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Le dee terrestri di Cristina BanBan

Pubblicato il: 15 Giugno 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 11 minuti

Cristina BanBan dipinge donne monumentali con proporzioni esagerate, trasformando la figura femminile in un territorio di esplorazione psichica e carnale. Le sue tele di grande formato, realizzate a olio con una gestualità urgente, creano presenze ambigue tra figurazione e astrazione, interrogando le rappresentazioni contemporanee del corpo femminile.

Ascoltatemi bene, banda di snob. C’è qualcosa di irresistibilmente vitale nella pittura di Cristina BanBan che ci ricorda perché ci interessiamo all’arte in primo luogo. Le sue tele imponenti, popolate da donne dalle forme generose e dalle mani sovradimensionate, non chiedono gentilmente la nostra attenzione, ma la esigono con un’autorità tranquilla che zittisce il brusio del mondo dell’arte contemporanea.

Nata nel 1987 a El Prat de Llobregat, nella periferia di Barcellona, BanBan ha sviluppato il suo linguaggio visivo distintivo attraverso un percorso geografico che l’ha portata dalla Spagna a Londra, poi a Brooklyn, dove vive e lavora attualmente. Questo viaggio non è casuale nella formazione della sua estetica. Nelle sue opere c’è una tensione permanente tra radicamento e spostamento, tra la presenza monumentale dei corpi e la loro frammentazione, tra la memoria e l’immediatezza dell’esperienza.

I personaggi femminili che popolano le tele di BanBan sono allo stesso tempo familiari e strani. Le loro proporzioni esagerate, quelle gambe pesanti, quelle mani enormi, quei piedi massicci che contrastano con teste relativamente piccole, creano una dissonanza visiva che ci obbliga a riconsiderare la nostra percezione del corpo femminile. Queste donne occupano lo spazio senza scuse, le loro forme spesso traboccano fino ai bordi della tela in un rifiuto categorico della costrizione. Eppure, nonostante il loro volume fisico imponente, queste figure possiedono un’intimità e una vulnerabilità palpabili.

C’è una qualità carnale innegabile nel lavoro di BanBan. La sua palette di toni carne, rosa, ocra, marroni, evoca la sensualità della pelle, mentre le sue pennellate energiche creano una tensione tra la solidità del corpo e la sua imminente dissoluzione. I contorni sinuosi che avvolgono le sue figure funzionano in contrasto con piani di colore spesso, evocando la parità tra la carne umana e la pittura a olio che si ritrova nelle opere di Willem de Kooning e Lucian Freud [1].

Ciò che distingue BanBan è la sua capacità di navigare tra la figurazione e l’astrazione con una notevole facilità. Come spiega lei stessa: “Sono tra questi due mondi, ed è emozionante perché imparo così tanto. Tutto ciò che voglio è divertirmi in studio. Non ha senso se continuo a ripetere le stesse cose” [2]. Questa oscillazione tra la rappresentazione figurativa e l’astrazione gestuale crea una dinamica visiva che mantiene le sue opere in uno stato di divenire permanente.

Le figure di BanBan sembrano spesso assorbite nel proprio mondo interiore. Raramente si guardano tra loro o incontrano direttamente lo sguardo dello spettatore. Questa introspezione richiama l’isolamento umano inflitto dalle perturbazioni sociali e politiche degli ultimi anni [3]. I suoi nudi sono talvolta punteggiati da biancheria intima o adornati con orecchini a cerchio e fermagli per capelli. Diventano decisamente contemporanei, presentando immagini potenti di donne sicure di sé nelle loro relazioni e nel loro spazio.

Guardando le opere recenti di BanBan, non si può fare a meno di pensare alla tradizione filosofica spagnola e al suo rapporto con il corpo. Il filosofo José Ortega y Gasset scriveva che “sono io e la mia circostanza”, un’affermazione che risuona profondamente con l’approccio di BanBan alla figura umana. Per lei, il corpo non è mai un’entità isolata ma sempre situata in un contesto, impregnata di storie personali e collettive. I suoi personaggi femminili esistono in uno spazio liminale tra l’autobiografia e l’archetipo, portando spesso tratti della stessa artista.

Questa dimensione autobiografica è centrale nel lavoro di BanBan. “Prendo la mia immagine come punto di partenza e sviluppo ciò che mi interessa di più”, confida. “La pittura è come tenere un diario, uso i corpi femminili per rappresentare come mi sento o cosa vedo intorno a me” [4]. Questo approccio riecheggia la lunga tradizione dell’autoritratto nell’arte spagnola, da Velázquez a Picasso, dove l’artista si posizione contemporaneamente come soggetto e oggetto dello sguardo.

Ma BanBan supera questa tradizione frammentando e moltiplicando la propria immagine. In opere come “Cristina”, un autoritratto multiplo, si rappresenta in diverse fasi della sua vita, creando un dialogo temporale che sfida la linearità narrativa. Questa moltiplicazione del sé richiama la concezione del tempo di Henri Bergson, per cui la durata non è una successione di istanti distinti ma un’interpenetrazione continua di stati di coscienza. Le figure sovrapposte di BanBan incarnano questa concezione fluida del tempo, dove passato, presente e futuro coesistono nello stesso spazio pittorico.

Il modo in cui BanBan lavora il medium della pittura è altrettanto significativo quanto i suoi soggetti. Il suo approccio alla pittura a olio, un medium che ha adottato relativamente di recente, rivela una profonda comprensione della sua materialità. “Con l’olio, non si sa mai come reagirà”, osserva. “Avevo bisogno di sentirmi come se non avessi il controllo, affinché possano accadere degli incidenti. È così bello” [5]. Questa apertura all’imprevisto, questa volontà di abbracciare l’errore e l’incidente come parti integranti del processo creativo, conferisce alle sue opere una vitalità e un’immediatezza palpabili.

Il processo di BanBan inizia sempre con il disegno, una pratica che coltiva dall’infanzia. “Il disegno è più come una meditazione, perché prendo il tempo di sedermi. È più pacifico. La pittura è il contrario. È più come le viscere”, spiega [6]. Questa dualità tra la deliberazione del disegno e l’impulsività della pittura crea una tensione produttiva che anima le sue opere. I contorni precisi delle sue figure sono costantemente minacciati da pennellate espressive che sembrano volerle dissolvere nell’astrazione. La transizione di BanBan verso l’olio segna una svolta importante nella sua pratica. “L’anno scorso mi sono annoiata della mia stessa pittura come se avessi esaurito qualcosa in essa. Ho sentito il bisogno di fare un passo indietro e cambiare il mio approccio alla pittura, avevo bisogno di entusiasmarmi di nuovo”, confida [7]. Questo desiderio costante di mettersi in discussione, di superare i limiti della propria pratica, è caratteristico di un’artista che rifiuta di adagiarsi sui propri risultati.

Le influenze di BanBan sono diverse, che vanno dall’anime giapponese che guardava da bambina sulla televisione catalana agli espressionisti astratti americani. “Guardo molto Willem de Kooning. Helen Frankenthaler. Mi piace anche Joaquín Sorolla”, rivela [8]. Questa fusione di influenze culturali diverse, dalle tradizioni pittoriche europee alla cultura popolare giapponese, crea un linguaggio visivo ibrido che sfida le facili categorizzazioni. Ma oltre a queste influenze artistiche, è forse nella letteratura che si trovano gli echi più profondi del lavoro di BanBan. La poesia di Antonio Machado, con la sua meditazione sul tempo, la memoria e l’identità, offre una chiave di lettura particolarmente fertile per comprendere la sua opera. Il poeta scriveva: “Viaggiatore, il cammino / Sono le orme dei tuoi passi / È tutto; viaggiatore, / Non c’è cammino, / Il cammino si fa camminando.” Questi versi risuonano profondamente con l’approccio processuale di BanBan, per la quale la pittura è meno un prodotto finito che una registrazione di un coinvolgimento corporeo con la materia.

Questa dimensione corporea è centrale nel lavoro di BanBan. Lei dipinge in piedi, con un impegno fisico totale con la tela. “Non sono una pittrice che si siede. Sono abbastanza attiva. Mi piace il gesto e l’azione di dipingere grandi tele”, spiega [9]. Questo approccio performativo alla pittura inscrive il suo corpo d’artista nell’opera stessa, creando una continuità tra il corpo rappresentato e il corpo che rappresenta.

Le mani sproporzionate che caratterizzano le figure di BanBan acquistano qui un significato particolare. Diventano una metonimia del processo creativo stesso, una celebrazione del lavoro manuale della pittura in un mondo sempre più digitalizzato. “Penso che si possa dire molto dalle mani di qualcuno. Sono molto attratta dalle mani, dalle mani grandi. Giocano sempre un ruolo molto importante nella composizione dei miei dipinti”, osserva [10]. Questa insistenza sulle mani richiama anche la tradizione artigianale da cui BanBan proviene. Racconta come sua nonna, che era sarta, sia stata la persona che l’ha ispirata a essere creativa. Questa filiazione femminile, questa trasmissione di un sapere manuale, inscrive il suo lavoro in una genealogia di pratiche creative femminili spesso marginalizzate nella storia ufficiale dell’arte.

Le donne che dipinge BanBan sono potenti non nonostante la loro corporatura ma proprio grazie a essa. In un contesto culturale che valorizza la magrezza femminile, le sue figure voluttuose costituiscono un atto di resistenza estetica e politica. Come spiega: “Mi piace che siano potenti e reali. Sono anche nelle loro teste, pensano a se stesse” [11]. Questa interiorità, questa presenza a se stesse, contrasta con la tradizione del nudo femminile nella storia dell’arte occidentale, dove la donna è tipicamente presentata come oggetto dello sguardo maschile. Rifiutando questa oggettivazione, BanBan si colloca in una linea di artiste femminili che hanno usato la rappresentazione del corpo per mettere in discussione le norme di genere. Come osservava la critica d’arte Linda Nochlin nel suo saggio fondamentale “Perché non ci sono state grandi artiste donne?”, le donne artiste sono state storicamente escluse dalle istituzioni artistiche dominanti e hanno dovuto creare i propri spazi e linguaggi per esprimersi. BanBan partecipa a questa tradizione di resistenza creando uno spazio pittorico dove i corpi femminili esistono per se stessi, liberati dallo sguardo maschile valutativo.

Questa dimensione politica del lavoro di BanBan è tanto più potente in quanto non è mai didattica. Essa emerge naturalmente dalla sua pratica, dal suo impegno con la materialità della pittura e dalla sua esplorazione della sua esperienza vissuta. Come dice lei stessa: “Non è che io abbia un’intenzione, ma quando le guardo, sento che occupano tutte il loro proprio spazio, con fiducia, così come sono” [12]. La questione dello spazio è importante nel lavoro di BanBan. Le sue figure occupano lo spazio pittorico con una sicurezza tranquilla che sfida le convenzioni della rappresentazione femminile. Ma questa occupazione dello spazio ha anche una dimensione personale e biografica. Avendo vissuto tra Spagna, Londra e New York, BanBan è particolarmente sensibile alle questioni di appartenenza e spostamento. “Mi sono trasferita da Barcellona a Londra con una valigia e ho fatto lo stesso da Londra a qui. Mi piace il nuovo inizio. Ho dato tutto e poi ho ricominciato qui”, racconta [13]. Questa leggerezza materiale contrasta con la densità emotiva e fisica dei suoi dipinti. C’è una tensione produttiva tra il nomadismo della sua vita personale e l’ancoraggio corporeo delle sue figure. I suoi personaggi femminili sembrano allo stesso tempo radicati nella loro corporeità e in stato di transizione, i loro contorni sfocati suggeriscono un’identità in flusso costante.

Questa fluidità identitaria è presente anche nell’approccio tecnico di BanBan. La sua recente transizione verso una maggiore astrazione riflette un desiderio di liberare la figura da vincoli narrativi troppo espliciti. “Volevo allontanarmi il più possibile dall’avere narrazioni chiare nei miei dipinti, tipo, ‘Oh, sono due ragazze, due amiche, che parlano in cucina’. Sapevo come farlo, e a un certo punto è diventato noioso per me”, spiega [14]. Questa evoluzione verso l’astrazione non significa però un abbandono della figura umana. Al contrario, BanBan usa l’astrazione per rinnovare la sua comprensione della figura, per esplorarne le possibilità espressive oltre la semplice rappresentazione narrativa. “Sto cercando di sollevare la figura ancora più lontano. Sto imparando nuovi modi di fare segni, e guardo di più la composizione di ogni dipinto, i colori e la texture, che penso sia più vicino a come lavora un pittore astratto”, osserva [15].

Le opere recenti di BanBan testimoniano questa tensione produttiva tra figurazione e astrazione. I corpi femminili restano riconoscibili, ma sono costantemente minacciati dalla dissoluzione tramite colpi di pennello espressivi e sovrapposizioni di forme. Questa ambiguità visiva crea uno spazio di interpretazione aperto che invita lo spettatore a partecipare attivamente alla costruzione del senso.

La dimensione temporale è anche fondamentale nel lavoro di BanBan. Le sue figure esistono in un presente allungato, sospeso tra memoria e anticipazione. Questa temporalità complessa è particolarmente evidente nelle sue opere recenti, dove i corpi sembrano allo stesso tempo solidamente presenti e in dissoluzione. Questa qualità effimera evoca la fragilità dell’esperienza corporea, la sua vulnerabilità al passare del tempo e alle forze esterne.

La critica d’arte Rosalind Krauss parlava della “condizione post-media” dell’arte contemporanea, dove i confini tradizionali tra i mezzi artistici sono costantemente messi in discussione. Il lavoro di BanBan si colloca in questa condizione riaffermando nel contempo la continua pertinenza della pittura come mezzo per esplorare l’esperienza corporea. Le sue tele dimostrano che la pittura può ancora sorprenderci, emozionarci e sfidarci in un mondo saturato di immagini digitali effimere.

Ciò che rende il lavoro di Cristina BanBan così convincente è la sua capacità di negoziare molteplici tensioni: tra figurazione e astrazione, tra narrativo e formale, tra personale e universale. Le sue figure femminili voluttuose, con mani sovradimensionate e sguardi introspettivi, ci offrono una visione alternativa della corporeità femminile che celebra la sua potenza e vulnerabilità simultanee. In un mondo artistico spesso ossessionato dalla novità concettuale a discapito dell’impegno con la materialità, BanBan ci ricorda il valore duraturo della pittura come pratica incarnata. Il suo lavoro ci invita a riconsiderare il nostro rapporto con il corpo, il nostro e quello degli altri, e ad abbracciare la sua complessità irriducibile. In questo, non rappresenta semplicemente il futuro della pittura figurativa; reinventa attivamente le sue possibilità per la nostra epoca.


  1. Skarstedt Gallery, “Cristina BanBan: Biografia”, 2023.
  2. Apartamento Magazine, “Cristina BanBan”, intervista realizzata nel marzo 2021.
  3. Skarstedt Gallery, “Cristina BanBan: Biografia”, 2023.
  4. Artnet News, “‘Dipinger è come tenere un diario’: la stella nascente Cristina BanBan esplora la sua psiche rappresentando un mondo di sosia”, 20 maggio 2022.
  5. Juxtapoz Magazine, “Cristina BanBan: la sfumatura della memoria”, intervista condotta da Evan Pricco, 2022.
  6. Interview Magazine, “Cristina BanBan si fa ‘cruda nei sentimenti’ nella sua nuova mostra a Londra”, intervista di Rennie McDougall, 10 ottobre 2023.
  7. Juxtapoz Magazine, “Cristina BanBan: la sfumatura della memoria”, intervista condotta da Evan Pricco, 2022.
  8. Apartamento Magazine, “Cristina BanBan”, intervista realizzata nel marzo 2021.
  9. Ibidem.
  10. Ibidem.
  11. Ibidem.
  12. Ibidem.
  13. Ibidem.
  14. Interview Magazine, “Cristina BanBan si fa ‘cruda nei sentimenti’ nella sua nuova mostra a Londra”, intervista di Rennie McDougall, 10 ottobre 2023.
  15. Ibidem.
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Riferimento/i

Cristina BANBAN (1987)
Nome: Cristina
Cognome: BANBAN
Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Spagna

Età: 38 anni (2025)

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