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L’inquietante estraneità di Luc Tuymans

Pubblicato il: 16 Marzo 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 7 minuti

Luc Tuymans è un chirurgo dell’immagine che opera a freddo, senza anestesia, costringendoci a guardare ciò che preferiremmo dimenticare. I suoi dipinti, fantasmi pallidi con tonalità malaticce, sono come radiografie della nostra coscienza storica.

Ascoltatemi bene, banda di snob, voi che vi spostate tra vernissage sorseggiando spumante mentre borbottate banalità sull’arte contemporanea. Aprite gli occhi, diamine! Ciò di cui vi parlerò qui, con Luc Tuymans, non ha nulla a che fare con le vostre piccole pose intellettuali. È una lotta all’ultimo sangue con l’immagine, una lotta accanita con la nostra memoria collettiva amnesica, uno schiaffo in piena faccia al nostro comfort visivo.

Tuymans non è un pittore “interessante”, non è un artista “stimolante”, non è un creatore “che pone domande”. Questi eufemismi da salotto non sono sufficienti. Tuymans è un chirurgo dell’immagine che opera a freddo, senza anestesia, costringendoci a guardare ciò che preferiremmo dimenticare. I suoi dipinti, questi spettri pallidi dai toni maladivi, ocra, blu biliare, grigi sporchi, sono come radiografie della nostra coscienza storica.

Prendiamo un attimo per considerare l’atto fondamentale di questo pittore belga. In un’epoca saturata di immagini, dove il flusso visivo ininterrotto ci ha resi ciechi, dove passiamo davanti alle atrocità del mondo con l’indifferenza di zombie sazi, Tuymans rallenta tutto. Dipinge in un solo giorno, certo, ma dopo mesi di meditazione concettuale. E questo gesto, estrarre un’immagine dai milioni che ci bombardano, degradarla, semplificarla, turbarla, poi restituirla in pittura, è un atto di pura resistenza.

Tuymans e la fenomenologia della percezione

Guardate attentamente le sue opere e capirete che Tuymans condivide con Maurice Merleau-Ponty, senza mai citarlo direttamente, un’ossessione per l’enigma della percezione. Se il filosofo francese ha scritto che “il visibile è ciò che si coglie con gli occhi, il sensibile è ciò che si coglie con i sensi” [1], Tuymans sembra rispondere: “ma che cosa resta di visibile quando le immagini sono ormai simulacri di se stesse?” Il suo dipinto “Gas Chamber” (1986) non è l’immagine di una camera a gas, ma l’immagine dell’impossibilità di rappresentare una camera a gas, l’immagine della nostra incapacità di guardare l’orrore in faccia.

Come scriveva Merleau-Ponty: “Vedere significa avere distanza” [2]. Tutta l’arte di Tuymans risiede in questa distanza deliberatamente imposta. I suoi quadri sono immagini di immagini di immagini, ricordi di ricordi, fantasmi di fantasmi. Dipinge da fotografie, screenshot, scatti fatti con il suo iPhone, mai dal vivo. Questa strategia non è un escamotage tecnico ma una posizione fenomenologica: ci mostra come ora percepiamo il mondo, attraverso strati e strati di mediazione.

Il suo modo di inquadrare, sfocare, sbiadire, tutto ciò evoca la nostra coscienza contemporanea, dove violenza e orrore ci giungono come attraverso una nebbia anestetizzante. Nel 2002, durante la Documenta 11, mentre tutti si aspettavano da lui una risposta agli attentati dell’11 settembre, espose una gigantesca natura morta. Questo gesto tipicamente tuymansiano era un modo per dirci: “Ecco come ora guardiamo le catastrofi, come nature morte, incapaci di coglierne la realtà ardente”.

Il suo metodo di lavoro illustra perfettamente questa fenomenologia della distanza: riflette, concettualizza, accumula immagini fonte per mesi, poi realizza ogni quadro in un solo giorno. Questa rapidità di esecuzione non è espressionismo, al contrario, serve a creare un effetto di freddezza clinica, come se lo stesso pittore non potesse sopportare di stare troppo a lungo in presenza di queste immagini traumatiche che evoca.

Il teatro della memoria collettiva

Se Tuymans dialoga silenziosamente con la fenomenologia, intrattiene anche un rapporto complesso con il teatro, non come intrattenimento, ma come dispositivo di memoria e verità. I suoi dipinti funzionano come ciò che il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht chiamava “teatro epico”, un’arte che rifiuta l’illusione per meglio risvegliare la coscienza critica dello spettatore [3].

Come nel teatro brechtiano, i dipinti di Tuymans mantengono deliberatamente una distanza dal loro soggetto. Essi mostrano che stanno mostrando, esibiscono la propria mediazione. La “distanziazione” brechtiana trova un’eco stupefacente in queste immagini sbiadite che ci impediscono di identificarci emotivamente con ciò che vediamo, per costringerci meglio a riflettere.

Prendete “Der Architekt” (1997), questo ritratto di Albert Speer, l’architetto di Hitler, caduto nella neve durante una gita sugli sci. Tuymans, partendo da un film amatoriale, dipinge questo criminale nazista in una situazione banale, quasi comica, ma cancella il suo volto sotto una macchia bianca. Questo gesto pittorico è eminentemente teatrale: ci mostra il processo stesso di cancellazione della memoria, come i criminali si fondono nel paesaggio quotidiano, come la storia si dissolve nell’aneddoto.

Nella sua serie “Mwana Kitoko” (2000), dedicata al passato coloniale belga in Congo, Tuymans adotta un approccio che Brecht avrebbe approvato. Invece di servirci un’accusa morale semplicistica, giustappone immagini apparentemente scollegate, un ritratto del giovane re Baldovino, una sala vuota, un motivo leopardato, creando così un montaggio che ci costringe a costruire noi stessi il racconto storico. Come scriveva Brecht: “L’arte non è uno specchio per riflettere la realtà, ma un martello per plasmarla” [4].

Il teatro brechtiano cercava di mostrare le contraddizioni della società per risvegliare una coscienza politica. Allo stesso modo, Tuymans rivela le contraddizioni del nostro rapporto con l’immagine e la storia. Quando dipinge Condoleezza Rice nel 2005, non ci offre un ritratto psicologico, ma un’immagine di come il potere si mette in scena. Come a teatro, lavora con “tipi” più che con individui, i suoi personaggi sono maschere sociali, funzioni nel grande racconto della storia.

La dimensione teatrale della sua opera è particolarmente evidente nel suo modo di concepire le sue mostre come insieme coerenti, in cui ogni quadro dialoga con gli altri in uno spazio attentamente orchestrato. Durante la sua mostra “Retrospective” a BOZAR nel 2011, la successione delle sale creava un vero percorso drammatico, una progressione nel nostro confronto con l’immagine e la storia.

Oltre l’immagine: la fisica quantistica della pittura

Tuymans è forse il pittore che ha meglio compreso che la nostra epoca non soffre di mancanza di immagini, ma dell’eccesso osceno di esse. Ogni giorno siamo bombardati da migliaia di immagini che non vediamo nemmeno più. La televisione, i social network, la pubblicità ci hanno resi ciechi a forza di sovraesposizione. In questo contesto, dipingere diventa un atto di resistenza, non creando ancora più immagini, ma rallentando il nostro sguardo.

Le opere di Tuymans sono come virus che infettano il nostro sistema visivo saturo. Con la loro palette ridotta e la loro esecuzione volutamente incompleta, ci costringono a prendere coscienza del nostro stesso atto di percezione. Ci ricordano che vedere è un atto attivo, politico, etico, non il consumo passivo a cui siamo abituati.

Prendete la sua serie “Der diagnostische Blick” (1992), basata su un manuale medico di diagnosi. Questi dipinti di corpi malati, resi con freddezza clinica, ci confrontano con il nostro stesso sguardo medico sulla sofferenza altrui. Oppure “Bend Over” (2001), questa figura umana piegata in avanti per un esame medico, immagine umiliante che evoca sia la sottomissione al potere che la nostra vulnerabilità fondamentale.

Tuymans ci obbliga a chiederci: cosa significa guardare la sofferenza degli altri? Come le immagini ci rendono complici o testimoni della violenza? Come si costruisce la memoria collettiva attraverso immagini che simultaneamente rivelano e nascondono?

Se la fenomenologia ci insegna che la nostra percezione del mondo è sempre già interpretata, e se il teatro brechtiano ci mostra come smontare i meccanismi dell’illusione, Tuymans aggiunge una dimensione ulteriore: ci fa prendere coscienza del carattere politico del nostro sguardo. Ogni immagine è un campo di battaglia in cui si giocano relazioni di potere, in cui alcune cose sono mostrate e altre nascoste, in cui la storia è scritta dai vincitori ma perseguita i vinti.

Il suo dipinto “The Secretary of State” (2005), quel ritratto gelido di Condoleezza Rice menzionato prima, non ci dice cosa pensare di questa figura politica, ma ci costringe a riflettere su come il potere si mette in scena, come certi corpi diventano i rappresentanti di intere nazioni, come la politica si trasforma in spettacolo mediatico.

Luc Tuymans, in fondo, è un pittore profondamente etico. In un mondo in cui le immagini hanno perso ogni valore a forza di essere riprodotte e manipolate, lui crea spazi di riflessione, momenti di pausa nel flusso incessante. I suoi dipinti non sono risposte, ma domande urgenti poste alla nostra coscienza collettiva.

Ciò che rende forte il suo lavoro è proprio ciò che lo rende difficile: il suo rifiuto di confortarci nelle nostre certezze, la sua insistenza nel mostrarci che la storia non è mai conclusa, che i fantasmi del passato continuano a perseguitare il nostro presente. Il pericolo più grande è l’indifferenza. E se c’è una cosa che i dipinti di Tuymans non ci permettono, è proprio l’indifferenza.

Allora, banda di snob, la prossima volta che vedrete un dipinto di Tuymans, non limitatevi ad annuire con aria complice. Lasciatevi perseguitare da queste immagini sbiadite, da questi fantasmi del passato che si rifiutano di sparire. Perché forse è lì, in quel disagio provocato dai suoi quadri, che risiede la nostra ultima possibilità di lucidità.


  1. Merleau-Ponty, Maurice, Fenomenologia della percezione, Gallimard, Parigi, 1945.
  2. Merleau-Ponty, Maurice, L’Occhio e lo Spirito, Gallimard, Parigi, 1964.
  3. Brecht, Bertolt, Piccolo organon per il teatro, L’Arche, Parigi, 1978.
  4. Brecht, Bertolt, Saggi sul teatro, L’Arche, Parigi, 1972.

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Riferimento/i

Luc TUYMANS (1958)
Nome: Luc
Cognome: TUYMANS
Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Belgio

Età: 67 anni (2025)

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