Ascoltatemi bene, banda di snob. Quando Angel Otero strappa metodicamente le sue pelli di pittura a olio dal plexiglas per ricomporle sulla tela, non manipola solo un materiale. Egli orchestra una vera archeologia della coscienza, dove ogni gesto tecnico diventa l’espressione di una filosofia del tempo ritrovato. Questo pittore portoricano, nato nel 1981 a Santurce, non si limita a dipingere: decostruisce l’atto stesso di dipingere per reinventarlo, creando così un’opera che interroga tanto la materialità dell’arte quanto i meccanismi intimi della memoria.
La singolarità di Otero risiede in questo processo laborioso che ha sviluppato nel corso degli anni. Inizia dipingendo su plexiglas, lavorando a strati successivi, poi lascia parzialmente asciugare questa materia pittorica prima di scorticare letteralmente il suo supporto iniziale. Queste “pelli” d’olio, accartocciate, strappate, ricollocate su nuovi supporti, portano in sé le cicatrici di questa violenza creatrice. Questo metodo non è solo un capriccio tecnico: costituisce una potente metafora della condizione mnemonica stessa, dove il passato non ci giunge mai intatto ma sempre alterato, deformato dal tempo e dalle manipolazioni della coscienza.
L’opera di Otero affonda profondamente in una riflessione sull’identità caraibica e sulla condizione diasporica. Nato a Porto Rico ma formato a Chicago e poi stabilito a New York, l’artista porta in sé questa molteplicità geografica che caratterizza molti artisti contemporanei. Le sue tele recenti, in particolare quelle esposte sotto il titolo evocativo “The Sea Remembers” presso Hauser & Wirth nel 2023, dispiegano un immaginario domestico ossessionato dall’assenza. Sedie in vimini, vasche da bagno con piedi a zampa di leone, telefoni a disco, dentiere in bicchieri d’acqua: tutto un mobilio affettivo popola queste composizioni dove la figurazione emerge dal magma astratto come ricordi che risalgono alla superficie della coscienza.
Questo approccio trova un’eco inquietante nell’opera letteraria di Jorge Luis Borges [1], particolarmente nella sua concezione del tempo e della memoria. Come lo scrittore argentino, Otero comprende che il passato esiste solo nella sua ricostruzione presente, sempre lacunosa e deformata. In “Ficciones”, Borges scrive queste parole profetiche: “Il tempo è la sostanza di cui sono fatto”. Questa frase potrebbe servire da epigrafe per tutta l’opera di Otero, tanto la sua pratica artistica sembra materializzare questa intuizione di Borges. Le pelli di pittura che l’artista manipola portano in sé una temporalità stratificata, in cui ogni strato corrisponde a un momento diverso della creazione, ma anche della memoria personale e collettiva.
La tecnica degli “oil skins” sviluppata da Otero dal 2010 si avvicina al metodo letterario di Borges consistente nel sovrapporre riferimenti, nell’intrecciare temporalità, nel fare del presente il luogo di convergenza di tutti i passati possibili. Quando Otero graffia i suoi dipinti sul plexiglas, riproduce gestualmente ciò che Borges realizza narrativamente: rivela l’artificialità di ogni ricostruzione mnemonica, mostrando però che proprio questa artificialità porta verità. Le deformazioni che subiscono le sue immagini dipinte non sono incidenti: sono l’essenza stessa del suo approccio, poiché rendono visibile il processo attraverso cui il ricordo si costituisce e si deforma.
Questa prossimità con l’estetica di Borges si manifesta anche nel modo in cui Otero tratta lo spazio domestico. I suoi interni privi di abitanti ricordano le case labirintiche di Borges, quegli spazi dove l’architettura stessa diventa metafora della psiche. In “The House of Asterion”, Borges scrive: “La casa è grande come il mondo; o meglio, è il mondo”. Gli interni di Otero funzionano secondo la stessa logica: non rappresentano semplicemente spazi domestici, ma danno forma plastica allo spazio mentale dove si dispiegano i ricordi. Gli oggetti che popolano le sue tele, quella sedia rovesciata in “Birdsong”, quel pianoforte sommerso in “The Sea Remembers”, non sono semplici nature morte ma frammenti di un mondo interiore che cerca di ricostruirsi attraverso la pittura.
L’influenza di Borges su Otero non si limita a questa comune concezione del tempo e dello spazio: tocca anche la questione dell’identità culturale. Borges, scrittore argentino nutrito di letteratura europea, ha trascorso la vita a interrogare i rapporti tra centro e periferia, tra tradizione e innovazione. Otero, artista portoricano formato nelle istituzioni artistiche americane, naviga in una problematica simile. Il suo lavoro recente testimonia questa tensione produttiva tra eredità locale e linguaggio artistico internazionalizzato. Le piastrelle di ceramica che punteggiano le sue composizioni recenti rimandano direttamente all’architettura domestica portoricana, ma sono integrate in un’estetica che dialoga con i grandi maestri dell’astrazione americana.
Questa dimensione culturale dell’opera di Otero non può essere compresa senza riferimento all’antropologia del quotidiano sviluppata da Michel de Certeau [2]. In “L’Invention du quotidien”, de Certeau analizza le “arti di fare” con cui gli individui si appropriano dello spazio e del tempo imposti loro, deviando le strutture dominanti per creare spazi di libertà ed espressione personale. La pratica artistica di Otero si inscrive pienamente in questa logica di deviamento creativo. Manipolando la pittura a olio secondo modalità inedite, trasforma un medium tradizionale in strumento di espressione contemporanea.
Gli oil skins di Otero possono essere letti come un’incarnazione plastica di queste “tattiche” che de Certeau oppone alle “strategie” del potere. Là dove la pittura tradizionale impone le sue regole e le sue costrizioni materiali, Otero sviluppa una tattica che gli permette di aggirare tali limitazioni conservando però le conquiste storiche del medium. Non rifiuta la tradizione pittorica ma la reinventa dall’interno, creando opere che sono al contempo profondamente innovative e sorprendentemente fedeli allo spirito della grande pittura.
Questo approccio tattico si manifesta particolarmente nel modo in cui Otero tratta la questione dell’autenticità culturale. Piuttosto che rivendicare un’identità portoricana pura o assimilarsi completamente alla cultura artistica nordamericana, inventa una posizione terza che prende in prestito da diverse tradizioni senza mai ridursi a esse. I suoi riferimenti al barocco spagnolo si affiancano ad allusioni all’espressionismo astratto americano, ma queste influenze non vengono mai citate in modo letterale: sono sempre filtrate dal suo processo di trasformazione materiale.
De Certeau mostra che le pratiche quotidiane sono sempre legate a una dimensione temporale specifica: si inscrivono nell’istante presente portando però con sé la memoria dei gesti passati. Questa temporalità complessa trova il suo equivalente esatto nella tecnica di Otero. Ogni strato di pittura porta la traccia dei diversi momenti della sua creazione: il tempo della pittura iniziale su plexiglas, quello dell’asciugatura parziale, quello dello strappo, quello della ricomposizione sulla tela. Questa stratigrafia temporale conferisce alle opere di Otero la loro particolare densità, quella sensazione che esse contengano al loro interno più epoche simultaneamente.
La dimensione antropologica del lavoro di Otero appare con una forza particolare nelle sue opere recenti dedicate agli interni domestici. Questi spazi privati dei loro abitanti ma saturi di oggetti personali rivelano ciò che de Certeau chiama “lo spazio praticato”, questo spazio domestico modellato dalle abitudini e dai gesti quotidiani dei suoi occupanti. Le sedie, i tavoli, le vasche da bagno e altri elementi d’arredo che Otero dipinge non sono mai neutrali: portano l’impronta dei corpi che li hanno utilizzati, dei rituali che vi si sono svolti.
Questa attenzione al quotidiano domestico è accompagnata in Otero da una riflessione sulla trasmissione culturale. I suoi continui riferimenti a sua nonna, alla sua casa di Santurce, agli oggetti familiari della sua infanzia, testimoniano una volontà di preservare e trasmettere una memoria familiare e comunitaria. Ma questa trasmissione non avviene in modo fedele: passa attraverso la trasformazione, la deformazione, la reinvenzione. Come ha mostrato de Certeau, la tradizione non si perpetua mai identica ma sempre attraverso adattamenti e deviazioni creative.
Questa dialettica tra conservazione e innovazione costituisce forse l’aspetto più interessante del lavoro di Otero. Le sue oil skins conservano materialmente le tracce della loro creazione iniziale pur trasformandole radicalmente. Questa conservazione per trasformazione trova il suo corrispettivo teorico nella concezione di de Certeau delle arti del fare: esse consentono di preservare l’essenziale di una cultura adattandola alle condizioni presenti.
L’evoluzione recente del lavoro di Otero testimonia una maturità artistica notevole. Le sue mostre dal 2022 al 2024, in particolare “Swimming Where Time Was” presso Hauser & Wirth e “That First Rain in May” nella stessa galleria, mostrano un artista che ha pienamente assunto la sua singolarità. Le composizioni guadagnano in complessità narrativa senza perdere la loro forza astratta, rivelando un equilibrio sottile tra leggibilità figurativa e invenzione formale.
Questa evoluzione è accompagnata da un’espansione del suo vocabolario plastico. Otero integra ora nelle sue opere elementi scultorei, in particolare in “Rayuela (Hopscotch)” dove unisce ceramica e metallo forgiato in riferimento alle grate di ferro battuto della sua infanzia portoricana. Questa apertura verso la scultura segna una nuova tappa nella sua esplorazione delle possibilità espressive dei suoi materiali, confermando allo stesso tempo il suo attaccamento ai riferimenti mnemonici che alimentano il suo immaginario.
L’impatto internazionale di Otero testimonia la rilevanza contemporanea del suo approccio. Le sue opere fanno ora parte delle collezioni del Guggenheim Museum, del Museum of Contemporary Art di Chicago, dell’Istanbul Modern, rivelando la capacità della sua arte di dialogare con contesti culturali diversi mantenendo al contempo la sua specificità. Questo riconoscimento internazionale non sembra aver alterato la radicalità della sua ricerca: le sue ultime opere proseguono l’esplorazione delle possibilità espressive delle sue oil skins con una rinnovata inventiva.
Il posto di Angel Otero nell’arte contemporanea non si limita all’originalità della sua tecnica. Risiede nella sua capacità di rinnovare le questioni fondamentali della pittura, la materialità, la temporalità, la memoria, attraverso un approccio che coniuga innovazione formale e profondità concettuale. Inventando una tecnica che materializza i processi mnemonici, Otero ha creato un linguaggio plastico di singolarità notevole, capace di dare forma ai meccanismi più sottili della coscienza temporale.
La sua opera testimonia anche una rara capacità di articolare esperienza personale e interrogativo universale. I suoi riferimenti all’infanzia portoricana, lungi dal limitare la portata del suo discorso, gli conferiscono al contrario quell’autenticità emotiva che permette all’arte di toccare oltre le barriere culturali. Trasformando la propria memoria in materiale artistico, Otero ha creato un’arte che parla alla memoria di ciascuno, rivelando i meccanismi universali con cui costruiamo il nostro rapporto con il tempo e lo spazio.
Il futuro ci dirà se quest’opera riuscirà a mantenere la sua forza d’innovazione di fronte alle sfide del mercato dell’arte contemporanea. Ma già ora, Angel Otero ha saputo creare un corpus artistico di coerenza e originalità notevoli, capace di rinnovare la nostra comprensione di ciò che la pittura può essere oggi. In un mondo saturato di immagini, ha saputo inventare un approccio che restituisce alla materialità pittorica la sua carica emotiva e concettuale, dimostrando che l’arte di dipingere non ha esaurito le sue possibilità espressive.
- Borges, Jorge Luis, Fictions, traduzione italiana, Paris, Gallimard, 1957.
- De Certeau, Michel, L’Invenzione del quotidiano. 1. Arti del fare, Paris, Union générale d’éditions, 1980.
















