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Larva Labs: Rivoluzione estetica della blockchain

Pubblicato il: 23 Luglio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

Matt Hall e John Watkinson di Larva Labs trasformano gli algoritmi in arte concettuale. I loro CryptoPunks e Autoglyphs ridefiniscono la proprietà artistica digitale attraverso creazioni generative conservate su blockchain. Questi sviluppatori canadesi esplorano l’intersezione tra tecnologia, estetica punk e economia del desiderio nell’era post-digitale.

Ascoltatemi bene, banda di snob, Matt Hall e John Watkinson di Larva Labs hanno realizzato qualcosa che le polverose gallerie storiche non avrebbero mai immaginato: hanno trasformato poche righe di codice in uno specchio dei nostri desideri più inconfessabili, creando un’arte che non si limita ad abbellire le nostre pareti ma che interroga la natura stessa del possesso e dell’identità nell’era digitale. Questi due sviluppatori canadesi, armati dei loro algoritmi e della loro comprensione intuitiva dei meccanismi della psiche collettiva, hanno prodotto con CryptoPunks e Autoglyphs un’opera che supera ampiamente il campo di ciò che si chiama ancora goffamente “arte digitale”.

La storia inizia nel 2017 con un gesto di una semplicità disarmante: Hall e Watkinson programmano un generatore capace di creare 10.000 personaggi pixelati unici, ciascuno delle dimensioni di 24×24 pixel. Questi volti sintetici, ispirati all’estetica punk londinese degli anni ’70, emergono dall’algoritmo come maschere rivelatrici della nostra condizione contemporanea. L’ironia è gustosa: dove la scena punk originaria si ribellava contro l’establishment attraverso la trasgressione fisica e sonora, i CryptoPunks compiono la loro sovversione tramite la pura astrazione matematica, ogni pixel calcolato diventa un atto di resistenza contro i modelli tradizionali di proprietà artistica.

Ciò che colpisce innanzitutto di Larva Labs è la loro capacità di operare una sintesi tra la logica implacabile dell’architettura algoritmica e l’imprevedibilità creativa che caratterizza le grandi rivoluzioni artistiche. Christopher Alexander, nel suo “Pattern Language” [1], proponeva che l’architettura vivente emergesse dalla combinazione di motivi ricorrenti organizzati secondo regole precise ma flessibili. I CryptoPunks funzionano esattamente secondo questo principio: un insieme finito di attributi visivi (cappelli, occhiali, cicatrici, sigarette) si combina secondo probabilità programmate per generare una diversità infinita di personalità sintetiche.

Questo approccio architettonico alla generazione artistica rivela una profonda comprensione dei meccanismi dell’emergere estetico. Come osservava Alexander nei suoi studi sulle città storiche, la bellezza nasce spesso dalla ripetizione di regole semplici applicate su larga scala, creando strutture complesse che appaiono organiche nonostante la loro origine artificiale. I 10.000 CryptoPunks incarnano perfettamente questa filosofia: ogni volto individuale sembra banale, ma l’insieme costituisce una popolazione digitale di una ricchezza visiva sorprendente. La griglia geometrica che li organizza sul sito di Larva Labs evoca inoltre quei piani urbanistici moderni dove ogni parcella individuale contribuisce a un ordine complessivo più vasto.

Ma è con Autoglyphs che questa logica architettonica raggiunge la sua forma più pura. Queste 512 composizioni generative interamente memorizzate sulla blockchain di Ethereum non si limitano più a simulare l’architettura: ne sono una. Ogni Autoglyph esiste come una costruzione algoritmica autonoma, un piccolo edificio di codice capace di rigenerarsi all’infinito. Hall e Watkinson hanno così creato l’equivalente digitale di quelle cattedrali gotiche che continuano a stupirci secoli dopo la morte dei loro architetti: strutture algoritmiche capaci di produrre bellezza senza un intervento umano continuativo.

Questa dimensione architettonica trova la sua estensione nel modo in cui Larva Labs concepisce lo spazio digitale stesso. Le loro creazioni non sono semplici immagini memorizzate su server, ma entità che abitano letteralmente la blockchain, creando un nuovo tipo di spazio pubblico decentralizzato. Come le grandi piazze pubbliche che strutturano le nostre città storiche, queste opere diventano luoghi di incontro per una comunità emergente, punti di riferimento nel territorio ancora largamente inesplorato del cyberspazio.

L’originalità concettuale di questo approccio risiede nella sua capacità di trasformare l’atto di programmare in un gesto architettonico monumentale. Quando Watkinson spiega che “ogni generatore ha un punto ottimale in cui si sente giusto, dove si sperimenta la piena capacità espressiva del generatore ma non si percepisce come un importo ridicolo”, rivela una sensibilità estetica simile a quella dei grandi maestri d’opera: trovare l’equilibrio perfetto tra abbondanza ed economia, tra ricchezza espressiva e coerenza formale.

Ma oltre a questa dimensione architettonica, l’opera di Larva Labs rivela una comprensione intuitiva dei meccanismi psicoanalitici che governano il nostro rapporto con gli oggetti del desiderio nella società contemporanea. I CryptoPunks, quei volti pixelati venduti a volte per milioni di dollari, costituiscono un caso scolastico perfetto di ciò che Jacques Lacan chiama sublimazione: quel processo con cui un oggetto qualunque viene “elevato alla dignità della Cosa” [2], diventando così capace di catturare e fissare il nostro investimento libidinale.

Lacan insegna che la sublimazione non consiste semplicemente nello spostare la pulsione verso oggetti socialmente accettabili, ma nel trasformare la natura stessa dell’oggetto mirato. Nel caso dei CryptoPunks questa trasformazione opera su più livelli simultanei. In primo luogo, queste immagini digitali, di natura infinitamente riproducibile, acquisiscono un’aura di unicità grazie alla loro iscrizione sulla blockchain. In secondo luogo, la loro estetica deliberatamente primitiva e ribelle li costituisce in oggetti di trasgressione accettabile per una borghesia digitale in cerca di autenticità. Infine, la loro rarità artificiale (esattamente 10.000 esemplari, non uno di più) li trasforma in feticci perfetti per un’economia del desiderio che può funzionare solo nella scarsità controllata.

Questa dinamica di sublimazione rivela qualcosa di profondamente inquietante riguardo alla nostra epoca: la nostra sempre maggiore incapacità di investire libidinalmente oggetti fisici ci spinge verso sostituti digitali che promettono una soddisfazione sempre rimandata. I collezionisti di CryptoPunks non possiedono altro che un’iscrizione in un registro distribuito, ma questa proprietà fantasma genera affetti più intensi della proprietà di oggetti tangibili. Larva Labs ha così portato alla luce i meccanismi inconsci che governano il nostro rapporto con il valore in una società sempre più dematerializzata.

L’aspetto più affascinante di questa sublimazione riguarda il modo in cui i CryptoPunks rivelano la nostra ambivalenza fondamentale verso l’anonimato e l’identificazione. Questi volti sintetici, privi di qualsiasi storia personale, diventano paradossalmente vettori di identificazione più potenti dei ritratti tradizionali. I loro proprietari li usano come avatar sui social network, appropriandosi dei loro tratti stilizzati per costruire un’identità digitale. Questa identificazione con algoritmi rivela qualcosa di cruciale sulla nostra condizione contemporanea: talvolta preferiamo riconoscerci in creazioni artificiali piuttosto che nei nostri stessi riflessi.

Lacan osservava che l’oggetto della sublimazione funziona come un’esca che organizza la nostra economia libidinale attorno a un vuoto centrale. I CryptoPunks compiono esattamente questa funzione: promettono l’accesso a una comunità esclusiva, a uno status sociale invidiabile, a una forma di immortalità digitale, ma alla fine consegnano solo la loro stessa esistenza di codice, affascinante e vuota allo stesso tempo. Questa vacuità costitutiva non è un difetto ma la condizione stessa della loro efficacia simbolica: è perché non sono “nulla” che possono diventare “tutto” per i loro proprietari.

La dimensione temporale di questa sublimazione merita anch’essa attenzione. Diversamente dalle opere d’arte tradizionali che invecchiano e si patinano, i CryptoPunks esistono in un tempo sospeso, invariati nella loro perfezione pixelata. Questa atemporalità artificiale risponde alla nostra angoscia contemporanea di fronte all’obsolescenza accelerata: possedere un CryptoPunk significa possedere un frammento di eternità digitale che teoricamente resisterà a tutte le rivoluzioni tecnologiche future. Larva Labs ha così creato oggetti di sublimazione particolarmente adatti a un’epoca ossessionata dalla conservazione delle proprie tracce digitali.

L’evoluzione di Larva Labs verso progetti come Autoglyphs rivela una crescente sofisticazione di questa economia libidinale. Queste opere puramente generative, conservate interamente sulla blockchain, spingono la logica della sublimazione fino alle sue ultime conseguenze: l’oggetto d’arte diventa puro processo, puro divenire algoritmico. Non c’è più nulla da vedere nel senso tradizionale, solo un codice che si esegue e produce motivi astratti. Questa radicalità concettuale trasforma l’atto di collezionare in pura speculazione metafisica: collezionare un Autoglyph significa possedere un frammento di infinito matematico.

Questa progressione dall’iconico all’astratto, dal figurativo al generativo, rivela la maturità artistica di Hall e Watkinson. Hanno compreso che la vera rivoluzione digitale non consiste nel riprodurre le forme artistiche tradizionali con nuovi strumenti, ma nell’inventare forme estetiche che non avrebbero potuto esistere senza questi strumenti. Gli Autoglyphs rappresentano così l’approdo logico di un percorso che cerca di esplorare le potenzialità espressive proprie del medium algoritmico.

L’originalità di Larva Labs risiede infine nella capacità di articolare una visione architettonica dello spazio digitale con una comprensione intuitiva dei meccanismi di sublimazione che governano la nostra economia libidinale contemporanea. Le loro opere non si limitano a decorare il nostro ambiente digitale: lo strutturano e gli danno senso, creando riferimenti simbolici in un territorio ancora in gran parte indeterminato.

Questa doppia competenza spiega la loro considerevole influenza sull’evoluzione dell’arte digitale. In pochi anni, hanno definito i codici estetici ed economici di un mercato che ora vale diversi miliardi di dollari. Ma più fondamentalmente, hanno dimostrato che l’arte generativa può funzionare come un linguaggio simbolico capace di esprimere le contraddizioni e le aspirazioni della nostra epoca. I loro algoritmi parlano di noi meglio della maggior parte dei nostri autoritratti.

Il futuro dirà se questa rivoluzione estetica resisterà alla prova del tempo o se è solo un’epifenomeno legata all’euforia speculativa che ha accompagnato l’emergere delle criptovalute. Ma già l’opera di Larva Labs ha dimostrato qualcosa di essenziale: l’arte digitale non è condannata a imitare le forme del passato. Può inventare le proprie modalità di esistenza, le proprie economie della bellezza e del desiderio. Bisogna anzi ammettere che il loro lavoro probabilmente mi ha fatto cambiare idea sugli NFT, su cui ero più che scettico. Se sapessi come procedere per acquistare uno dei loro CryptoPunks o uno dei loro Autoglyphs, mi sarebbe piaciuto che fosse la primissima opera dematerializzata della mia collezione d’arte. In questa prospettiva, Matt Hall e John Watkinson appaiono meno come artisti nel senso tradizionale che come architetti di nuove possibilità estetiche, ingegneri dell’immaginario digitale.

Il loro lascito principale forse non risiede in questo o quel progetto specifico, ma nella dimostrazione che è possibile creare arte con algoritmi senza rinunciare a toccare il più profondo della nostra umanità. I loro CryptoPunks e i loro Autoglyphs ci guardano dai loro schermi con l’intensità inquietante di specchi digitali che rifletterebbero non la nostra apparenza fisica ma la nostra condizione esistenziale in un mondo sempre più algoritmico. E forse questo è il loro più grande successo: essere riusciti a fare della tecnologia un mezzo di introspezione collettiva piuttosto che un semplice strumento di intrattenimento o speculazione.


  1. Alexander, Christopher, A Pattern Language: Towns, Buildings, Construction, Oxford University Press, 1977
  2. Lacan, Jacques, Il Seminario, Libro VII: L’etica della psicoanalisi, Seuil, 1986, p. 144
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Riferimento/i

LARVA LABS (2005)
Nome:
Cognome: LARVA LABS
Altri nome/i:

  • John Watkinson
  • Matt Hall

Genere: Altro
Nazionalità:

  • Stati Uniti

Età: 20 anni (2025)

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