Ascoltatemi bene, banda di snob. Mentre vi compiaci delle vostre teorie fumose sull’arte contemporanea, un uomo a Harbin sta reinventando silenziosamente la pittura paesaggistica cinese da quarant’anni. Lu Yushun non vi chiede il permesso per rivoluzionare un’arte millenaria. Lo fa, punto.
Nato nel 1962 nella gelida metropoli di Heilongjiang, questo figlio della Manciuria è cresciuto all’ombra delle foreste boreali e delle distese infinite del nord-est cinese. Quando la maggior parte dei pittori della sua generazione si arenava nelle querelle estetiche degli anni Ottanta, Lu Yushun tracciava già la sua strada singolare. A ventidue anni, la sua opera “Territorio del Nord” provocava una sensazione al Salon Nazionale Cinese delle Belle Arti, annunciando l’emergere di una voce radicalmente nuova nell’arte cinese.
Ciò che colpisce immediatamente nell’universo pittorico di Lu Yushun è questa singolare capacità di superare i limiti spaziali tradizionali della pittura paesaggistica. Le sue serie emblematiche, da “Contemplazione delle Otto Distese” a “Patria spirituale”, passando per “Poesia dei Tang” e più recentemente “Grande Bellezza del Cielo e della Terra”, rivelano un artista che non si accontenta di dipingere montagne e fiumi. Costruisce cosmogonie intere, universi dove il tempo e lo spazio obbediscono a una logica poetica più che alla fisica newtoniana.
L’originalità fondamentale di Lu Yushun risiede nel suo metodo di composizione rivoluzionaria. Dove i suoi predecessori organizzavano i loro paesaggi secondo le “Tre Distanze” di Guo Xi, egli impone una struttura verticale e simmetrica che conferisce alle sue opere una solennità quasi rituale. Queste composizioni audacemente parallele e perpendicolari creano ciò che si deve chiamare “paesaggi soprannaturali”, spazi che non esistono in natura ma che portano in sé una verità spirituale più profonda di qualsiasi realismo fotografico.
Il suo linguaggio plastico si articola attorno a una tecnica di sfumatura e sfregamento su larga scala che abbandona deliberatamente il sistema tradizionale delle texture ereditate dai maestri antichi. Le linee rotonde e morbide, simili alla scrittura sigillare, disegnano forme di una semplicità geometrica sorprendente. Questa semplificazione radicale non deriva da una pigrizia concettuale, ma da una volontà filosofica di cogliere l’essenza universale dei fenomeni naturali al di là delle loro apparenze particolari.
L’influenza dell’architettura modernista sull’arte di Lu Yushun è particolarmente interessante. A differenza dei paesaggisti tradizionali che si ispiravano esclusivamente alla natura, Lu Yushun attinge all’estetica architettonica contemporanea questa concezione dello spazio come volume scolpito piuttosto che come superficie decorativa. Le sue montagne si ergono con la maestosità delle cattedrali gotiche occidentali, le sue nuvole si organizzano secondo una geometria che evoca le volte di Le Corbusier tanto quanto le nebbie del monte Huang. Questa ibridazione tra la tradizione pittorica cinese e la modernità architettonica occidentale produce uno stile unico che riconcilia l’Oriente e l’Occidente senza mai tradire lo spirito profondo della pittura cinese.
L’architetto franco-svizzero Charles-Édouard Jeanneret, più noto come Le Corbusier, rivoluzionò l’architettura del XX secolo sviluppando i suoi “Cinque punti per un’architettura nuova” [1]. Questo approccio modulare e funzionalista trova un’eco sorprendente nel metodo compositivo di Lu Yushun. Come Le Corbusier liberava l’architettura dai vincoli ornamentali per rivelare la bellezza pura della funzione, Lu Yushun libera la pittura di paesaggio dai dettagli aneddotici per esprimere l’essenza cosmica della natura. I pilotis corbusieriani che elevano gli edifici sopra il suolo trovano il loro equivalente in queste montagne fluttuanti dipinte da Lu Yushun, sospese nello spazio dalla sola forza della sua visione poetica. La finestra longitudinale diventa per lui queste orizzontali nuvolose che unificano le sue composizioni. La pianta libera si manifesta in questa totale libertà con cui riorganizza lo spazio naturale secondo la sua logica interna. La facciata libera traspare in queste superfici pittoriche dove ogni elemento può apparire indipendentemente dalla sua funzione descrittiva tradizionale. Infine, il tetto-terrrazzo trova il suo equivalente in queste cime appiattite che coronano le sue montagne, trasformate in piattaforme spirituali da cui contemplare l’infinito.
Questa parentela con l’architettura modernista non è casuale. Lu Yushun appartiene a quella generazione di artisti cinesi formati negli anni 1980, periodo di intensa apertura culturale in cui le avanguardie occidentali incontrarono per la prima volta le tradizioni artistiche cinesi in un dialogo autentico. Contrariamente ai suoi contemporanei che spesso adottavano superficialmente i codici dell’arte occidentale, Lu Yushun è riuscito a operare questa sintesi in profondità, integrando le lezioni della modernità architettonica alla sua comprensione intima della filosofia tradizionale cinese.
L’uso dell’inchiostro nelle sue opere rivela una eccezionale maestria tecnica al servizio di una visione cosmica. Le sfumature sottili dell’inchiostro, dai neri più profondi ai grigi più delicati, creano quegli effetti di “alone” che unificano l’insieme delle sue composizioni. Questa tecnica dell’alone, centrale nella sua estetica, permette di passare dal figurativo al semi-astratto senza interruzione, creando quello stato intermedio che Zhuangzi chiamava “l’intervallo tra le apparenze”. Le montagne nascono dalla nebbia e vi ritornano, gli alberi emergono dal vuoto per fondersi di nuovo lì, in un perpetuo movimento di condensazione e dissoluzione che evoca i cicli cosmici descritti dalla filosofia taoista.
Ma è probabilmente nelle sue serie di scritture “extraterritoriali” che Lu Yushun rivela meglio il suo genio singolare. Quando dipinge l’Europa con i suoi pennelli cinesi, non cade mai nel pittoresco turistico né nell’esotismo facile. Le sue cattedrali gotiche e i suoi castelli della Loira diventano, sotto il suo pennello, variazioni sul tema universale dell’armonia tra uomo e natura. L’architettura europea e la filosofia cinese si incontrano in un linguaggio plastico che supera i particolarismi culturali per toccare l’universale.
Questa capacità di universalizzare il particolare avvicina Lu Yushun alla poesia classica cinese, e più in particolare all’opera di Li Bai. Il grande poeta della dinastia Tang condivideva con il nostro pittore questa rara facoltà di trasformare l’osservazione del mondo in una visione cosmica. Come Li Bai trasformava una semplice bevuta tra amici in una meditazione sull’eternità, Lu Yushun trasforma un paesaggio dell’Heilongjiang in un’allegoria dell’armonia universale. I “Canti della notte tranquilla” di Li Bai [2] risuonano stranamente con la serie “Patria spirituale” di Lu Yushun. In entrambi i casi, l’artista parte da un’emozione intima per costruire un’architettura simbolica che abbraccia l’intera esperienza umana.
L’analogia con Li Bai si dimostra particolarmente illuminante riguardo all’uso dello spazio. Il poeta della dinastia Tang praticava ciò che i critici cinesi chiamano il “salto della pulce”, questa tecnica che consiste nel passare da un’immagine all’altra senza apparente transizione logica, creando un effetto di sorpresa e arricchimento semantico. Lu Yushun procede in modo simile nelle sue composizioni, giustapponendo elementi che non appartengono allo stesso registro spaziale o temporale. Un fiume può così apparire sulla cima di una montagna, alberi crescere nelle nuvole, uccelli volare sotto terra. Questa logica poetica piuttosto che naturalistica crea uno spazio pittorico inedito che sfugge alle categorie abituali della rappresentazione.
La dimensione filosofica dell’opera di Lu Yushun trova la sua base nella sua profonda comprensione del concetto cinese di “tianren heyi” (l’unità del Cielo e dell’uomo). Questa nozione, centrale nel pensiero cinese sin da Mencio, postula che l’essere umano partecipi della stessa essenza del cosmo e debba sforzarsi di ritrovare questa armonia originaria. I paesaggi di Lu Yushun non sono descrizioni della natura esteriore, ma proiezioni di quella natura interiore che la filosofia cinese considera al centro dell’esperienza umana. Le sue montagne non si limitano a esistere, esse respirano. Le sue nuvole non si limitano a fluttuare, esse pensano. Questa sottile animazione di tutti gli elementi naturali trasforma le sue opere in meditazioni visive sull’interconnessione universale.
La tecnica di Lu Yushun al servizio di questa visione filosofica rivela una sofisticazione notevole. Il suo uso del vuoto, concetto fondamentale dell’estetica cinese, non è mai una facilità decorativa. Ogni zona lasciata in bianco partecipa attivamente alla composizione, creando quegli effetti di respiro che danno vita all’insieme. Il vuoto in Lu Yushun non è assenza ma presenza latente, pura potenzialità che contiene tutte le forme possibili. Questa concezione dinamica dello spazio negativo lo avvicina ai maestri zen pur mantenendo quella ampiezza cosmica che caratterizza l’arte del nord della Cina.
L’evoluzione di Lu Yushun dai suoi primi successi degli anni ’80 testimonia una maturazione artistica esemplare. Lontano dal compiacersi nella ripetizione delle sue formule iniziali, ha continuamente arricchito il suo vocabolario plastico integrando nuovi temi e nuove tecniche. Le sue opere recenti della serie “Una Cintura, una Via” dimostrano la sua capacità di adattare il suo linguaggio pittorico alle sfide contemporanee senza mai perdere quella poesia fondamentale che caratterizza la sua arte.
La ricezione critica dell’opera di Lu Yushun in Cina e all’estero conferma l’importanza del suo contributo all’arte contemporanea. Direttore dell’Accademia Nazionale di Pittura Cinese dal 2020, incarna quella generazione di artisti che ha saputo rinnovare la tradizione senza tradirla. Le sue mostre nelle più prestigiose istituzioni internazionali testimoniano il riconoscimento universale del suo talento.
Ciò che distingue fondamentalmente Lu Yushun dai suoi contemporanei è questa rara capacità di creare uno stile personale riconoscibile pur rimanendo fedele allo spirito profondo della pittura cinese. Né imitatore degli antichi, né servile adepto delle mode occidentali, ha saputo inventare un linguaggio pittorico autenticamente contemporaneo che parla altrettanto bene ai cinesi quanto agli occidentali. Questa universalità nella singolarità costituisce forse il più notevole compimento del suo percorso artistico.
L’eredità di Lu Yushun va ben oltre il quadro della pittura paesaggistica. Il suo esempio dimostra che autenticità e innovazione non si oppongono ma si nutrono reciprocamente quando sono guidate da una visione artistica coerente e rigorosa. L’arte di Lu Yushun ci ricorda che la grande pittura non copia il mondo, lo ricrea. In quest’epoca di confusione estetica in cui tanti artisti si perdono negli effetti della moda, la sua opera si impone come un faro di chiarezza e rigore. Essa ci insegna che la vera arte non cerca di piacere ma di rivelare, che non adulare le nostre abitudini ma sconvolgere la nostra percezione del reale.
Di fronte alle sfide ecologiche e spirituali del nostro tempo, l’arte di Lu Yushun acquista una risonanza profetica. I suoi paesaggi non documentano la natura, ma ne rivelano la dimensione sacra. Ci ricordano che l’uomo e l’ambiente naturale partecipano della stessa armonia cosmica che la modernità industriale ha troppo spesso dimenticato. In questo senso, Lu Yushun non è solo un pittore straordinario, ma un filosofo dell’immagine che ci aiuta a ripensare il nostro rapporto con il mondo.
L’opera di Lu Yushun resterà uno dei traguardi più significativi dell’arte cinese contemporanea. Essa testimonia la vitalità creativa di una civiltà che, lontana dal fossilizzarsi nella nostalgia, continua a reinventarsi attingendo alle sue fonti più profonde. Nella storia della pittura cinese, Lu Yushun è stato colui che ha dimostrato che è possibile essere risolutamente moderni pur rimanendo autenticamente cinesi.
- Le Corbusier, Verso un’architettura, Parigi, Éditions Crès, 1923.
- Li Bai, Opere complete, dinastia Tang, VIII secolo.
















