collettiva e personale si intrecciano in un gioco di riferimenti costanti.

L’artista rumeno pratica un’arte del sottilissimo furto, prelevando immagini da fonti diverse, media, storia dell’arte, cultura popolare, per svuotarle del loro significato originario. Come spiega lui stesso: “Utilizzo spesso immagini che hanno un significato specifico nei media. Svuotarle significa che non le scelgo per il loro ‘valore’ ma per il loro potenziale rappresentativo come immagini, per costruirci un nuovo contenuto” [1]. Questo processo di decontestualizzazione crea un universo visivo in cui lo spettatore si trova di fronte a frammenti narrativi incompleti, a storie interrotte che stimolano l’immaginazione senza mai soddisfarla completamente.

Durante la sua prima mostra personale negli Stati Uniti, intitolata “Black Hearts Always Bleed Red”, Man ha messo in atto questa strategia con una efficacia formidabile. Le installazioni, composte principalmente da dipinti e stampe su acetato in grigi atmosferici, fluttuavano sui muri come reliquie di società segrete, disconnesse e alla deriva negli spazi bianchi della galleria, impermeabili allo sguardo dello spettatore. In altre parole, le immagini di Man non sono prive di storia, ma rifiutano di rivelarla. La maggior parte sono prese da fonti mediatiche, scelte per “provocare lo spettatore a cercare il proprio riconoscimento” e per il loro potenziale di influenzarsi reciprocamente, una strategia che rompe con le narrazioni precedenti che potevano soffermarsi sull’immagine individuale [2].

Lo stile pittorico di Man è dolce e sottile, evocando immagini simili oniriche di Luc Tuymans. Per entrambi gli artisti, sottili strati di pittura attenuata sfiorano la materia della tela, così che il soggetto rimane integrato nella propria superficie eterea. Tuttavia, il lavoro di Man rifiuta la definizione che colloca i soggetti di Tuymans in una narrazione storica più ampia. Invece, colpisce esattamente nel punto in cui il senso inizia a cristallizzarsi [3].

Questa tensione tra rivelazione e occultamento attraversa tutta l’opera di Man. Essa si collega a ciò che Jacques Lacan, nel suo saggio presentato al 16° Congresso dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale nel 1949, identificava come il momento fondante della formazione dell’io nel riflesso dello specchio. L’identità, come Lacan la comprendeva, nasceva nel riconoscimento dell’immagine come se stessi. Essenzialmente, la rappresentazione della forma umana nell’arte ha seguito lo stesso modello: facendo il ruolo dello specchio, l’opera d’arte rigioca il momento del riconoscimento in uno scambio che, in definitiva, rassicura lo spettatore [4].

La psicoanalisi lacaniana ci offre una chiave di lettura rilevante per affrontare l’opera di Victor Man. Se l’identità si forma nel riconoscimento dell’immagine speculare, cosa succede quando questa immagine è frammentata, oscurata, resa parzialmente invisibile? Le figure umane nei dipinti di Man sono spesso decapitate, mascherate o parzialmente visibili, come nella serie “The Chandler” (2013), dove una donna la cui testa è stata deliberatamente staccata dalla parte superiore del quadro tiene una testa, probabilmente la propria, sulle ginocchia, modificando sottilmente la sua posizione in enigmatiche variazioni in altri dipinti. Man estende questa tradizione surrealista dell’acèfalo ad altezze altrettanto sinistre che si dispiegano in opere simili come “Untitled” (2012), dove la testa di un giovane è in gran parte coperta dal pugno su cui si appoggia, un pugno che funge anche da base a un teschio nero che impedisce in parte al giovane di vedere oltre [5].

Questa perturbazione dell’immagine speculare crea una crepa nel processo di identificazione, uno spazio in cui l’identità diventa instabile, fluida, aperta a molteplici interpretazioni. È proprio in questo spazio che risiede la potenza del lavoro di Man, non nell’affermazione di un’identità fissa, ma nell’esplorazione delle infinite possibilità che si aprono quando l’identità viene messa in discussione.

Ma la psicoanalisi è solo uno dei numerosi livelli di lettura possibili dell’opera di Man. Il suo tropismo heideggeriano non è certo casuale, considerando l’esistente come un “essere gettato lì” su un piano orizzontale il cui parallelismo con gli altri sottintende uno sfasamento, questa volta verticale, della sua linea d’orizzonte. Le silhouette e i volti si sovrappongono, si accordano e si moltiplicano nei tratti di altri che la memoria confonde, in un modo certamente meno involontario che atteso. La tentazione nasce di ricostruire un’eredità mentale e personale invitando lo spettatore ad immergersi negli strati delle rappresentazioni, a leggere dietro le ombre e davanti ai veli le molteplici mescolanze che fanno di ciascuna delle figure, di ciascun ricordo dell’artista, una chimera che continua a infestare il presente [6].

La filosofia esistenzialista di Martin Heidegger, con il suo concetto di essere-nel-mondo e la sua analisi dell’angoscia come rivelatore della nostra condizione fondamentale, trova un’eco visiva nei dipinti di Man. Le figure solitarie, immerse in atmosfere crepuscolari, incarnano questa condizione esistenziale in cui l’essere umano è confrontato con la sua finitezza e con l’assurdità della sua esistenza. Ma, contrariamente a Heidegger, Man non cerca di risolvere questa angoscia esistenziale, la esplora, la disseziona, la trasforma in esperienza estetica.

Le opere di Man sono impregnate di un’atmosfera oscura intrisa di malinconia, in cui si mescolano preoccupazioni sottese associate all’identità personale, alla memoria collettiva e al sacro, così come alla violenza, al mistico e all’erotico [7]. Questa complessità tematica si traduce in un approccio pittorico che sfida le categorizzazioni facili. Il suo stile, complesso e difficile da catalogare, rivela numerosi riferimenti alla storia dell’arte rappresentando simultaneamente una posizione unica nella pittura contemporanea.

Prese singolarmente o nel loro insieme, le opere di Victor Man liberano frammenti di storie incompiute, suscitando libere associazioni negli spettatori e provocando una certa disorientamento. Come spiega lo stesso artista: “Evito di dare uno status definitivo alle mie opere. Mi piace l’idea di penetrare lentamente le cose e mantenere una certa distanza. Se le cose diventano troppo esplicite, aggiungo un altro elemento che sconvolge la loro coerenza” [8]. Questa ambiguità è evidente nel rapporto di Victor Man con le immagini che fungono da punto di partenza per le sue opere. Estratte dal loro contesto, queste immagini sono “svuotate” del loro significato iniziale e assumono altri livelli di significato più subliminali.

Ma non fraintendetemi, questo rifiuto del senso esplicito non è un gesto nichilista. È piuttosto un invito a una forma di attenzione più profonda, più impegnata. Come ha notato Neville Wakefield nell’intervista con l’artista per Flash Art: “È interessante ciò che è contenuto in una firma, la quantità di informazioni. Penso al modo in cui l’identità artistica è condensata. Il modo in cui forse le persone comprendono l’opera di Victor Man come appartenente a, o rappresentativa di un certo tipo di pittura o di un certo tipo di installazione. È interessante quanto tutte queste informazioni siano contenute nella firma, anche quando la firma è uno stile” [9].

Questa idea della firma come stile è particolarmente pertinente per comprendere l’opera di Man. La sua tavolozza scura, le sue figure frammentate, i suoi riferimenti criptici alla storia dell’arte e alla letteratura costituiscono una firma visiva immediatamente riconoscibile. Ma questa firma non è un semplice marchio personale, è un linguaggio visivo complesso che permette all’artista di esplorare questioni fondamentali sull’identità, la memoria e la rappresentazione.

La mostra “The Lines of Life” allo Städel Museum di Francoforte, che presenta una ventina di opere dell’artista rumeno degli ultimi dieci anni, è dedicata al focus artistico di Man: i ritratti. In verdi, blu e neri profondamente scuri, crea ritratti tanto sensibili quanto enigmatici, dominati da un tono esistenzialista, oscuro e introspettivo. Sottili influenze della pre-Rinascenza, dense di metafore, emergono nell’immaginario melanconico di Man [10]. Questi ritratti non sono rappresentazioni fedeli di persone reali, ma piuttosto esplorazioni della condizione umana, meditazioni visive su ciò che significa essere un soggetto in un mondo dove le certezze crollano.

Il titolo della mostra, “The Lines of Life”, è una citazione dalla poesia di Friedrich Hölderlin “A Zimmer” (1812) e fa riferimento al legame stretto di Victor Man con la poesia e la letteratura. Questi riferimenti, così come i legami con la sua realtà di vita, si ritrovano regolarmente nella sua pittura, per esempio, gli individui rappresentati nei ritratti della parte principale della mostra provengono dal suo ambiente familiare e dal suo circolo di amici. Immersi in scenari principalmente oscuri e con uno sguardo contemplativo, i modelli sono avvolti da un peso esistenziale. I dipinti testimoniano un’intensa esplorazione dell’esistenza umana e parlano dell’ambivalenza poetica e tragica della vita [11].

Questa dimensione letteraria e poetica è essenziale per comprendere l’approccio di Man. I suoi quadri funzionano come poesie visive, dove ogni elemento è carico di significati molteplici che risuonano tra loro. Come nella poesia, il senso non è dato direttamente ma emerge progressivamente, attraverso un processo di interpretazione attiva che coinvolge lo spettatore nella creazione del senso.

Vedo in Victor Man un artista che rinnova la pittura figurativa contemporanea immergendola nelle acque torbide dell’inconscio collettivo. La sua tecnica pittorica, di una precisione quasi chirurgica nonostante l’oscurità che avvolge le sue composizioni, testimonia una padronanza del mezzo che va ben oltre la semplice virtuosità tecnica. Ogni colpo di pennello partecipa alla costruzione di un universo coerente, dove il visibile e l’invisibile si intrecciano per creare un’esperienza visiva che sfida le nostre abitudini percettive.

Il lavoro di Victor Man indaga da vent’anni le ossessioni virtuose di una pittura di rappresentazione. La galleria Max Hetzler ha presentato la prima mostra personale dell’artista nel suo spazio parigino [12]. Senza parole di introduzione, preferendo usare un testo di Georg Trakl invece di qualsiasi descrizione del suo lavoro, Victor Man mantiene il mistero ancorando nella tradizione e nei riferimenti storici la dissonanza del suo universo, dove aggiunte e trasformazioni si fondono in personaggi divisi [13]. Questa strategia del mistero non è un semplice artificio di marketing, è una posizione estetica ed etica che rifiuta la semplificazione eccessiva e il consumo rapido dell’arte nell’era della sovrapproduzione di immagini.

Se la dimensione spirituale emerge in primo piano, la carne, il colorito sono tuttavia altrettanto pregnanti nel suo lavoro, testimonianza di un pensiero più vicino alla poesia, più aperto all’immagine, al linguaggio, che rinchiuso nel mistico. Il confinamento, tuttavia, è sempre una questione con questo artista, poco incline alla pubblicità, fondamentalmente segnato, durante l’adolescenza, dalla figura di Van Gogh; un vicolo cieco liberatorio negli anni della caduta dell’Unione Sovietica, mentre il suo paese viveva una rivoluzione nel 1989 [14]. Questo riferimento biografico illumina l’opera di Man sotto una nuova luce, la sua predilezione per atmosfere cupe e malinconiche può essere letta come una risposta ai sconvolgimenti storici e politici che hanno plasmato la sua giovinezza.

Rovesciando il paradigma del simbolismo pur attingendo al suo repertorio, lo spostamento di Victor Man si illustra con un rovesciamento essenziale; sovvertire la transmigrazione degli organi in quella delle anime. Attraverso l’incontro dei corpi, la potenza degli oggetti, la carne diventa un ricettacolo di attributi che gravano su di essa e possono essere letti non più nel segreto dello sguardo, nella invisibile gravità dell’emozione, ma nello squilibrio che la memoria fa sopportare, in questo avvento del “bancal” contaminante, attraverso la percezione, la nostra stessa postura nel mondo [15].

Questa idea di contaminazione percettiva è determinante per comprendere l’impatto dell’opera di Man sullo spettatore. I suoi dipinti non sono semplicemente oggetti da contemplare a distanza, ci coinvolgono, ci destabilizzano, ci obbligano a riconsiderare la nostra stessa posizione nel mondo. Come ha notato il critico e curatore Mihnea Mircan nel suo saggio “Eyes Without a Head”, le incisioni e dissezioni spaziali di Man disturbano la costruzione della regolarità prospettica: esse rivelano il suo artificio attraverso un altro artificio [16].

Seguendo l’argomentazione di Stephanie Boluk e Patrick LeMieux, l’anamorfosi unisce l’estrema stranezza della materialità della pittura e della matematica stessa della prospettiva, indicando che le immagini mimetiche, per quanto naturalistiche siano, richiedono un salto cognitivo per risolvere la relazione tra un sistema matematico di resa e la visione incarnata. La prospettiva è un metodo matematico non naturale di simulazione della luce piuttosto che un modello pratico di visione. Negando esplicitamente la posizione di visualizzazione “corretta” davanti a una tela, e nel caso di Man, l’elucidazione di ciò che è rappresentato, l’anamorfosi esclude la possibilità di allineare pienamente lo sguardo umano ai parametri geometrici di un’immagine [17].

Questo uso dell’anamorfosi come principio strutturante dell’opera colloca Man in una lunga tradizione di artisti che hanno esplorato i limiti della rappresentazione visiva. Da Hans Holbein a Marcel Duchamp, passando per Salvador Dalí, l’anamorfosi è stata utilizzata come mezzo per mettere in discussione la nostra percezione del mondo e rivelare le convenzioni che regolano la nostra comprensione della realtà. Ma Man va oltre combinando questa tecnica con un’esplorazione delle zone oscure della psiche umana, creando così un’arte che è al tempo stesso intellettualmente stimolante ed emotivamente turbante.

Il critico d’arte Tom Morton ha definito Man un “shape shifter” (metamorfo), sottolineando la sua capacità di trasformare costantemente il suo approccio pur mantenendo una coerenza stilistica riconoscibile [18]. Questa metamorfosi costante non è un segno di indecisione o mancanza di direzione, ma piuttosto una strategia deliberata per evitare la fossilizzazione artistica e mantenere l’apertura che caratterizza il suo lavoro.

Le opere di Man catturano atmosfere, offrendo allo spettatore solo piste ambigue e vaghe, lasciandolo nel dubbio. Esse restituiscono anche una memoria di immagini e oggetti composta da diversi strati temporali, che sembra oscillare tra scomparsa e reminiscenza. La poetica molto personale di Victor Man e la diversità illustrativa della sua produzione tracciano i contorni di un mondo artistico nel quale fatti storici e impressioni soggettive provenienti da diversi mondi e periodi sono radicati [19].

Victor Man preferisce la pittura con colori scuri, che ci ricorda i pittori paesaggisti del XVIII secolo, che usavano specchi neri, noti anche come “specchi di Claude”, per trasformare i colori in tonalità di grigio. Questa tecnica crea un effetto di distacco che pone lo spettatore in una posizione di osservatore distaccato, rafforzando così il carattere enigmatico e introspettivo delle sue opere.

Il lavoro estremamente meticoloso di Man gioca con i simboli e inserisce molte trappole nei suoi interstizi che disturbano la lettura iniziale e offrono una pittura che resiste alla prova di sé e degli altri, tentata dal sublime e definitivamente contemporanea [20]. Questa meticolosità tecnica, combinata a una ricchezza concettuale e referenziale, pone Man tra gli artisti più significativi della sua generazione.

Victor Man appare così come un artista che naviga abilmente tra tradizione e innovazione, tra riferimenti storici e sensibilità contemporanea. La sua opera, profondamente radicata nelle questioni di identità e memoria, offre una riflessione visiva sulla condizione umana nell’era della frammentazione e dell’incertezza. Come ha dichiarato lui stesso nella sua intervista con Neville Wakefield: “L’opera è più simile a uno specchio; può continuare solo finché tu la guardi. È la cosa migliore che ‘uccidere il tempo’ possa offrire, il suo riflesso, e puoi sempre voltarti indietro” [21].

In un mondo saturato di immagini subito consumabili e immediatamente dimenticabili, i dipinti di Victor Man ci invitano a rallentare, a guardare attentamente, a perderci nelle loro profonde enigmatiche. Essi ci ricordano che l’arte, al suo meglio, non è una semplice decorazione o un intrattenimento, ma un’esperienza trasformativa che ci confronta con noi stessi e con il mondo che ci circonda, nella sua complessità e ambiguità.


  1. Victor Man, Mudam Luxembourg, 2012.
  2. “Victor Man”, Frieze, edizione 2008.
  3. Ibid.
  4. Jacques Lacan, “Le stade du miroir comme formateur de la fonction du Je”, 1949.
  5. Javier Hontoria, “Victor Man”, Artforum, 2013.
  6. “Victor Man, Galerie Max Hetzler, Point de vue”, Slash-Paris, 2022.
  7. “Victor Man”, Mudam Luxembourg, 2012.
  8. Ibid.
  9. Neville Wakefield, “Victor Man”, Flash Art, 2016.
  10. “Victor Man : The Lines of Life”, e-flux, 2023.
  11. Ibid.
  12. “Victor Man, Galerie Max Hetzler, Point de vue”, Slash-Paris, 2022.
  13. Ibid.
  14. Ibid.
  15. Ibid.
  16. Mihnea Mircan, “Eyes Without a Head”, in “Victor Man: Luminary Petals on a Wet, Black Bough”, Galeria Plan B, 2016.
  17. Ibid.
  18. Tom Morton, “Shape Shifter”, Frieze, 2008.
  19. “Victor Man”, Mudam Luxembourg, 2012.
  20. “Victor Man, Galerie Max Hetzler, Point de vue”, Slash-Paris, 2022.
  21. Neville Wakefield, “Victor Man”, Flash Art, 2016.

Was this helpful?
0/400

Riferimento/i

Victor MAN (1974)
Nome: Victor
Cognome: MAN
Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Romania

Età: 51 anni (2025)

Seguimi