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Martedì 18 Novembre

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L’oceano di linee realizzate con penna a sfera di Ulla Hase

Pubblicato il: 20 Aprile 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

Ulla Hase trasforma comuni penne a sfera in strumenti di trascendenza. I suoi disegni geometrici astratti, creati tramite una paziente accumulazione di linee, generano spazi contemplativi dove profondità e movimento emergono dalla carta.

Ascoltatemi bene, banda di snob, l’arte contemporanea è piena di reti tessute da geni mediatici e curatori ossessionati dall’ultimo enfant prodige. Ma a volte, solo a volte, si incontra un’artista che lavora veramente nel silenzio sacro della sua pratica, come se il mondo esterno non esistesse. Ulla Hase è una di loro. Questa artista tedesca nata nel 1966 a Kiel e residente a Bruxelles crea disegni che emergono in uno spazio-tempo dove il pensiero e il movimento corporeo si fondono in una danza meditativa e profondamente fisica.

Cosa sappiamo di lei? Vincitrice del Luxembourg Art Prize nel 2023, questa artista della penna a sfera, sì, avete letto bene, quegli strumenti economici che il postino ti porge per firmare una ricevuta, trasforma questo materiale modesto in uno strumento di trascendenza. Nel suo studio di Bruxelles, Hase si impegna in un atto di ripetizione ostinata, tracciando linee che si accumulano, si sovrappongono e finiscono per vibrare sotto i nostri occhi come la superficie di un oceano microscopico.

La sua opera “Multiple silences” (2023), sei disegni monumentali realizzati con penna a sfera su carta, ci immerge in un mare di linee blu che sembrano pulsare, respirare, estendersi all’infinito. È un lavoro che rifiuta categoricamente la nostra cultura dell’immediatezza e dello spettacolare. Hase vi chiede di rallentare, osservare, entrare in uno stato contemplativo in cui la percezione diventa un’attività attiva piuttosto che passiva.

Ciò che mi piace del suo lavoro è la sua relazione profonda con la letteratura dell’assurdo, in particolare quella di Samuel Beckett. Non avete notato? Come in Beckett, c’è in Hase questa insistenza sulla ripetizione che non è mai davvero ripetizione. In “Aspettando Godot” (1952), Beckett scrive: “Non succede niente, nessuno arriva, nessuno se ne va, è terribile” [1]. In questa apparente monotonia si nasconde un’intera cosmologia di emozioni e significati. Allo stesso modo, Hase ripete instancabilmente lo stesso gesto, tracciare una linea, ma ogni linea è unica, vibrante di un’intensità particolare.

Lo scrittore irlandese diceva: “Provare ancora. Fallire ancora. Fallire meglio” [2]. Non è esattamente quello che fa Hase? Lei traccia, riprende, insiste. Fa dell’insuccesso e del tentativo un’estetica. I suoi disegni testimoniano una perseveranza quasi assurda di fronte al vuoto della pagina bianca, come i personaggi di Beckett che continuano a parlare per evitare il silenzio.

Nei suoi disegni astratti geometrici, ogni linea diventa una “parola” in un linguaggio visivo personale che, come in Beckett, cerca di dire l’indicibile. Come lei stessa spiega: “Il disegno è un mezzo per trasformare la linea, uno spazio fisico e mentale in movimento. Questa interazione della mano e della mente sulla carta mi aiuta ad approfondire e a strutturare le mie emozioni”.

Guardate attentamente la sua opera “Senza titolo” (2019), questa immensa composizione con penna a sfera blu su carta Arches satinata. Sembra un tessuto complesso che si è formato giorno dopo giorno, gesto dopo gesto. L’artista confessa di essersi “persa in questo paesaggio blu”. Non è la stessa perdita vissuta dai personaggi di Beckett, erranti in un mondo dove i punti di riferimento si dissolvono?

Questa somiglianza con l’universo beckettiano non è aneddotica. Rivela una visione profonda dell’esistenza umana in cui l’atto ripetitivo diventa una forma di resistenza di fronte all’assurdità del mondo. Ogni tratto è un’affermazione: “Io sono ancora qui”. Ogni disegno completato: “Ho perseverato”.

Ma sarebbe riduttivo limitare l’opera di Ulla Hase a questa sola filiazione. Nel suo lavoro c’è una dimensione che tocca anche l’architettura organica, e più in particolare le teorie sviluppate dall’architetto finlandese Juhani Pallasmaa. Quest’ultimo, nel suo libro “Gli occhi della pelle”, sviluppa un approccio fenomenologico all’architettura che privilegia l’esperienza sensoriale completa piuttosto che la sola visione [3].

Pallasmaa critica la nostra cultura oculocentrica e chiama a un’architettura che coinvolga tutti i sensi, incluso il tatto. Scrive: “La pelle legge la texture, il peso, la densità e la temperatura della materia” [4]. Allo stesso modo, i disegni di Ulla Hase, sebbene visivi, evocano un’esperienza tattile profonda. Guardando le sue opere, si percepisce quasi fisicamente il movimento ripetuto della sua mano sulla carta, la pressione della penna, la texture che si forma per accumulo.

Questa dimensione aptica è evidente in “Troubled times”, dove l’inchiostro che trabocca e sanguina fuori dal quadro ci ricorda che siamo davanti a una materia vivente, che reagisce ai gesti dell’artista. Le sue opere non sono rappresentazioni fredde e calcolate di una visione preconcetta, ma spazi in cui l’architettura del disegno si costruisce progressivamente, organicamente, attraverso un dialogo costante tra mano, strumento e supporto.

Come in Pallasmaa, in Hase c’è una coscienza acuta dello spazio come luogo di esperienza corporea. I suoi disegni creano spazi architettonici virtuali dove lo sguardo può vagare, perdersi, riposare. In “Multiple silences”, gli strati di linee blu generano un’impressione straordinaria di profondità e movimento, invitando lo spettatore a un’esplorazione spaziale che coinvolge l’intero corpo, non solo gli occhi.

L’architetto finlandese sostiene che “l’architettura articola l’esperienza di essere nel mondo e rafforza il nostro senso della realtà e del sé” [5]. Allo stesso modo, i disegni di Ulla Hase articolano l’esperienza di essere in un mondo di sensazioni e pensieri in perpetuo movimento. Ci ancorano nell’ici e ora della percezione aprendo spazi infiniti di contemplazione.

Questo approccio fenomenologico all’arte si ricollega alla filosofia personale di Hase, che afferma: “Mi interessano le questioni della conoscenza fisica e intellettuale. […] Nel mio lavoro artistico creo interfacce modellando sia gli aspetti temporali che le dimensioni spaziali del mio ambiente”. La sua arte diventa così una forma di architettura temporale e spaziale, un luogo da abitare con lo sguardo e la coscienza.

La pazienza monastica con cui Hase crea le sue opere sfida la nostra epoca ossessionata dalla velocità. Lei compara il suo processo alla formazione del carbone: “È un po’ come il carbone di legna che si forma in certe condizioni. Per milioni di anni immagazzina energia che può essere utilizzata molto più tardi.” Questa visione dell’arte come lento processo di accumulo di energia va direttamente contro la nostra cultura dell’immediato e ci ricorda che alcune cose semplicemente non possono essere accelerate.

In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale promette di produrre “capolavori” in pochi secondi, il lavoro manuale e meticoloso di Hase rappresenta un atto di resistenza. Ogni linea tracciata è un momento vissuto, un battito di vita che nessun algoritmo può simulare. Come lei afferma: “Il dominio dell’esperienza personale è diverso da ciò che il flusso di immagini digitali ci suggerisce.”

C’è qualcosa di profondamente toccante in questa ostinazione nel disegnare giorno dopo giorno, nel ripetere gli stessi gesti senza mai produrre esattamente lo stesso risultato. Hase pratica una forma di ascetismo artistico che ricorda i monaci copisti del Medioevo, che lavoravano nella solitudine delle loro celle a manoscritti che poche persone avrebbero visto.

Eppure, questo lavoro apparentemente isolato risuona con la nostra condizione contemporanea. In un’epoca sommersa di informazioni, dove “siamo sommersi di fatti supposti 24 ore su 24”, come dice Hase, i suoi disegni ci offrono uno spazio di decantazione, un luogo dove il tempo si dilata e il pensiero può finalmente respirare.

La cosa più notevole nell’opera di Ulla Hase è forse questa capacità di trasformare materiali ordinari, una penna a sfera, un foglio di carta, in veicoli di trascendenza. Lavora con ciò che tutti hanno a portata di mano, ma ne ricava risultati che superano la comprensione. Non è forse questa la definizione stessa dell’alchimia artistica?

La sua partecipazione alla mostra “Beyond the lines. Drawing in space” alla Villa Empain nel 2024 ha confermato il suo posto tra gli artisti contemporanei che ridefiniscono l’arte del disegno. Come ha osservato un critico belga, le sue creazioni sono “contemplative, addirittura meditative” e generano “una sorprendente impressione di profondità e movimento” [6].

Hase si iscrive in una linea di artiste che hanno esplorato le potenzialità del disegno ripetitivo e meditativo, lei stessa cita Eva Hesse, Gego, Geta Bratescu e Julie Mehretu tra le sue “eroine segrete”. Ma la sua voce è singolare, radicata nella sua esperienza personale e nel suo rapporto con il mondo.

Nata nel nord della Germania, in una famiglia protestante dove “bisognava fare il lavoro senza lamentarsi”, avendo trascorso la sua infanzia raccogliendo pietre nei campi e osservando sua madre lavorare a maglia e ricamare la sera, Hase ha sviluppato un’etica del lavoro che impregna ogni aspetto della sua pratica artistica. Questa rigorosità non è mai austera o fredda; al contrario, è al servizio di un’espressività profonda che tocca l’universale.

L’arte di Ulla Hase ci ricorda che in un mondo che valorizza lo spettacolare e l’immediato, la vera radicalità consiste forse nel prendersi il proprio tempo, nel ripetere un gesto semplice fino a quando rivela tutta la sua complessità, nel creare spazi di silenzio dove può finalmente emergere ciò che non può essere detto. Nelle parole di Beckett ancora una volta: “Ogni parola è una macchia sul silenzio” [7]. Le linee di Hase sono tante tracce sul silenzio bianco della carta, formando un linguaggio visivo che parla direttamente ai nostri sensi.

Vi incoraggio a immergervi in questo universo di linee vibranti, in questo oceano blu di pensieri materializzati. Non ne uscirete indenni.


  1. Beckett, Samuel. “Aspettando Godot”, Les Éditions de Minuit, Parigi, 1952.
  2. Beckett, Samuel. “Verso il peggio” (Worstward Ho), tradotto dall’inglese da Édith Fournier, Les Éditions de Minuit, Parigi, 1991.
  3. Pallasmaa, Juhani. “Gli occhi della pelle: Architettura e sensi”, tradotto dall’inglese da Jean-Paul Curnier, Éditions du Linteau, Parigi, 2010.
  4. Ibid.
  5. Ibid.
  6. Furniere, Andy. “Beyond the lines. Drawing in space in Villa Empain: dansen op een dunne lijn”, BRUZZ, 2 luglio 2024.
  7. Beckett, Samuel. “Molloy”, Les Éditions de Minuit, Parigi, 1951.
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Riferimento/i

Ulla HASE (1966)
Nome: Ulla
Cognome: HASE
Altri nome/i:

  • Ursula Hase

Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Germania

Età: 59 anni (2025)

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