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Martedì 18 Novembre

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Liu Xiaodong, uno sguardo lucido sulla realtà sociale

Pubblicato il: 6 Aprile 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 10 minuti

Liu Xiaodong dipinge la Cina in trasformazione con una sensibilità cinematografica che cattura l’essenza dei suoi soggetti. Tra ritratti intimi e scene sociali, documenta le trasformazioni del paese con un approccio immersivo che rivela l’umanità dietro ogni volto.

Ascoltatemi bene, banda di snob. In un mondo artistico saturo di concetti vuoti e astrazioni sterili, Liu Xiaodong ci ricorda con un’eloquenza brutale che cos’è davvero la pittura: una finestra aperta sulla vita. Non una finestra che si limita a mostrare, ma che rivela, che interroga, che confronta. Questo figlio della provincia del Liaoning, nato nel 1963, si è imposto come uno dei pittori più rilevanti del nostro tempo, non seguendo le tendenze, ma scavando ostinatamente la propria traccia nel terreno fertile di una Cina in mutamento.

Ciò che colpisce subito osservando le tele di Liu è questa tensione vibrante tra realtà documentaria e costruzione pittorica. Guardate le sue serie sulle “Tre Gole” (2003-2004), dove cattura con precisione chirurgica ma mai fredda i lavoratori spostati dalla costruzione della diga. Questi operai, queste famiglie sradicate, non sono semplici oggetti di studio sociologico. Liu li dipinge con un’intensità che trasforma ogni tela in un teatro della condizione umana.

Contrariamente a quegli artisti che dipingono comodamente nei loro studi asettici, Liu lavora all’aperto, sul campo, in condizioni spesso difficili. Durante il suo progetto a Hotan nella provincia dello Xinjiang nel 2012-2013, ha vissuto tra i minatori di giada uiguri, condividendo la loro vita quotidiana prima di immortalare su tela. Il suo diario, pieno di acute osservazioni, testimonia questa immersione totale che nutre la sua arte. Questo metodo ricorda molto il cinema neorealista italiano, che metteva in scena attori non professionisti che interpretavano la propria vita [1].

Questo approccio quasi etnografico non è solo un metodo di lavoro, è un’etica. Liu non dipinge “sulle” persone, dipinge “con” loro. Ogni pennellata è come un dialogo, una negoziazione tra la sua visione da artista e l’esistenza autonoma dei suoi soggetti. È proprio questo che distingue Liu dai pittori del realismo socialista cinese tradizionale, che usavano le figure umane solo come vettori di un’ideologia.

Il tocco di Liu è libero, sciolto, quasi trascurato in certi punti, creando quello che il critico d’arte Jérôme Sans ha chiamato “momenti di grazia” [2]. Guardate come in “Out of Beichuan” (2010), cattura l’istante in cui giovani donne si trovano davanti alle rovine lasciate dal terremoto del Sichuan. Il contrasto tra le loro silhouette vive e le macerie crea una tensione narrativa che va ben oltre la semplice documentazione di una catastrofe.

Ma non fatevi ingannare, questa apparente trascuratezza è in realtà il frutto di una maestria eccezionale. Liu sa esattamente quando fermare il gesto, quando lasciare che la tela respiri, quando permettere all’immaginazione dello spettatore di completare ciò che è solo abbozzato. È un equilibrista che cammina sul filo sottile che separa il reale dalla sua rappresentazione.

Esiste una relazione profonda tra il lavoro di Liu Xiaodong e il cinema, che va ben oltre le sue collaborazioni con registi come Wang Xiaoshuai o Jia Zhangke. La sua pittura stessa possiede una qualità cinematografica innegabile. Non è un caso se il regista Hou Hsiao-hsien ha seguito il processo creativo di Liu per il suo progetto “Hometown Boy” (2010), creando un documentario che dialoga con i dipinti dell’artista.

Come ha osservato il critico Eugene Wang, “Liu tratta lo spazio pittorico come un montaggio cinematografico” [3]. Nelle sue composizioni, i personaggi sono spesso inquadrati come in una scena di un film, con prospettive che creano una sensazione di immersione. Prendete “Weight of Insomnia” (2016), dove Liu utilizza una macchina automatizzata per tradurre flussi video in tempo reale in dipinti. Questo progetto sfuma deliberatamente i confini tra pittura tradizionale e nuovi media, tra occhio umano e occhio meccanico.

Questa sensibilità cinematografica si manifesta anche nel modo in cui Liu costruisce i suoi narrativi visivi. Le sue grandi tele funzionano come sequenze, frammenti di storie più ampie che lo spettatore è invitato a ricostruire. In “Half Street” (2013), realizzato a Londra, i personaggi sembrano bloccati in un momento di passaggio, come se stessimo assistendo a una scena fissa estratta da un lungometraggio sulla vita urbana contemporanea.

Liu ha inoltre recitato in diversi film, in particolare in “The Days” (1993) di Wang Xiaoshuai, dove interpretava un artista, un ruolo che probabilmente non è stato troppo difficile da interpretare. Questa esperienza come attore gli ha senza dubbio permesso di affinare la comprensione della regia e dell’inquadratura, che reinveste nelle sue composizioni pittoriche [4].

La temporalità nelle opere di Liu è anche profondamente cinematografica. Contrariamente alla pittura tradizionale che congela un istante, le sue tele sembrano catturare un momento in divenire, un tempo elastico che si estende oltre i limiti della cornice. Questo approccio richiama il concetto di “tempo-immagine” teorizzato da Gilles Deleuze riguardo al cinema moderno, dove la temporalità non è più subordinata all’azione ma diventa una dimensione autonoma dell’esperienza [5].

Il processo stesso di creazione di Liu è documentato da video e fotografie, creando un metaracconto intorno all’opera. Come ha sottolineato il curatore Hou Hanru, “il processo di Liu è importante quanto il risultato finale” [6]. I film che accompagnano i suoi progetti non sono semplici documenti, ma opere a sé stanti che dialogano con i dipinti, creando una rete complessa di riferimenti ed echi.

Questa dimensione cinematografica si manifesta anche nel rapporto che Liu intrattiene con i suoi modelli. Come un regista con i suoi attori, li dirige lasciando loro una certa autonomia. Crea situazioni piuttosto che pose, permettendo alla vita di infiltrarsi nella cornice artificiale della rappresentazione. È quello che il critico Jérôme Sans ha definito “teatro del reale” [7].

In “Transgender/Gay in Berlin” (2013), Liu dipinge Sasha Maria, una donna transgender, in una serie di ritratti che evocano piani sequenza di un film sull’identità e la trasformazione. La temporalità di questi ritratti successivi crea una narrazione visiva che supera il tradizionale quadro statico del ritratto dipinto.

La luce gioca anch’essa un ruolo cinematografico nell’opera di Liu. Spesso cruda, a volte drammatica, scolpisce i corpi e gli spazi, creando atmosfere che ricordano il cinema neorealista italiano o i film della Nouvelle Vague cinese. In “Hot Bed” (2005-2006), la luce che bagna i corpi degli operai migranti o delle prostitute thailandesi crea un’atmosfera al contempo intima e distanziata, come se fossimo spettatori di un film documentario [8].

Questa sensibilità cinematografica non è solo una questione di stile o di riferimento. Riflette una visione del mondo in cui l’individuo è costantemente in relazione con un contesto più ampio, sociale e politico. Come nel cinema di Jia Zhangke, con cui Liu ha collaborato, le storie personali sono sempre inscritte nella grande Storia della Cina contemporanea e delle sue vertiginose trasformazioni.

Le tele di Liu Xiaodong costituiscono una cronaca visiva eccezionale della Cina contemporanea e dei suoi sconvolgimenti sociali. Attraverso il suo sguardo di artista, vediamo delinearsi i contorni di una società in piena metamorfosi, lacerata tra tradizione e modernità, tra aspirazioni individuali e vincoli collettivi.

Prendiamo il suo progetto monumentale “The Three Gorges Dam” (2003-2004), in cui documenta le conseguenze umane di questo titanico progetto infrastrutturale. Liu non si limita a mostrare gli spostamenti forzati di popolazione, ma ci fa sentire l’impatto emotivo e psicologico di questi sconvolgimenti sugli individui. Come ha osservato il sociologo Pierre Bourdieu, “la fotografia è un’arte che fissa un aspetto del reale, ma la pittura può rivelare le dimensioni invisibili di quel medesimo reale” [9].

Ciò che distingue l’approccio sociologico di Liu è il suo rifiuto dell’astrazione teorica a favore di un’immersione concreta nelle realtà che descrive. Durante il suo progetto “Hotan” nello Xinjiang, ha vissuto tra i minatori di giada uiguri, condividendo la loro quotidianità precaria e pericolosa. I suoi dipinti che ne derivano non sono illustrazioni di un discorso preconfezionato sulle disuguaglianze economiche o le tensioni etniche, ma testimonianze visive nate da un’esperienza vissuta [10].

Liu presta particolare attenzione ai gruppi marginalizzati o in transizione: lavoratori migranti, popolazioni sfollate, comunità minoritarie. In “Hometown Boy” (2010), torna nella sua città natale di Jincheng e dipinge i suoi amici d’infanzia, ora trasformati dagli anni e dai cambiamenti economici del paese. Così facendo, crea un ritratto sfumato della classe operaia cinese di fronte alle sfide della globalizzazione.

La sociologa Eva Illouz ha teorizzato come “le emozioni sono plasmate dalle strutture sociali contribuendo allo stesso tempo a riprodurle” [11]. Liu sembra intuire questa dialettica. I suoi ritratti non sono mai semplici rappresentazioni di individui isolati, ma esplorazioni dei legami complessi tra emozioni personali e condizioni sociali. In “Weight of Insomnia” (2016), utilizza una macchina da pittura automatizzata per tradurre in tempo reale i flussi urbani in immagini, creando così una potente metafora visiva della società della sorveglianza e dell’alienazione moderna.

L’approccio sociologico di Liu si manifesta anche nel suo metodo di lavoro collettivo. Per ciascuno dei suoi progetti, si circonda di un team che comprende fotografi, videomaker, assistenti, creando così una piccola comunità temporanea attorno all’atto del dipingere. Questa dimensione collaborativa riflette la sua convinzione che l’arte non sia un’attività isolata ma un processo sociale radicato in rapporti umani concreti [12].

In “Borders” (2021), presentato al Dallas Contemporary, Liu si è immerso nelle comunità della regione del Texas, documentando individui e società contemporanee. Come l’antropologo Clifford Geertz che promuove “la descrizione densa” delle culture, Liu accumula dettagli significativi per rivelare le strutture profonde che organizzano la vita sociale [13].

Ciò che conferisce forza sociologica ai dipinti di Liu è la loro capacità di mostrare come i grandi cambiamenti strutturali si manifestino nei gesti quotidiani, nelle posture, negli sguardi. In “Out of Beichuan” (2010), le giovani donne in piedi davanti alle rovine del terremoto non sono semplici simboli di resilienza, ma individui concreti i cui corpi e espressioni testimoniano traumi collettivi e speranze persistenti.

Liu pratica ciò che il sociologo Howard Becker definirebbe una “sociologia visiva” [14], utilizzando le risorse della pittura per esplorare e documentare i mondi sociali. I suoi dipinti non si limitano a illustrare realtà sociologiche preesistenti, ma costituiscono essi stessi una forma di conoscenza sociale, offrendo prospettive che le analisi testuali non potrebbero cogliere.

In un’epoca in cui l’arte contemporanea sembra spesso dissolversi nel concettuale e nel virtuale, Liu Xiaodong riafferma la potenza viscerale della pittura come esperienza. La sua opera ci ricorda che la pittura non è solo un mezzo tra gli altri, ma una pratica incarnata che coinvolge tutto il corpo, quello dell’artista come quello dello spettatore.

In un mondo dominato dagli schermi e dalle immagini digitali, Liu reintroduce la materialità e la tattilità. Il suo processo creativo all’aperto, documentato tramite fotografia e video, diventa esso stesso una performance che mette in discussione le nozioni di autenticità e mediazione. Come ha sottolineato il curatore Jérôme Sans, “Liu Xiaodong lavora come un etnologo che percorre il mondo” [15], trasformando l’atto di dipingere in un’esplorazione attiva piuttosto che in una riproduzione passiva.

Liu incarna una forma di resistenza all’accelerazione del tempo e alla virtualizzazione dell’esperienza. Trascorrendo settimane, persino mesi, a dipingere lo stesso luogo, contrappone al ritmo frenetico della società contemporanea una temporalità alternativa, quella dell’osservazione paziente e dell’impegno duraturo. Il suo approccio ricorda quello del fotografo Walker Evans, che vedeva nella lentezza una condizione necessaria per la profondità dello sguardo [16].

Questo pittore che ha attraversato le ultime decadi dell’arte cinese senza mai lasciarsi rinchiudere in uno stile o una scuola ci offre una lezione preziosa: l’arte vera nasce da una necessità interiore, non dai diktat del mercato o dalle mode passeggere. E se alcuni considerano la sua pittura troppo tradizionale, io rispondo che non c’è nulla di più radicale oggi che prendersi il tempo di guardare davvero il mondo e di testimoniarlo con onestà.

Liu Xiaodong non è un rivoluzionario che cerca di rovesciare il tavolo. È qualcosa di più raro e forse più prezioso: un testimone lucido che ci aiuta a vedere ciò che non vogliamo vedere, a sentire ciò che preferiamo ignorare. In un’epoca che coltiva la distrazione e l’oblio, la sua opera ci ricorda che l’arte può ancora essere uno spazio di verità.


  1. Jérôme Sans, “Liu Xiaodong : Diario del mondo contemporaneo”, in Bentu : artisti cinesi nella turbolenza delle mutazioni, Parigi : Hazan : Fondation Louis Vuitton, 2016.
  2. Ibid.
  3. Eugene Wang, “Fuori da Beichuan”, in ArtForum, 2012.
  4. Jean-Marc Decrop, Liu Xiaodong, Hong Kong, Map Book Publishers, 2006.
  5. Gilles Deleuze, L’immagine-tempo, Parigi, Éditions de Minuit, 1985.
  6. Hou Hanru, Progetto Hotan di Liu Xiaodong & Ricerca dello Xinjiang, Chinaciticpress, 2013.
  7. Jérôme Sans, Liu Xiaodong: La pittura come ripresa, Venezia, Fondazione Faurschou a Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 2015.
  8. Lü Peng, Storia dell’arte cinese nel XX secolo, Parigi, Somogy, 2013.
  9. Pierre Bourdieu, Un’arte media: saggio sugli usi sociali della fotografia, Parigi, Éditions de Minuit, 1965.
  10. Hou Hanru, op. cit.
  11. Eva Illouz, I sentimenti del capitalismo, Parigi, Seuil, 2006.
  12. Ai Min, Amici d’infanzia che ingrassano: fotografie di Liu Xiaodong. 2007-2014, Shanghai, Minsheng Art Museum, 2014.
  13. Clifford Geertz, L’interpretazione delle culture, New York, Basic Books, 1973.
  14. Howard S. Becker, “Sociologia visiva, fotografia documentaria e fotogiornalismo: è (quasi) tutto una questione di contesto”, Visual Sociology, Vol. 10, No. 1-2, 1995.
  15. Jérôme Sans, op. cit..
  16. Walker Evans, Fotografie americane, New York, Museum of Modern Art, 1938, prefazione.
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Riferimento/i

LIU Xiaodong (1963)
Nome: Xiaodong
Cognome: LIU
Altri nome/i:

  • 刘小东 (Cinese semplificato)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Cina

Età: 62 anni (2025)

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