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Roby Dwi Antono : Angosce e speranze dell’epoca

Pubblicato il: 11 Settembre 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 10 minuti

Roby Dwi Antono crea universi pittorici nei quali si mescolano bambini dagli sguardi inquietanti, creature ibride e riferimenti alla cultura pop. Questo artista autodidatta indonesiano attinge ai suoi sogni notturni per comporre tele di una precisione tecnica notevole, interrogando il nostro rapporto con l’infanzia e con l’identità contemporanea.

Ascoltatemi bene, banda di snob, esiste oggi un artista la cui opera indaga con una precisione inquietante gli strati più profondi del nostro inconscio collettivo. Roby Dwi Antono, nato nel 1990 a Semarang in Indonesia, costruisce da oltre un decennio un universo pittorico che si trova esattamente alla confluenza tra la nostalgia dell’infanzia e l’angoscia esistenziale dell’adulto contemporaneo. Autodidatta formato nelle strade culturali di Yogyakarta, quest’uomo propone una lettura singolare del surrealismo contemporaneo che merita una lunga attenzione.

L’universo visivo: tra innocenza e inquietante stranezza

L’opera di Antono colpisce subito per la sua capacità di fondere elementi apparentemente contraddittori. Le sue tele presentano bambini con occhi sporgenti, creature ibride metà umane metà animali, dinosauri, astronavi e icone della cultura pop in composizioni di una precisione tecnica straordinaria. Questi elementi non sono collocati casualmente sulla tela; obbediscono a una logica interna rigorosa che rivela la sofisticazione intellettuale del loro creatore.

La tavolozza cromatica di Antono, oscillando tra toni pastello calmanti e colori più saturi, crea una tensione permanente tra dolcezza infantile e profondo disagio. I suoi personaggi, spesso rappresentati con sguardi penetranti e malinconici, sembrano portare il peso di una saggezza prematura. Questa dicotomia visiva costituisce il cuore stesso del suo approccio artistico.

L’evoluzione stilistica recente dell’artista, particolarmente visibile nella sua serie “TUK” (2023) creata dopo la nascita di sua figlia Laut, testimonia una crescente maturità artistica. Abbandonando progressivamente l’iperrealismo dei suoi inizi, Antono opta per una gestualità più libera ed espressiva, usando talvolta le dita e i palmi per dipingere, ritrovando così una spontaneità vicina all’arte infantile.

L’inconscio al centro dell’opera

Per comprendere appieno il significato dell’opera di Antono, è opportuno collocarla nel contesto teorico della psicoanalisi freudiana. Sigmund Freud, nella sua opera fondamentale “L’Interpretazione dei sogni” [1], affermava che “i sogni sono la via regia per la conoscenza dell’inconscio”. Questa affermazione trova una risonanza particolare nell’universo pittorico dell’artista indonesiano.

L’opera di Antono funziona secondo i meccanismi che Freud identificava nel lavoro del sogno: condensazione, spostamento e simbolizzazione. Le sue tele condensano infatti diverse temporalità e diversi universi di riferimento in un’unica immagine. Lo spostamento si opera attraverso la trasformazione di figure familiari in creature strane e inquietanti. Quanto alla simbolizzazione, essa attraversa tutta la sua opera attraverso l’uso ricorrente di elementi come conigli, dinosauri o astronavi, che diventano simboli personali carichi di significato.

L’artista stesso riconosce di trarre ispirazione dai suoi sogni notturni: “A volte ottengo l’ispirazione dai miei sogni durante il sonno. Anche se non me li ricordo bene e non li rappresento fedelmente, faccio immediatamente uno schizzo grezzo dei personaggi e degli ambienti che appaiono nel sogno per non dimenticarli”. Questo approccio creativo corrisponde esattamente al processo di associazione libera raccomandato da Freud per accedere ai contenuti inconsci.

Le creature ibride che popolano l’universo di Antono ricordano le formazioni di compromesso descritte dalla psicoanalisi. Questi esseri né totalmente umani né completamente animali incarnano i conflitti interni tra i nostri impulsi primitivi e le nostre aspirazioni civilizzate. L’artista spiega inoltre: “La natura animale è inerente agli umani. Vedo anche gli animali come creature che hanno delle caratteristiche e che possono comportarsi come gli umani. Entrambi hanno anime e sentimenti”.

Questo approccio psicoanalitico all’arte trova giustificazione teorica nei lavori freudiani sulla sublimazione. Per Freud, l’arte costituisce un mezzo privilegiato di trasformazione degli impulsi repressi in creazione socialmente accettabile. L’universo di Antono, popolato da figure ambivalenti oscillanti tra tenerezza e violenza, innocenza e maturità, costituisce un perfetto esempio di questo processo sublimatorio.

Il rapporto particolare che l’artista intrattiene con l’infanzia si chiarisce anche sotto questa prospettiva freudiana. I suoi personaggi infantili con sguardi inquietanti evocano la teoria freudiana della sessualità infantile e dell’amnesia che colpisce i nostri primi anni. Queste figure sembrano portare in sé la traccia di queste esperienze arcaiche che abbiamo dimenticato ma che continuano a strutturare la nostra psiche.

L’evoluzione recente del lavoro di Antono, segnata dalla sua paternità, illustra perfettamente la dinamica psicoanalitica del danach. L’arrivo di sua figlia gli permette di rivisitare la propria infanzia con uno sguardo nuovo, come testimonia il suo lavoro sulle fonti d’acqua tradizionali giavanesi (“Belik” e “Tuk”) che diventano metafore della maternità e della creazione artistica.

La costruzione dello spazio mentale

L’opera di Roby Dwi Antono intrattiene rapporti sottili ma profondi con l’architettura modernista, in particolare con le realizzazioni di Le Corbusier. Questa connessione, che potrebbe sembrare incongrua a prima vista, rivela in realtà corrispondenze essenziali nella concezione dello spazio e nel rapporto tra individuo e collettivo.

Il progetto più emblematico di Le Corbusier, l’Unité d’Habitation di Marsiglia (1945-1952) [2], condivide con l’universo pittorico di Antono la stessa ambizione: ripensare radicalmente l’organizzazione dello spazio per rispondere alle esigenze dell’uomo moderno. L’architetto franco-svizzero concepiva il suo edificio come una “macchina per abitare” in cui ogni elemento era pensato secondo il suo sistema del Modulor, basato sulle proporzioni umane e sul numero aureo.

Questo approccio sistemico trova il suo equivalente nel metodo compositivo di Antono. Le sue tele obbediscono a una geometria sottostante rigorosa in cui ogni elemento è accuratamente calibrato secondo il suo peso simbolico ed emozionale. Come Le Corbusier organizzava lo spazio architettonico in “strade interne” che collegavano gli appartamenti individuali agli spazi collettivi, Antono struttura le sue composizioni secondo percorsi visivi che guidano lo sguardo dello spettatore attraverso i diversi livelli di lettura dell’opera.

La nozione corbusiana di “cité verticale” trova una risonanza particolare nell’universo stratificato di Antono. Le sue tele presentano spesso una sovrapposizione di piani in cui coesistono diverse temporalità e diversi universi di riferimento. Questa verticalità compositiva evoca l’organizzazione a piani dell’Unité d’Habitation, dove si affiancano spazi privati, negozi, scuola materna e impianti sportivi.

L’uso del cemento grezzo da parte di Le Corbusier, che darà origine al movimento brutalista, trova il suo parallelo nella gestualità più libera adottata da Antono nelle sue opere recenti. L’architetto cercava nel cemento grezzo un’autenticità materiale che rompeva con gli ornamenti superficiali dell’architettura tradizionale. Allo stesso modo, l’artista indonesiano abbandona progressivamente l’iperrealismo levigato dei suoi inizi per un’espressione più diretta e spontanea.

Il concetto di “ville radieuse” sviluppato da Le Corbusier si basava sull’idea di una riconciliazione tra natura e tecnica, tra individuo e collettività. Questa utopia architettonica risuona con l’approccio di Antono che cerca di conciliare elementi apparentemente contraddittori: infanzia e maturità, innocenza ed esperienza, umanità e animalità.

Il relativo insuccesso dei grandi complessi ispirati a Le Corbusier non deve oscurare la pertinenza delle sue intuizioni sull’organizzazione dello spazio moderno. Allo stesso modo, gli universi talvolta inquietanti di Antono non si limitano a un semplice intrattenimento estetico, ma propongono una riflessione profonda sulle modalità dell’abitare contemporaneo.

La questione della scala, centrale in Le Corbusier con il suo Modulor, trova in Antono una traduzione pittorica singolare. I suoi personaggi, spesso sproporzionati rispetto al loro ambiente, interrogano il nostro rapporto con lo spazio e la misura. Questa distorsione volontaria delle scale richiama gli effetti di ottica ricercati dall’architetto nelle sue realizzazioni.

L’Unité d’Habitation voleva essere un condensato di città, una totalità architettonica autosufficiente. Le tele di Antono funzionano secondo un principio simile: ogni opera costituisce un microcosmo completo in cui tutti gli elementi necessari alla comprensione del discorso artistico sono presenti e articolati secondo una logica interna coerente.

Un autodidatta visionario

La formazione autodidatta di Antono illumina la singolarità del suo percorso. A differenza della maggior parte dei suoi colleghi di Yogyakarta formati all’Istituto d’Arte indonesiano, Antono ha costruito la sua cultura visiva in modo autonomo, traendo riferimenti dalla cultura popolare, dal cinema di fantascienza e dai manga. Questa formazione atipica gli ha permesso di sfuggire alle convenzioni accademiche e di sviluppare un linguaggio plastico realmente personale.

Il suo percorso professionale iniziale nel graphic design e nell’impaginazione ha profondamente influenzato il suo approccio compositivo. Questa esperienza gli ha insegnato l’importanza dell’organizzazione visiva e della gerarchizzazione delle informazioni, competenze che traspaiono nella sofisticazione strutturale delle sue tele.

L’evoluzione della sua pratica rivela una crescente maturità artistica. Le sue prime opere, caratterizzate da un’estetica pop surreale vicina a Mark Ryden o Yoshitomo Nara, lasciano progressivamente spazio a un linguaggio più personale. La serie “TUK” segna una svolta decisiva in questa evoluzione, con l’artista che assume pienamente una gestualità più libera e più espressiva.

L’opera di Antono si colloca nel più ampio movimento del Pop Surrealismo contemporaneo, ma se ne distingue per la capacità di integrare elementi culturali specificamente indonesiani. I suoi riferimenti alle tradizioni giavanesi, come i pozzi artigianali “Belik”, testimoniano un radicamento locale che arricchisce considerevolmente la portata universale del suo discorso.

La ricezione internazionale del suo lavoro, segnata da esposizioni in gallerie prestigiose come Almine Rech a Londra o Anat Ebgi a Los Angeles, conferma la pertinenza del suo approccio artistico. Questo riconoscimento non è solo un effetto di moda ma testimonia la capacità dell’artista di toccare problematiche universali pur mantenendo una forte identità culturale.

Il mercato dell’arte contemporanea, a volte volatile, ha mostrato un interesse costante per il lavoro di Antono, con prezzi che raggiungono diverse centinaia di migliaia di euro. Questa valorizzazione economica, sebbene non costituisca di per sé un criterio estetico, testimonia comunque il riconoscimento progressivo della qualità e dell’originalità della sua opera.

I limiti e le questioni

L’arrivo di sua figlia Laut nel luglio 2023 rappresenta una svolta importante nell’evoluzione artistica di Antono. Questa esperienza della paternità gli ha permesso di riconsiderare il suo rapporto con l’infanzia da una nuova prospettiva, meno nostalgica e più costruttiva. La serie “TUK” testimonia questa trasformazione profonda, con l’artista che abbandona parzialmente l’universo inquietante dei suoi inizi per esplorare territori più sereni.

Questa evoluzione stilistica è accompagnata da un significativo rinnovamento tematico. Le metafore legate all’acqua e alla sorgente, centrali nella serie “TUK”, rivelano una concezione dell’arte come risorsa vitale, come “fonte di nutrimento e ispirazione” secondo le sue stesse parole.

Nonostante le sue indiscutibili qualità, l’opera di Antono non sfugge ad alcune questioni critiche. L’immediata seduzione delle sue immagini talvolta rischia di mascherare la complessità del suo messaggio, riducendo la ricezione del suo lavoro a una semplice fascinazione estetica. Questa ambiguità tra accessibilità e profondità rappresenta una sfida permanente per l’artista.

Inoltre, l’evoluzione recente del suo stile, segnata da un progressivo abbandono della precisione tecnica che ne faceva la sua peculiarità, pone la questione della coerenza del suo percorso artistico. Questa transizione stilistica, sebbene testimoni una ricerca creativa autentica, potrebbe anche essere percepita come una concessione alle aspettative del mercato dell’arte contemporanea.

Prospettive future

A trentacinque anni, Roby Dwi Antono si trova in un momento cruciale della sua carriera artistica. Il riconoscimento internazionale acquisito negli ultimi anni gli apre nuove possibilità creative imponendogli allo stesso tempo nuove sfide. La sua capacità di rinnovare il suo linguaggio plastico senza perdere la sua identità artistica sarà la sfida principale dei prossimi anni.

L’allargamento progressivo della sua tavolozza espressiva, visibile nelle opere recenti, suggerisce sviluppi promettenti. La sua esplorazione delle relazioni tra creazione artistica e paternità apre prospettive tematiche ricche che potrebbero alimentare duraturamente il suo lavoro futuro.

L’opera di Roby Dwi Antono rivela un artista all’incrocio dei mondi, capace di attingere all’inconscio collettivo contemporaneo per produrre immagini di sorprendente precisione psicologica. La sua arte, posta all’intersezione della psicoanalisi freudiana e dell’utopia architettonica modernista, propone una lettura singolare delle angosce e delle speranze della nostra epoca. Né semplice nostalgico dell’infanzia perduta né profeta di futuri disincantati, Antono costruisce pazientemente un universo pittorico che supera le dicotomie tradizionali per raggiungere una vera sintesi creativa.

In un mondo contemporaneo segnato dalla frammentazione delle esperienze e dalla moltiplicazione dei riferimenti culturali, l’opera di Antono offre paradossalmente uno spazio di riconciliazione. Le sue immagini inquietanti ma rasserenanti, inquietanti ma rassicuranti, testimoniano una ricerca autentica di senso che colloca questo artista indonesiano tra le voci più pertinenti della sua generazione. La sua arte ci ricorda che la creazione artistica, ben lontana dall’essere un semplice intrattenimento estetico, rimane uno dei mezzi privilegiati di esplorazione e comprensione della condizione umana contemporanea.


  1. Freud, Sigmund. L’Interpretazione dei sogni. Parigi : Presses Universitaires de France, 1967.
  2. Le Corbusier. Unità d’Abitazione di Marsiglia. Marsiglia : Fondation Le Corbusier, 1952.
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Riferimento/i

Roby Dwi ANTONO (1990)
Nome: Roby Dwi
Cognome: ANTONO
Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Indonesia

Età: 35 anni (2025)

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