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Qiu Xiaofei: L’architettura del tempo a spirale

Pubblicato il: 15 Marzo 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 12 minuti

Nelle sue tele evocative, Qiu Xiaofei fonde tradizioni orientali e occidentali con una maestria eccezionale. La sua concezione del tempo come spirale infinita trasforma ogni opera in un universo autonomo dove memoria personale e storia collettiva si intrecciano in un dialogo visivo impressionante.

Ascoltatemi bene, banda di snob! Peccato per voi se non avete ancora scoperto Qiu Xiaofei, questo artista cinese che rifiuta ostinatamente di lasciarsi rinchiudere nelle gabbie soffocanti dell’arte contemporanea convenzionale. Nato nel 1977 a Harbin, questa città del nord-est della Cina che porta ancora i segni dell’influenza sovietica, Qiu Xiaofei naviga tra i mondi con una disinvoltura che fa invidia agli artisti rinchiusi nel loro stile monocorde come pappagalli che ripetono sempre la stessa melodia.

Vedere le sue opere per la prima volta provoca uno shock, come se qualcuno decidesse di svegliare bruscamente un dormiente nel mezzo di un sogno. Le tele di Qiu non sono semplici rappresentazioni; sono portali verso uno spazio-tempo dove passato, presente e futuro si intrecciano in una danza cosmica. La sua tecnica pittorica, al tempo stesso intuitiva e riflessiva, ci invita a immergerci nelle profondità della coscienza collettiva, là dove i nostri ricordi personali si intrecciano con la grande Storia.

Ciò che distingue Qiu Xiaofei dalla massa di artisti contemporanei cinesi che hanno invaso le gallerie occidentali negli ultimi decenni è la sua capacità di trascendere le etichette. Non è né un semplice nostalgico dei tempi passati, né un critico acerbo del regime, né un adepto servile delle tendenze artistiche occidentali. È tutto questo insieme, e molto di più. La sua opera è una spirale, quella forma tanto amata, che si avvolge su se stessa mentre avanza inesorabilmente verso il futuro.

Prendiamo ad esempio la sua opera “Trotskyky grew into a tree” (2021), esposta alla New Century Art Foundation. Solo il titolo è una provocazione intellettuale, un riferimento ironico alla storia politica della Cina e della Russia. Ma ciò che colpisce in quest’opera è il modo in cui Qiu trasforma un concetto politico in una metafora organica. La figura di Trotsky, quel rivoluzionario caduto in disgrazia, cancellato dalle foto ufficiali da Stalin, è reincarnata in un albero, simbolo di permanenza e crescita. È proprio questa capacità di trasformare la storia politica in una visione poetica che rende Qiu un artista così interessante.

La filosofia di Søren Kierkegaard risuona profondamente nell’opera di Qiu Xiaofei. Il filosofo danese affermava che “la ripetizione e il ricordo sono lo stesso movimento, ma in direzioni opposte; poiché ciò di cui ci si ricorda è stato, è ripetuto a ritroso, mentre la vera ripetizione è richiamata in avanti” [1]. Questa idea di un movimento bidirezionale del tempo si ritrova in quasi tutte le opere di Qiu, dove le stratificazioni temporali si sovrappongono come strati geologici. In “Red” (2020), questo imponente dipinto dominato da tonalità cremisi, Qiu illustra perfettamente questa concezione kierkegaardiana del tempo. Il personaggio centrale, congelato in una postura ieratica, sembra sospeso tra passato e futuro, mentre lo sfondo rosso pulsa come un vortice temporale. Qiu non si limita a illustrare il pensiero del filosofo danese; lo reinterpreta attraverso il prisma della sua esperienza personale e della storia cinese.

Kierkegaard scriveva anche sull’angoscia esistenziale, quella sensazione vertiginosa di fronte alla libertà e alle possibilità infinite. In “Apollo Bangs Dionysus”, mostra presentata alla Pace Gallery di Pechino nel 2014, Qiu esplora questa tensione tra l’apollineo e il dionisiaco, tra l’ordine razionale e l’ebbrezza creativa. Le opere esposte, caratterizzate da schizzi di colori vivi e forme ambigue, manifestano questa lotta interiore tra struttura e caos. Qiu non si limita a illustrare i concetti filosofici; li vive attraverso la sua pratica artistica, trasformando la tela in un campo di battaglia dove si confrontano forze contrapposte.

L’influenza della letteratura sull’opera di Qiu Xiaofei è altrettanto significativa quanto quella della filosofia. La sua arte evoca spesso l’universo onirico di Jorge Luis Borges, questo scrittore argentino per il quale il tempo era un labirinto con molteplici diramazioni. Nel suo racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, Borges immagina un universo in cui tutti i futuri possibili coesistono contemporaneamente [2]. Allo stesso modo, Qiu crea opere in cui diverse temporalità si sovrappongono, dove il passato e il futuro si intrecciano in un presente ampliato. Il suo dipinto “Society Emissary” (2020-2021) illustra perfettamente questa concezione borgiana del tempo: una forma serpentina si avvolge su se stessa sotto due figure umane, evocando le molteplici biforcazioni del tempo e i futuri possibili che coesistono in uno stesso spazio pittorico.

Borges era affascinato dai labirinti, quelle costruzioni architettoniche dove ci si può perdere all’infinito. Qiu, invece, è ossessionato dalle spirali, queste forme in cui si gira allontanandosi o avvicinandosi a un centro. Nei suoi recenti dipinti, questa spirale diventa sia un motivo visivo sia un principio organizzatore. Le opere della sua serie “BARE”, esposte da Xavier Hufkens a Bruxelles nel 2024, sono strutturate come spirali temporali dove ogni giro ci riporta a un punto simile ma leggermente diverso dal precedente. È esattamente ciò che Borges descriveva in “La biblioteca di Babele”: un universo infinito dove tutto si ripete con minime variazioni.

La letteratura borgiana e l’opera di Qiu condividono anche questa fascinazione per la memoria e le sue distorsioni. In “Funes o la memoria”, Borges descrive un uomo dotato di una memoria perfetta, incapace di dimenticare il minimo dettaglio. Paradossalmente, questa memoria assoluta diventa un handicap, impedendo a Funes di pensare astrattamente. Qiu gioca costantemente con questa tensione tra ricordo e oblio. Le sue prime opere, basate su foto di famiglia e oggetti della sua infanzia, sembravano esercizi di rimemorazione. Ma a guardarci meglio, ci si accorge che si tratta piuttosto di una riflessione sulla natura stessa della memoria, sulle sue lacune e le sue ricostruzioni.

Ciò che colpisce nell’evoluzione artistica di Qiu Xiaofei è la sua capacità di rinnovarsi senza mai rinnegare le sue ossessioni fondamentali. Mentre molti artisti contemporanei si accontentano di ripetere la stessa formula vincente fino all’esaurimento, Qiu non ha mai smesso di esplorare nuovi approcci, nuove tecniche, nuovi territori concettuali. Dalle sue prime opere figurative ispirate alle foto di famiglia fino alle astrazioni dinamiche delle sue creazioni recenti, è possibile tracciare una linea coerente ma mai lineare, una spirale, proprio.

Questa evoluzione ricorda quella di Gerhard Richter, quel camaleonte della pittura contemporanea che ha saputo navigare tra figurazione e astrazione con una disarmante libertà. Come Richter, Qiu rifiuta etichette e categorie. Può passare da una tela figurativa carica di riferimenti storici a un’esplosione astratta di colori e forme, senza mai dare l’impressione di tradire se stesso. Questa fluidità stilistica non è un segno di incoerenza, ma piuttosto la manifestazione di una concezione del tempo e dell’arte come flusso perpetuo.

I critici superficiali, e sono numerosi, potrebbero vedere in questa diversità stilistica una mancanza di coerenza. Nulla di più falso. La coerenza di Qiu non risiede in una firma visiva immediatamente riconoscibile, ma in un’interrogazione costante sulla natura del tempo, della memoria e della storia. Ogni nuova serie di opere è un tentativo di rispondere a queste questioni fondamentali attraverso un linguaggio pittorico diverso.

Una delle qualità più notevoli di Qiu è la sua capacità di integrare influenze sia occidentali che orientali in una sintesi personale e originale. Contrariamente a molti artisti cinesi contemporanei che adottano i codici estetici occidentali a discapito del loro patrimonio culturale, o che, al contrario, giocano la carta dell’esotismo cinese per sedurre il mercato occidentale, Qiu riesce a creare un dialogo autentico tra queste due tradizioni. Nelle sue tele recenti si può discernere l’influenza della pittura cinese tradizionale, in particolare nel trattamento dello spazio e nell’uso dei pigmenti minerali, ma anche quella dell’espressionismo astratto americano, con i suoi gesti ampi e la sua libertà cromatica.

Questa fusione di tradizioni non è un semplice esercizio di stile o una strategia di marketing; riflette la realtà di una generazione di artisti cinesi cresciuti a cavallo tra due mondi. Nato nel 1977, Qiu ha vissuto la Cina post-maoista in piena trasformazione. La sua infanzia a Harbin, città segnata dall’architettura e dalla cultura russa, lo ha esposto sin da giovane a molteplici influenze. Poi i suoi studi presso la prestigiosa Accademia Centrale di Belle Arti di Pechino lo hanno familiarizzato con i canoni artistici sia cinesi sia occidentali. Questa identità ibrida si riflette nella sua opera, che rifiuta le dicotomie semplicistiche tra Est e Ovest, tradizione e innovazione, passato e presente.

La relazione di Qiu con il suo patrimonio cinese è particolarmente complessa e sfumata. Contrariamente alla generazione precedente di artisti cinesi, che spesso utilizzava simboli politici e icone maoiste come segni visivi facilmente identificabili dal pubblico occidentale, Qiu si interessa maggiormente alle strutture sottostanti del pensiero cinese, alla sua concezione ciclica del tempo, alla sua visione organica del mondo. Nelle sue opere recenti, i paesaggi tradizionali cinesi sono smembrati, decostruiti, poi riconfigurati in una sintassi contemporanea. Non si tratta di un’appropriazione culturale superficiale, ma di una vera e propria reinvenzione della tradizione.

Prendiamo ad esempio “Debris of Eternity” (2023), presentata nella mostra “BARE” presso Xavier Hufkens. Questa tela, con il suo sfondo scuro e le forme organiche che sembrano emergere dall’oscurità, evoca i paesaggi montuosi della pittura tradizionale cinese. Ma Qiu non si limita a riprodurre questi paesaggi; li trasforma in visioni cosmiche dove le montagne diventano entità viventi, pulsanti, quasi extraterrestri. Non è più un paesaggio da contemplare, ma un organismo da abitare.

Questa capacità di trasformare il familiare in strano, il tradizionale in avanguardista, è una delle firme di Qiu. In “Drunken Moon” (2023), anch’essa presentata da Xavier Hufkens, riprende il motivo classico della luna, tanto caro alla poesia cinese, ma le conferisce una dimensione allucinatoria, come se l’astro notturno fosse osservato attraverso il prisma dell’ubriachezza o del sogno. La luna non è più quel simbolo di permanenza e purezza celebrato dai poeti; diventa un corpo celeste instabile, fluttuante, che riflette le incertezze della nostra epoca.

L’arte di Qiu Xiaofei non è solo una meditazione sul tempo e sulla memoria; è anche una riflessione sulla natura stessa della pittura nell’era digitale. In un’epoca in cui le immagini sono prodotte, consumate e dimenticate a una velocità vertiginosa, in cui la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale mettono in discussione la nostra percezione del mondo, Qiu riafferma la rilevanza di questo millenario mezzo, la pittura. Ma non lo fa per nostalgia o conservatorismo; al contrario, sfrutta le possibilità uniche della pittura per creare immagini che resistono al consumo rapido e richiedono allo spettatore un’attenzione sostenuta, una contemplazione attiva.

In una recente intervista, Qiu dichiarava: “Credo che i dipinti spesso rivelino la fragilità umana. Nel corso della storia, il ruolo della pittura è diminuito progressivamente a causa dei progressi scientifici e tecnologici, del cinema e della fotografia. Cosa rimane rilevante nel campo della pittura? La sua relazione con l’umanità stessa, segnata da una natura mutevole, paure e ansie. La pittura resterà sempre rilevante poiché è legata alle imperfezioni umane.” [3] Questa dichiarazione riassume perfettamente l’approccio di Qiu: lontano dal considerare le limitazioni della pittura come handicap, le trasforma in punti di forza, mezzi per esplorare la vulnerabilità e l’imperfezione umane in un mondo ossessionato dalla performance e dalla perfezione tecnologica.

Ciò che distingue inoltre Qiu da molti artisti contemporanei è il suo rifiuto dello spettacolare e del seducente immediato. Le sue opere non cercano di stupire il pubblico con effetti visivi appariscenti o dimensioni monumentali (anche se alcune sue tele sono effettivamente di grandi dimensioni). Invitano piuttosto a un’esperienza contemplativa, a un’immersione progressiva in un universo visivo complesso e stratificato. Ogni tela è come un microcosmo, un mondo a sé che si svela lentamente allo spettatore attento.

Questa qualità contemplativa è particolarmente evidente nella sua serie “BARE”, il cui titolo fa riferimento a un verso del poeta Ming Wang Zhideng: “Nudo, batto il tamburo con un fervore senza riserve, liberando la mia anima indomabile” [4]. Questa immagine di un uomo nudo che batte freneticamente il tamburo evoca uno stato di trance, di comunione diretta con il mondo, spogliata degli artifici della civiltà. I dipinti di questa serie, con le loro superfici testurizzate, i colori terrosi e le forme organiche, traducono visivamente questo stato di coscienza alterata, questa esperienza diretta e non mediata del mondo.

Ma non fraintendetemi: nonostante la loro apparente spontaneità, le opere di Qiu sono il frutto di un processo creativo rigoroso e riflessivo. Contrariamente all’action painting di un Pollock, dove il gesto prevale sulla riflessione, il lavoro di Qiu implica un continuo andare e venire tra intuizione e analisi, tra abbandono e controllo. Come spiega lui stesso: “In passato traevo ispirazione dalle immagini del mondo reale, ma ora mi concentro maggiormente sulla creazione di cose in un mondo immaginario. Recentemente ho privilegiato l’uso di tele con sfondi scuri per abbozzare forme e ricreare immagini da queste forme. Il processo di estrazione dell’immagine dallo sfondo scuro ha qualcosa di divino, e l’immagine emerge come un fantasma venuto da lontano.” [5]

Questa metafora dell’immagine che emerge dall’oscurità come un fantasma è particolarmente rivelatrice dell’approccio di Qiu. La sua pittura non è tanto una creazione ex nihilo quanto una rivelazione, uno svelamento di forme e immagini latenti. Questo processo richiama la tecnica del frottage amata dai surrealisti, dove texture nascoste sono rivelate dallo sfregamento della matita sulla carta. Ma Qiu porta questa logica ancora più avanti, trasformando la tela in una superficie sensibile dove si impongono non solo forme visive ma anche impronte mnemoniche, tracce della storia collettiva e individuale.

Questa concezione della pittura come rivelazione piuttosto che come pura invenzione ricorda il pensiero di Martin Heidegger sull’arte. Per il filosofo tedesco, l’opera d’arte non è una semplice rappresentazione del mondo, ma un “evento della verità”, un luogo dove si svela l’essere delle cose. Qiu, senza riferirsi esplicitamente a Heidegger, sembra condividere questa visione dell’arte come svelamento. I suoi dipinti non rappresentano tanto il mondo quanto lo fanno apparire sotto una nuova luce, rivelando aspetti della realtà che restano abitualmente nascosti alla nostra percezione quotidiana.

Quindi la prossima volta che vi troverete davanti a un’opera di Qiu Xiaofei, non limitatevi a uno sguardo superficiale e distratto. Prendetevi il tempo di immergervi in queste tele a più strati, di seguire i meandri di queste spirali temporali, di lasciarvi trasportare da quei flussi di colori e forme che raccontano una storia ben più complessa e sfumata di quanto il vostro occhio pigro possa afferrare al primo sguardo. Perché l’arte di Qiu non è fatta per essere consumata rapidamente, ma per essere abitata, vissuta, sperimentata nel tempo. E forse allora, banda di snob, capirete finalmente cosa significa veramente guardare un dipinto.


  1. Kierkegaard, Søren, “La ripetizione”, 1843, in Opere complete, Éditions de l’Orante, Parigi, 1984.
  2. Borges, Jorge Luis, “Il giardino dai sentieri che si biforcano”, in Finzioni, Gallimard, Parigi, 1951.
  3. Intervista con Qiu Xiaofei da parte di Carol Real, “Qiu Xiaofei: Dipingere il ciclo infinito del tempo”, Art Summit, 7 giugno 2024.
  4. Wang Zhideng, “Primo giorno dell’anno Wu Shen”, 1608, tradotto da François Cheng in Poesia cinese, Albin Michel, Parigi, 2000.
  5. Intervista con Qiu Xiaofei da parte di Carol Real, “Qiu Xiaofei: Dipingere il ciclo infinito del tempo”, Art Summit, 7 giugno 2024.
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Riferimento/i

QIU Xiaofei (1977)
Nome: Xiaofei
Cognome: QIU
Altri nome/i:

  • 仇晓飞 (Cinese semplificato)
  • 仇曉飛 (Cinese tradizionale)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Cina

Età: 48 anni (2025)

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