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Martedì 18 Novembre

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Roberto Fabelo, l’arte della metamorfosi a Cuba

Pubblicato il: 12 Maggio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 11 minuti

Roberto Fabelo trasforma pentole bruciate in tele, trattati di anatomia in territori onirici. Questo artista cubano disegna scarafaggi con teste umane, donne-uccello, rinoceronti in miniatura. Tra Goya e Kafka, crea un universo barocco dove la sopravvivenza diventa metamorfosi, dove ogni rifiuto si trasmuta in mito.

Ascoltatemi bene, banda di snob, perché vi parlerò di Roberto Fabelo, e scoprirete che al di là dei vostri vernissage mondani a Saint-Germain des Prés, esiste un artista cubano che disegna su pentole bruciate con la stessa intensità con cui Goya incideva i suoi incubi. Nato nel 1950 a Guáimaro, questo grafomane compulsivo ha trasformato ogni superficie disponibile in territorio di conquista artistica, dalle pagine ingiallite di un trattato di anatomia del XIX secolo alle pareti del Museo Nazionale di Belle Arti dell’Avana.

Guardate i suoi Sobrevivientes che scalano la facciata del museo, questi scarafaggi giganti con teste umane che richiamano immediatamente la metamorfosi kafkiana. Ma dove Kafka resta bloccato nella sua camera praghese, Fabelo fa esplodere il racconto sui muri dell’Avana. Queste creature ibride non sono semplici illustrazioni letterarie; incarnano la resilienza del popolo cubano, quegli ultimi sopravvissuti che, come gli scarafaggi, resisterebbero anche all’apocalisse nucleare [1].

L’ossessione di Fabelo per Kafka va oltre la semplice citazione. Nella sua mostra madrilena del 2023 presenta Metamorfosi dove il protagonista del racconto si sdoppia, diventa bicefalo. Questa moltiplicazione delle prospettive non è solo un esercizio formale. Riflette la condizione cubana contemporanea, quella schizofrenia insulare in cui ogni cittadino deve navigare tra più realtà contraddittorie. Lo scarafaggio di Kafka diventa in Fabelo una metafora politica, una creatura che sopravvive negli interstizi del sistema.

L’artista porta questa esplorazione kafkiana nelle sue installazioni monumentali. Quando sospende dal soffitto queste sfere giganti ricoperte di scarafaggi dorati (Mundo K), non si limita a citare lo scrittore praghese. Crea un universo parallelo in cui la metamorfosi diventa una condizione permanente, in cui l’umano e l’insetto si fondono in una danza macabra che ricorda tanto i Caprichos di Goya quanto i deliri burocratici de Il processo.

Questa fusione tra letteratura e arti visive raggiunge il suo apice quando Fabelo affronta García Márquez. Incaricato di illustrare un’edizione speciale di Cento anni di solitudine nel 2007, l’artista non si limita a disegnare immagini decorative. Si immerge nel realismo magico come un apneista, emergendo con creature impossibili che sembrano aver sempre abitato Macondo. Le sue donne con teste di uccello, i suoi rinoceronti in miniatura che attraversano la schiena di una sirena addormentata, tutto ciò fa parte della stessa logica narrativa in cui il fantastico diventa quotidiano.

Ma attenzione, non credete che Fabelo sia un semplice illustratore geniale. Il suo lavoro sulle pagine del Trattato di anatomia umana di Leo Testut rivela un approccio più radicale. Disegnando direttamente su queste tavole anatomiche del XIX secolo, commette ciò che lui stesso chiama un “sacrilegio” [2]. Tuttavia, questo vandalismo apparente nasconde un’operazione più sottile: la trasformazione del corpo medico in corpo poetico, della diagnosi in delirio, della scienza in finzione.

Prendete Confusion Is Easily Committed, in cui mani scheletriche si trasformano in figure di femme fatale e di re demoniaco. Oppure Internal, che trasforma il sistema nervoso periferico in un saggio barbuto inginocchiato. Questi disegni non sono semplici graffiti colti. Operano una trasmutazione alchemica della conoscenza anatomica in una visione allucinata, ricordando i collage di Max Ernst ma con una precisione chirurgica che appartiene solo a Fabelo.

Il Malecón dell’Avana diventa nella sua opera un altro testo da decifrare, una pagina urbana dove si scrivono i desideri e le frustrazioni di un intero popolo. In Malecón Barroco e Contemplation de la perle, questi affreschi monumentali in cui donne nude cavalcano il paramento mitico, Fabelo non dipinge semplicemente un luogo. Cartografa un’immaginazione collettiva, quel teatro a cielo aperto dove da decenni si gioca il dramma cubano.

L’artista trasforma questa frontiera marina in una scena barocca dove si affollano corpi voluttuosi, maschere carnevalesche, code demoniache. Ma guardate più da vicino: tra le curve sensuali e le ali degli angeli, appaiono uncini, forche, chiodi che trapassano violentemente il muro. Questa dualità tra celebrazione carnale e minaccia mortifera attraversa tutta l’opera di Fabelo, come se Rubens e Bosch avessero deciso di dipingere insieme dopo una notte di rum sul Malecón.

La sua serie Black Plates del 2002 porta questa logica all’assurdo. Piatti di porcellana presentano “pasti” impossibili: un elefante di fronte a un cacciatore, un braccio di bambola troncato da cui emerge una testina minuscola, un mucchio di escrementi accompagnato da un cucchiaio. Queste nature morte perverse funzionano come haiku visivi, frammenti di racconto che rifiutano di costituirsi in una storia lineare.

L’installazione The Weight of Shit (2007) merita di essere approfondita. Una bilancia commerciale vintage sostiene una montagna di finti escrementi e un cucchiaio. Il titolo gioca con le parole come Duchamp con i suoi ready-made, ma il riferimento più evidente rimane la Merda d’artista di Piero Manzoni. Solo che mentre Manzoni conservava la sua merda in scatole ermetiche, Fabelo la espone, la pesa, la quantifica. È tutta la differenza tra l’arte concettuale europea e la necessità cubana: qui, anche la merda deve essere misurata, valutata, forse persino razionata.

Le pentole riciclate occupano un posto centrale in questa economia della sopravvivenza. Fabelo le impila in totem (Towers, 2007), le assembla a forma di Cuba (Island, 2006), le trasforma in una cattedrale (Cafedral, 2003). Questi oggetti usurati diventano i mattoni di un’architettura della resistenza, le pagine nere su cui incide volti anonimi, come se ogni pentola portasse la memoria di tutti i pasti che ha servito e di tutti quelli che non ha potuto servire.

Quando disegna su questi fondi di pentole anneriti da anni di uso, Fabelo non si limita a riciclare. Pratica un’archeologia del quotidiano, riesumando le tracce di vite ordinarie per trasformarle in icone. I volti che emergono dalla fuliggine non sono ritratti individuali ma apparizioni collettive, i fantasmi di una storia domestica che rifiuta di scomparire.

L’artista stesso riconosce questa dimensione: “Tutti i cubani sono riciclatori innati” [3]. Ma questo riciclo supera la semplice necessità materiale. È una filosofia, una poetica della trasformazione in cui ogni oggetto abbandonato diventa potenzialmente sacro. Quando Silvio Rodríguez gli dedica una canzone che parla del “paese dove anche i rifiuti sono amati”, tocca il cuore dell’approccio di Fabelo.

Questa trasmutazione dei rifiuti in arte trova la sua espressione più monumentale in Delicatessen (2015), quella pentola gigante ricoperta da centinaia di forchette esposta sul Malecón durante la Biennale de L’Avana. L’opera funziona come un grido silenzioso, una fame collettiva materializzata in scultura pubblica. Le forchette piantate come frecce trasformano l’utensile domestico in un monumento guerriero, il bisogno quotidiano in una rivendicazione politica.

Le influenze di Fabelo sono molteplici e dichiarate. Cita volentieri Dürer, Rembrandt, i maestri olandesi. Ma è con Goya che intrattiene la relazione più complessa. La mostra MUNDOS: GOYA Y FABELO a Madrid nel 2023 non si limita a giustapporre le opere. Rivela una filiazione profonda tra i due artisti, la stessa capacità di trasformare il grottesco in sublime, la critica sociale in visione allucinata.

Come Goya, Fabelo è un cronista del suo tempo che rifiuta il realismo piatto. Le sue creature ibride, le sue donne-uccello, i suoi uomini-insetto partecipano della stessa tradizione del capriccio come forma di verità. Ma mentre Goya rimane radicato nella Spagna dell’Illuminismo, Fabelo naviga nelle acque torbide del XXI secolo cubano, tra penuria endemica e globalizzazione impossibile.

L’uso della seta ricamata cinese nei suoi recenti dipinti aggiunge un ulteriore strato a questa testimonianza visiva. I motivi floreali preesistenti diventano un velo che distanzia lo spettatore dal soggetto, rendendo le figure ancora più desiderabili. Questa tecnica ricorda le sperimentazioni di Sigmar Polke su lenzuola, ma con una sensualità tutta caraibica.

In Three-Meat Skewer (2014), tre donne nude con tacchi alti, trasformate in una lumaca, un maiale e un uccello, sono infilzate su uno spiedo, pronte per essere consumate. L’immagine è di una violenza frontale, ma la seta ricamata le conferisce un’eleganza perversa, come se Sade avesse commissionato illustrazioni a Fragonard.

Questa tensione tra brutalità e raffinatezza attraversa tutta l’opera di Fabelo. Le sue installazioni più aggressive (Round, 2015, dove uomini nudi portano forchette come fucili camminando sul bordo di una pentola gigante) si affiancano a disegni di estrema delicatezza su pagine di libri medici.

L’artista rifiuta le categorizzazioni facili. Quando gli viene chiesto se si sente libero di esprimersi a Cuba, risponde: “Sono il mio stesso amministratore” [4]. Questa dichiarazione non è un’evitamento diplomatico ma una rivendicazione di autonomia artistica. Fabelo non fa arte politica nel senso partigiano del termine. Fa arte che politicizza, che trasforma ogni gesto creativo in atto di resistenza.

Le sfere sospese dell’installazione Mundos (2005) riassumono questo approccio. Cinque globi ricoperti rispettivamente di bossoli (Petromundo), ossa (Mundo cero), carbone vegetale, posate e scarafaggi fluttuano nello spazio espositivo. Ogni sfera rappresenta una catastrofe potenziale: la guerra del petrolio, l’estinzione, la distruzione ambientale, la carestia, la sopravvivenza post-apocalittica. Ma la loro presentazione sospesa, quasi graziosa, trasforma questi presagi funesti in mobili cosmici.

Questa capacità di trasmutare l’orrore in bellezza, il rifiuto in tesoro, il quotidiano in mito fa di Fabelo molto più di un “Daumier contemporaneo”. È un alchimista visivo che opera al confine tra diversi mondi: tra Cuba e l’internazionale, tra letteratura e arti plastiche, tra critica sociale e lirismo personale.

La sua opera recente presentata all’Instituto Cervantes col titolo Grafomanía rivela l’entità di questa ossessione grafica. Più di 150 disegni su tutte le superfici immaginabili, dalla carta kraft alle pentole di metallo, testimoniano quello che l’artista chiama il suo “vizio” del disegno. Ma questo vizio non è una debolezza. È il motore di una creazione che rifiuta le gerarchie tra supporti nobili e superfici di fortuna.

Gli rinoceronti che appaiono regolarmente nel suo lavoro funzionano come totem personali. In Romantic Rhinos (2016), una sirena dorme pacificamente mentre un branco di rinoceronti in miniatura attraversa la sua schiena. L’immagine è di una poesia enigmatica, come se Fabelo avesse trovato il modo di riconciliare la forza bruta e la grazia, la realtà e il sogno.

Questa riconciliazione degli opposti definisce forse al meglio l’arte di Fabelo. In un contesto cubano segnato da contraddizioni e impossibilità, ha sviluppato un linguaggio visivo capace di abbracciare simultaneamente gioia e dolore, abbondanza e penuria, libertà e costrizione. Le sue donne voluttuose con ali d’angelo e code di demoni incarnano questa dualità fondamentale.

L’artista sta attualmente lavorando a una serie di bronzi, materiale che descrive come “definitivo” ma non definitivamente scelto. Questa fluidità nella scelta dei medium riflette un approccio all’arte come processo continuo di trasformazione. In Fabelo, niente è mai fissato, tutto resta in metamorfosi permanente.

Il suo atelier all’Avana è diventato un luogo di pellegrinaggio per i collezionisti internazionali, anche se, come nota con ironia, pochi cubani possono permettersi di acquistare arte. Questa situazione paradossale di un artista celebrato a livello mondiale ma economicamente tagliato fuori dal suo pubblico locale è emblematica delle contraddizioni cubane contemporanee.

Fabelo non si lamenta di questa situazione. Continua a creare con un’energia che sembra inesauribile, trasformando ogni limite in un’opportunità creativa. Quando manca di tele, dipinge sulla seta. Quando manca di bronzo, impila pentole. Questa adattabilità non è solo tecnica, è filosofica.

La mostra “Fabelo’s Anatomy” al Museum of Latin American Art di Long Beach nel 2014 ha segnato la sua prima mostra personale in un museo americano. Il titolo, gioco di parole su “Gray’s Anatomy”, sottolinea questa ossessione per il corpo come territorio di esplorazione. Ma a differenza dei tavoli anatomici che tagliano e classificano, i disegni di Fabelo ricompongono e ibridano.

In Dream Dough (2017), una donna con una conchiglia in testa riposa in un piatto di pasta, aspettando di essere divorata con i noodles intrecciati. L’immagine evoca contemporaneamente “Il cuoco, il ladro, sua moglie e il suo amante” di Peter Greenaway e “Delicatessen” di Jeunet e Caro. Ma mentre questi film usano il cannibalismo come metafora della decadenza borghese, Fabelo ne fa una celebrazione ambigua del desiderio.

Questa ambiguità morale attraversa tutta la sua opera. I suoi personaggi non sono mai completamente vittime o carnefici, angeli o demoni. Abitano uno spazio intermedio dove le categorie morali tradizionali crollano. Forse è per questo che l’artista rifiuta l’etichetta di oppositore politico. La sua arte non denuncia, rivela. Non giudica, mostra.

Le recenti sculture di rinoceronti a grandezza naturale esposte al Kennedy Center (Sobrevivientes, 2023) segnano una svolta verso una monumentalità più affermata. Queste bestie colorate che invadono lo spazio pubblico funzionano come ambasciatori di un mondo parallelo, quello di Fabelo, dove la sopravvivenza avviene tramite la metamorfosi permanente.

L’artista compie 75 anni quest’anno, ma la sua opera non mostra alcun segno di esaurimento. Al contrario, ogni nuova mostra rivela nuove facce del suo universo proteiforme. Dalle blatte di Kafka ai rinoceronti di Washington, dalle pentole riciclate dell’Avana alle sete ricamate di Pechino, Fabelo continua a tessere la sua tela, creando una rete di corrispondenze visive che sfida le frontiere geografiche e culturali.

Ciò che colpisce infine in Fabelo è questa capacità di trasformare la precarietà in ricchezza, il vincolo in libertà. In un mondo dell’arte spesso ossessionato dalla novità e dalla rottura, pratica un’arte della continuità e della metamorfosi. I suoi riferimenti ai maestri antichi non sono nostalgici ma vitali, come se Goya, Bosch e Dürer fossero suoi contemporanei, suoi complici in questa impresa di decifrazione del mondo.

Fabelo ci ricorda che l’arte vera non cerca di piacere o di scioccare, ma di rivelare. Le sue creature ibride, i suoi oggetti trasfigurati, le sue mitologie personali non sono vie di fuga dal reale ma mezzi per penetrarlo più profondamente. In un contesto cubano dove la realtà stessa sembra spesso irreale, il suo realismo magico appare paradossalmente come la forma più onesta di testimonianza.

L’opera di Roberto Fabelo rimane difficile da categorizzare, ed è qui la sua forza. Né puramente cubana né veramente internazionale, né completamente figurativa né totalmente fantastica, né strettamente politica né semplicemente estetica, occupa un territorio intermedio, un fertile tra-due dove le contraddizioni diventano generatrici. Forse questo è essere un artista autentico nel XXI secolo: rifiutare le categorie, moltiplicare le metamorfosi, trasformare ogni limite in una nuova possibilità.


  1. Peter Clothier, “Fabelo: Recensione d’arte”, Huffpost, 2014.
  2. “In Conversazione: Roberto Fabelo su Fabelo’s Anatomy”, Cuban Art News Archive, 2014.
  3. “Roberto Fabelo: ‘Amo anche la spazzatura di quest’isola'”, OnCuba Travel, senza data.
  4. Richard Chang, “Stella dell’arte cubana fa tappa a Long Beach”, Orange County Register, 2014.
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Riferimento/i

Roberto FABELO (1950)
Nome: Roberto
Cognome: FABELO
Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Cuba

Età: 75 anni (2025)

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