Ascoltatemi bene, banda di snob, ciò che è più rivoluzionario nell’arte non è sempre ciò che si proclama tale. Quando Luo Zhongli espose il suo quadro “Padre” nel 1980, una tela monumentale di 215 x 150 cm che rappresentava il volto segnato di un contadino ordinario, creò un terremoto nel panorama artistico cinese più potente di qualsiasi manifestazione d’avanguardia. Non era semplicemente un ritratto, era una dichiarazione esistenziale, un’affermazione del valore intrinseco di quei milioni di uomini e donne anonimi che costituiscono la spina dorsale della Cina.
In questa Cina post-rivoluzionaria, dove l’idealizzazione propagandistica dei contadini come “eroi” collettivi aveva nascosto le loro reali condizioni di esistenza, Luo Zhongli ebbe l’audacia di mostrare la verità cruda. Questo volto a grandezza naturale, segnato dal tempo, dal sole e dal lavoro incessante, confrontò un’intera società con ciò che preferiva ignorare. È proprio questa dimensione che desidero esplorare in relazione a due tradizioni intellettuali: la fenomenologia husserliana e l’estetica del sublime kantiano.
Edmund Husserl, nella sua ricerca di tornare “alle cose stesse”, ci invita a sospendere i nostri pregiudizi per ritrovare l’esperienza vissuta nella sua purezza originaria [1]. Luo Zhongli compie esattamente questo procedimento fenomenologico dipingendo. Si libera delle rappresentazioni codificate del contadino gioioso e idealizzato dell’arte ufficiale per confrontarci con la presenza cruda, con l’essere-là di quest’uomo. Il quadro non ci racconta una storia ideologica, ci pone davanti a un volto che esiste realmente, che suda, che soffre, che resiste. Questo approccio risuona perfettamente con la volontà husserliana di raggiungere “l’evidenza apodittica”, quella certezza assoluta che deriva dall’esperienza diretta del mondo vissuto.
Questo quadro intitolato “Padre” compie una forma di epoche pittorica, una messa tra parentesi dei presupposti sociali ed estetici, per riportarci al contatto puro con l’umanità di questo contadino. Ogni ruga, ogni poro, ogni goccia di sudore diventa una manifestazione concreta di quell’intenzionalità husserliana diretta all’essenza stessa dell’esperienza contadina cinese. Lo stile iperrealista non è una semplice scelta tecnica, ma un metodo fenomenologico di accesso alla verità esistenziale di quest’uomo.
Come scrive Husserl: “La fenomenologia procede elucidando visivamente, determinando il senso e distinguendo i sensi. Compare, differenzia, forma legami, mette in relazione, divide in parti o rileva momenti inerenti.” [2] Questa descrizione potrebbe applicarsi perfettamente al processo creativo di Luo Zhongli, alla sua meticolosa esplorazione visiva del volto contadino, alla sua metodica escavazione degli strati di esperienza inscritti in questo volto.
Parallelamente, l’opera di Luo Zhongli si inserisce nella tradizione kantiana del sublime. Per Immanuel Kant, il sublime si manifesta quando siamo confrontati con qualcosa che supera la nostra capacità di comprensione, provocando simultaneamente terrore e piacere [3]. Il dipinto “Padre” funziona esattamente in questo modo. L’immensità della sofferenza inscritta in questo volto, l’ampiezza della fatica che evoca, superano la nostra capacità di concettualizzarle pienamente. Lo spettatore prova una forma di vertigine di fronte a questa esistenza che lo supera.
Questa dimensione sublime è rafforzata dal formato monumentale del dipinto. Tradizionalmente, in Cina, solo i leader politici o le figure storiche importanti beneficiavano di ritratti di tale dimensione. Concedendo questa scala a un semplice contadino, Luo Zhongli crea una tensione sublime tra la modestia sociale del soggetto e la sua presenza travolgente, tra la sua marginalità politica e la sua centralità esistenziale. Lo spettatore è preso in questa contraddizione dinamica che caratterizza l’esperienza kantiana del sublime.
La stessa scelta di rappresentare un soggetto così ordinario a una scala così monumentale crea quello che Kant chiamerebbe un “piacere negativo”, questo mix di attrazione e repulsione che costituisce l’essenza del sublime. Siamo attratti dalla potenza espressiva del volto pur essendo respinti dai segni di povertà e sofferenza che manifesta. Questa tensione dialettica è proprio ciò che conferisce all’opera la sua potenza sublime.
Lo storico dell’arte cinese Gao Minglu osserva: “Il volto di questo ‘Padre’ diventa un microcosmo della storia cinese recente, un paesaggio dove ogni ruga racconta un capitolo delle tribolazioni nazionali.” [4] Questo commento sottolinea perfettamente come Luo Zhongli riesca a trasformare il suo soggetto in quello che Kant chiamerebbe un “infinito presentato”, l’immensità della storia cinese concentrata in questo solo volto.
La temporalità inscritta in questo ritratto è anche affascinante da un punto di vista fenomenologico. Husserl attribuiva una notevole importanza alla coscienza del tempo vissuto, a questa esperienza soggettiva della durata che non si riduce al tempo cronologico. Il volto del “Padre” di Luo Zhongli è esso stesso una fenomenologia del tempo incarnato, ogni ruga, ogni segno, ogni cicatrice rappresenta la sedimentazione degli anni di lavoro al sole. Non è semplicemente un’istantanea, ma una compressione temporale, una testimonianza di esperienze accumulate.
Jean-François Lyotard, nelle sue analisi del sublime kantiano, insiste sulla sua dimensione politica: “Il sublime è il sentimento che segnala che qualcosa di inesplicabile vuole farsi sentire.” [5] Nel contesto post-rivoluzionario cinese, questo “qualcosa di inesplicabile” era precisamente la realtà della condizione contadina, sistematicamente occultata dal discorso ideologico. Dando forma a questo inesprimibile, Luo Zhongli compie un atto politico fondamentale, anche se non si presenta come tale.
Il piccolo dettaglio della penna a sfera dietro l’orecchio del contadino aggiunge un ulteriore strato di complessità a quest’opera. Aggiunto su richiesta delle autorità per indicare che si trattava di un “contadino moderno”, questa penna diventa paradossalmente il segno di una tensione storica. Come spiega lo stesso artista: “Questa penna testimonia oggettivamente il sistema di censura artistica di quell’epoca, registra questa relazione tra politica e arte in quel preciso momento.” [6] Questo dettaglio apparentemente insignificante cristallizza le contraddizioni dell’epoca e diventa, involontariamente, un elemento semiotico importante.
La grande forza di Luo Zhongli è stata quella di saper, attraverso quest’opera singolare, riconciliare dimensioni apparentemente contraddittorie: realismo sociale e trascendenza esistenziale, impegno politico e universalità umana, documentarismo e poesia visiva. Così facendo, ha creato un’opera che supera ampiamente il suo contesto storico immediato per raggiungere una portata universale.
Se la fenomenologia husserliana ci permette di comprendere l’approccio metodologico di Luo Zhongli, il suo ritorno “alle cose stesse”, la sua volontà di cogliere l’essenza vissuta dell’esperienza contadina, l’estetica kantiana del sublime ci aiuta a comprendere l’effetto prodotto dalla sua opera sullo spettatore. Insieme, queste due tradizioni filosofiche offrono una griglia di lettura particolarmente feconda per comprendere la complessità e la potenza di questo quadro “Padre” (1980).
È sorprendente constatare che quest’opera, creata nei primi anni dell’apertura cinese, anticipasse già le sfide contemporanee della condizione contadina. Oggi, mentre la Cina è diventata una potenza economica mondiale, le disparità tra aree urbane e rurali si sono solo accentuate. Milioni di lavoratori migranti, provenienti dalle campagne, costituiscono una forza lavoro precaria nelle grandi metropoli costiere, spesso senza protezione giuridica né stabilità economica.
In questo contesto, il “Padre” di Luo Zhongli continua a risuonare con una particolare acutezza. Non è più solo una testimonianza storica, ma un’interpellanza etica persistente. Come scrive il critico Wang Ping: “Il valore di quest’opera risiede nella sua capacità di farci vedere il sorriso che emerge dopo aver asciugato le lacrime, l’abbraccio impregnato di umanità, la lampada a petrolio che illumina la vita.” [7]
Dopo “Padre”, Luo Zhongli ha continuato a esplorare la vita rurale, ma con un’evoluzione stilistica notevole. Allontanandosi gradualmente dal fotorealismo dei suoi inizi, ha sviluppato un linguaggio pittorico più espressionista, integrando elementi dell’arte popolare cinese e tecniche di pittura tradizionale. Questa evoluzione testimonia la sua continua ricerca di trovare un linguaggio artistico autenticamente cinese, capace di esprimere la contemporaneità restando radicato nella tradizione culturale nazionale.
Questa ricerca riecheggia le preoccupazioni della fenomenologia husserliana riguardo al rapporto tra tradizione e innovazione. Husserl sottolineava che ogni rinnovamento autentico implica un ritorno alle origini, una riattivazione del senso fondatore. Allo stesso modo, Luo Zhongli cerca di rivitalizzare la tradizione pittorica cinese confrontandola con le sfide contemporanee, riattivandone il potenziale espressivo di fronte alle realtà attuali.
Negli ultimi anni, nella sua serie “Rilettura della storia dell’arte”, l’artista si è impegnato in un dialogo ancora più esplicito con la tradizione artistica, reinterpretando opere canoniche occidentali e cinesi attraverso il prisma della sua sensibilità personale. Così facendo, prosegue la sua riflessione sull’identità culturale e sulla possibilità di un’arte veramente transculturale.
L’opera di Luo Zhongli, e in particolare “Padre”, ci offre molto più di una rappresentazione sorprendente della condizione contadina cinese. Essa costituisce una profonda meditazione sulla dignità umana, sul valore intrinseco di ogni esistenza, per quanto umile possa essere. Attraverso le cornici della fenomenologia husserliana e dell’estetica kantiana del sublime, possiamo cogliere tutta la ricchezza filosofica di questo approccio artistico.
In un mondo globalizzato in cui le disuguaglianze economiche continuano ad aumentare, dove le popolazioni rurali sono spesso le prime vittime dei cambiamenti sociali e ambientali, l’opera di Luo Zhongli conserva una pertinenza viva. Ci ricorda che dietro le statistiche e le astrazioni economiche si nascondono volti reali, vite concrete, esistenze degne della nostra attenzione e del nostro rispetto.
Come afferma l’artista stesso: “Il nostro paese è un paese di contadini. Ma coloro che parlano per loro sono pochi, e ancora meno sono quelli che dicono la verità. Sono il nostro padre e la nostra madre che ci forniscono vestiti e cibo, sono i veri padroni del nostro paese.” [8] Questa dichiarazione, ben lontana dall’essere un semplice atteggiamento politico, esprime l’essenza stessa del suo percorso artistico: ridare voce e volto a coloro che la storia ufficiale tende a cancellare.
- Husserl, Edmund, Idées directrices pour une phénoménologie, Gallimard, Parigi, 1985.
- Husserl, Edmund, Méditations cartésiennes, Vrin, Parigi, 1992.
- Kant, Emmanuel, Critique de la faculté de juger, Flammarion, Parigi, 2000.
- Gao, Minglu, “Academicism and the Amateur Avant-Garde in the Post-Cultural Revolution Period (1979, 1984)”, in Total Modernity and the Avant-Garde in Twentieth-Century Chinese Art, MIT Press, 2011.
- Lyotard, Jean-François, L’inhumain : causeries sur le temps, Galilée, Parigi, 1988.
- Interview de Luo Zhongli par The Paper, Shanghai, 2019.
- Wang, Ping, “Luo Zhongli hao zai nali?”, Zhongyi Journal, 2012.
- Citation de Luo Zhongli in Xia Hang, “Sichuan qingnian huajia tan chuangzuo”, Meishu, 1981, traduction par Martina Köppel-Yang, Semiotic Warfare: A Semiotic Analysis, The Chinese Avant-Garde, 1979, 1989, p. 96.
















