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Sun Hao: L’imminenza del gesto

Pubblicato il: 29 Maggio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 10 minuti

Sun Hao trasforma l’arte tradizionale cinese dell’inchiostro in un linguaggio contemporaneo sorprendente. I suoi cavalli scolpiti dal pennello trascendono l’animalità per diventare specchi della nostra epoca, rivelando le tensioni tra tradizione e modernità che attraversano la Cina di oggi.

Ascoltatemi bene, banda di snob: mentre discettate sulle ultime mode concettuali del mercato dell’arte, un pittore cinese di quarantacinque anni sta rivoluzionando silenziosamente l’arte dell’inchiostro. Sun Hao non è tra quegli artisti che cercano di stupire con la trasgressione facile o lo scandalo borghese. No, quest’uomo nato a Linyi nella provincia dello Shandong nel 1980 affronta qualcosa di più ambizioso e pericoloso: cerca di resuscitare l’anima della pittura tradizionale cinese portandola nella nostra epoca travagliata.

C’è qualcosa di indiscutibilmente provocatorio nel suo approccio. Dove altri si accontentano di riprodurre i codici millenari del lavaggio cinese o di prendere servilmente dai maestri occidentali, Sun Hao forgia una sintesi inedita. I suoi cavalli non sono cavalli, i suoi buddha non sono buddha. Sono specchi tesi alla nostra condizione contemporanea, superfici riflettenti in cui si rivelano le nostre angosce e le nostre aspirazioni più segrete.

Formato all’Accademia di belle arti Lu Xun e poi all’Accademia centrale delle belle arti di Pechino, nel laboratorio di Hu Wei, Sun Hao appartiene a quella generazione di artisti cinesi cresciuti all’ombra della modernizzazione forzata del loro paese. Questa esperienza dell’intermedio, tra tradizione e modernità, tra Oriente e Occidente, permea tutta la sua opera. Quando dipinge un cavallo, non è per celebrare la bellezza animale alla maniera dei maestri antichi, ma per interrogare il nostro rapporto contemporaneo con la forza, la libertà, l’istinto.

Prendiamo la sua opera emblematica “Mi chiamo Rosso”. Il titolo stesso costituisce una sfida alle convenzioni. Rosso, colore del sangue, della passione, della rivoluzione, ma anche della tradizione cinese. Questo cavallo imbizzarrito, colto in un movimento di pura tensione muscolare, trascende l’animalità per diventare allegoria della nostra epoca. Sun Hao padroneggia la tecnica del lavaggio con una virtuosità consumata, ma la devia dalla sua finalità tradizionale. Le sue pennellate, precise ed energiche, scolpiscono letteralmente la materia pittorica. L’inchiostro diventa bronzo, la carta diventa carne.

Questo approccio “scultoreo” all’inchiostro, come ha giustamente osservato il suo ex maestro Hu Wei, costituisce l’innovazione principale di Sun Hao. Dove la tradizione privilegia la fluidità e la suggestione, lui privilegia la densità e l’affermazione. I suoi animali possiedono una presenza fisica impressionante, una materialità che contrasta con l’evanescenza abituale del medium. Questa tensione tra tradizione e innovazione non è casuale: riflette le contraddizioni della Cina contemporanea, dilaniata tra l’eredità millenaria e la mutazione accelerata.

In dipinti come “L’amore eterno” o “L’amore è un ponte”, Sun Hao esplora le dinamiche relazionali attraverso la metafora equina. Queste coppie di cavalli, spesso rappresentate in atteggiamenti di intimità o complicità, rivelano la dimensione profondamente umanista della sua arte. Perché dietro l’animale si profila sempre l’umano, dietro il simbolo si nasconde l’emozione cruda.

Questa sottile antropomorfizzazione ci conduce al cuore della filosofia artistica di Sun Hao. Lontana dal cadere in un antropocentrismo ingenuo, esplora ciò che il filosofo italiano Giorgio Agamben chiama le “potenzialità” dell’essere. Per Agamben, la potenzialità non si limita a ciò che può essere attualizzato, ma comprende anche ciò che potrebbe non essere, questa zona di indeterminatezza dove risiede la nostra libertà fondamentale [1].

I cavalli di Sun Hao incarnano precisamente questa potenzialità agambeniana. Sono sempre sul punto di galoppare, di imbizzarrirsi, di balzare, ma rimangono sospesi in un eterno presente pittorico. Questa sospensione temporale non è immobilità: è concentrazione di energia, accumulo di potenza. La pittrice coglie l’istante critico in cui il movimento esita tra diversi possibili, dove l’azione rimane in potenza. I suoi animali vibrano di questa tensione interna, di questa ricchezza del non compiuto.

Questa estetica della potenzialità trova il suo compimento teorico nelle analisi di Agamben sull’arte contemporanea. Secondo il filosofo italiano, l’arte autentica non si limita a rappresentare il reale: rivela le possibilità non sfruttate del presente, dà forma a ciò che potrebbe essere senza necessariamente accadere. Le opere di Sun Hao partecipano a questa rivelazione. Non descrivono la nostra epoca, ne esplorano le virtualità nascoste.

Prendiamo l’esempio della sua serie sulle figure buddiste. Questi frammenti di statue, questi volti erosi dal tempo che rappresenta con una precisione archeologica, costituiscono altrettante meditazioni sulla permanenza e l’impermanenza. Sun Hao non cerca di restaurare idealmente queste vestigia: ne assume il degrado, l’incompletezza. Questa estetica del frammento si unisce alle preoccupazioni di Agamben sulla sopravvivenza delle forme artistiche. L’arte non trasmette solo un’eredità intatta: la trasforma attualizzandola, rivelando potenzialità inedite nelle forme ereditate.

Questa dialettica tra eredità e innovazione ci conduce naturalmente verso una seconda chiave di lettura, quella proposta da Theodor Adorno nella sua “Teoria estetica”. Per il filosofo di Francoforte, l’arte autentica si caratterizza per la sua capacità di mantenere una tensione produttiva tra forma e contenuto, tra autonomia estetica e impegno sociale [2]. L’opera d’arte non deve né crogiolarsi in un formalismo gratuito né sprofondare in un’instrumentalizzazione politica diretta.

Sun Hao illustra perfettamente questa posizione adorniana. Le sue opere traggono la loro forza critica non da un messaggio esplicito, ma dalla loro capacità di rivelare le contraddizioni della nostra epoca attraverso la loro stessa organizzazione formale. La tecnica “scultorea” che sviluppa non costituisce una semplice innovazione stilistica: traduce plasticamente l’esperienza contemporanea della densificazione, dell’accelerazione, della compressione temporale che caratterizza la nostra modernità tardiva.

Adorno sottolinea che l’arte vera possiede un “contenuto di verità” che non si riduce né al suo messaggio apparente né alle sue qualità puramente formali. Questo contenuto di verità emerge dalla tensione dialettica tra l’opera e il suo contesto sociale. I cavalli di Sun Hao acquisiscono la loro potenza rivelatrice proprio perché condensano, nella loro stessa forma, le contraddizioni della società cinese contemporanea. Sono allo stesso tempo radicati in una tradizione millenaria e risolutamente contemporanei, contemporaneamente simboli di potenza e figure di vulnerabilità.

Questa vulnerabilità traspare particolarmente negli sguardi dei suoi animali. Sun Hao eccelle nella rappresentazione delle espressioni equine, conferendo ai suoi cavalli una malinconia profondamente umana. Questi sguardi costituiscono forse l’aspetto più inquietante della sua arte. Sembrano interrogarci, giudicarci, comprenderci. Questa sottile antropomorfizzazione si collega alle analisi adorniane sulla “riconciliazione” estetica: l’arte non si limita a riprodurre le divisioni del mondo sociale, ma esplora le possibilità di una futura riconciliazione tra natura e cultura, animalità e umanità.

La dimensione utopica di questa riconciliazione non deve offuscare la sua dimensione critica. Le opere recenti di Sun Hao, esposte in particolare alla galleria Rongbaozhai nell’aprile 2025, rivelano una consapevolezza acuta delle sfide ecologiche ed etiche contemporanee. Le sue coppie di cavalli possono essere lette come allegorie delle relazioni umane nell’era della globalizzazione: intimità minacciata, solidarietà fragili, disperata ricerca di una connessione autentica in un mondo disumanizzato.

Questa interpretazione trova conferma nelle dichiarazioni dell’artista stessa. Come afferma in una recente intervista: “Il ritratto del cavallo è il ritratto dell’uomo. Attraverso la storia del cavallo, esprimo la mia riflessione profonda sulle relazioni tra epoca, società e uomo”. Questa frase rivela la dimensione propriamente filosofica del suo approccio. Sun Hao non dipinge cavalli: esplora, attraverso la metafora equina, le modalità contemporanee dell’esistenza umana.

Questo approccio metaforico affonda le radici in una lunga tradizione artistica cinese, ma Sun Hao la rinnova informandola con la sua conoscenza dell’arte occidentale. La sua frequentazione dei musei europei, i suoi viaggi in Italia e Francia hanno arricchito la sua palette referenziale senza alienarla dalle sue fonti culturali originarie. Questa sintesi interculturale costituisce uno degli aspetti più stimolanti del suo lavoro.

Essa si manifesta particolarmente nel suo trattamento della luce. Influenzata dai maestri della pittura europea, in particolare Rembrandt secondo i critici, Sun Hao sviluppa un uso dell’inchiostro che prende in prestito le tecniche del chiaroscuro occidentale preservando al contempo la specificità del medium cinese. I suoi cavalli spesso si immergono in una luce drammatica che scolpisce le loro forme e ne accentua la presenza emotiva. Questa ibridazione tecnica non è un sincretismo superficiale: traduce l’esperienza esistenziale dell’artista, divisa tra più universi culturali.

Il successo commerciale di Sun Hao, testimoniato dalle vendite all’asta dove le sue opere raggiungono a volte prezzi considerevoli, non deve occultare la radicalità del suo approccio. In un mercato dell’arte contemporanea spesso dominato dalla speculazione e dall’effetto moda, mantiene un’esigenza artistica che la distingue dai suoi contemporanei. Le sue opere resistono al consumo estetico facile: richiedono uno sguardo attento, una meditazione prolungata.

Questa resistenza al consumo immediato si collega alle analisi adorniane sull’industria culturale. Per Adorno, l’arte autentica si caratterizza proprio per il rifiuto della gratificazione immediata, per la capacità di destabilizzare le abitudini percettive dello spettatore. Le opere di Sun Hao possiedono questa qualità sconcertante: ci confrontano con la nostra stessa estraneità, rivelano le nostre contraddizioni intime.

L’evoluzione recente del suo lavoro verso una maggiore complessità narrativa conferma questa direzione. Le sue composizioni recenti, in particolare quelle presentate nella mostra “Tutti gli incontri” nel 2025, integrano talvolta diverse temporalità, diversi livelli di lettura. L’artista matura assume pienamente la dimensione ermeneutica della sua arte: le sue opere invitano all’interpretazione, resistono all’evidenza.

Questa crescente complessità si accompagna a una radicalizzazione formale. Sun Hao sperimenta ora con formati insoliti, composizioni asimmetriche, inquadrature audaci che rivelano l’influsso della fotografia e del cinema contemporanei. Questa apertura ad altri medium artistici testimonia la sua volontà di mantenere la sua arte in sintonia con le evoluzioni estetiche contemporanee.

Tuttavia, questa modernizzazione non avviene mai a scapito delle radici tradizionali. Sun Hao rimane fedele ai fondamenti della pittura a inchiostro: rispetto per il supporto, economia di mezzi, ricerca dell’espressività massima con un minimo di elementi. Questa fedeltà creativa distingue il suo lavoro dai pastiche e dalle amalgamazioni superficiali che proliferano nell’arte contemporanea cinese. L’originalità di Sun Hao risiede proprio nella sua capacità di mantenere questa tensione produttiva tra fedeltà e innovazione. Le sue opere non cadono né nella nostalgia passatista né nell’occidentalizzazione mimetica. Esse esplorano le possibilità contemporanee di un’arte radicata, le modalità attuali di una espressione autenticamente cinese.

Questa autenticità non coincide con il nazionalismo culturale. Sun Hao non cerca di illustrare una presunta essenza cinese eterna: esplora le forme contemporanee della cinicità, le modalità attuali dell’essere cinesi in un mondo globalizzato. I suoi cavalli sono cinesi non perché riproducono modelli ancestrali, ma perché incarnano un modo cinese di abitare la modernità. Questo approccio sfumato all’identità culturale si ricollega alle preoccupazioni dei filosofi contemporanei sulla globalizzazione e i suoi effetti. Sun Hao illustra la possibilità di una globalizzazione non uniformante, di un’apertura all’altro che non implica la dissoluzione di sé. Le sue opere testimoniano che è possibile essere allo stesso tempo locali e universali, radicati e cosmopoliti.

Questa sintesi dialettica costituisce forse il contributo maggiore di Sun Hao all’arte contemporanea. Nell’epoca in cui tanti artisti cadono o nel particolarismo identitario o nell’uniformizzazione globale, traccia una via di mezzo che preserva le specificità culturali pur aprendosi all’universale umano. I suoi cavalli parlano a tutti perché parlano innanzitutto autenticamente cinese. Questa lezione supera di gran lunga il dominio artistico. Nella nostra epoca turbata dai nazionalismi rinascimentali e dalle tentazioni identitarie, l’esempio di Sun Hao suggerisce altre modalità di relazione con l’altro e con sé stessi. La sua arte dimostra che è possibile attingere alle proprie radici senza restarne intrappolati, aprirsi al mondo senza perdersi.

È evidente che Sun Hao occupa una posizione singolare nell’arte contemporanea. Né passatista né futurista, né nazionalista né cosmopolita astratto, sviluppa un’estetica dell’intermezzo che corrisponde perfettamente alle sfide della nostra epoca. Le sue opere non propongono soluzioni preconfezionate: esplorano i termini del problema, rivelano le tensioni costitutive della nostra condizione contemporanea.

Questa lucidità critica, unita a una padronanza tecnica eccezionale, rende Sun Hao una delle artiste più stimolanti della sua generazione. I suoi cavalli continueranno a interrogarsi su di noi, a sorprenderci, a commuoverci per molto tempo. Perché portano in sé qualcosa di essenziale: la promessa che l’arte può ancora dire qualcosa di nuovo sulla nostra condizione, rivelare verità nascoste sulla nostra epoca, aprire possibilità inattese. In un mondo saturato di immagini e discorsi, questa promessa non è poca cosa. Essa giustifica da sola l’attenzione che dobbiamo dedicare a questa pittrice singolare. Sun Hao ci ricorda che l’arte non è un divertimento, ma una necessità, non un ornamento, ma una questione vitale. Le sue opere ci obbligano a vedere, pensare, sentire. In questi tempi di anestesia generalizzata, questo obbligo costituisce un benessere inestimabile.


  1. Agamben, Giorgio. Potenzialità: saggi di filosofia, Parigi, Payot, 1999.
  2. Adorno, Theodor W. Teoria estetica, 1970, traduzione di Marc Jimenez, Klincksieck, 1974, 2011.
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Riferimento/i

SUN Hao (1980)
Nome: Hao
Cognome: SUN
Altri nome/i:

  • 孙浩 (Cinese semplificato)

Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Cina

Età: 45 anni (2025)

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