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Martedì 18 Novembre

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Ayako Rokkaku: L’arte a portata di dita

Pubblicato il: 23 Dicembre 2024

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 6 minuti

In un mondo dell’arte dove ogni gesto è calcolato, Rokkaku arriva a piedi nudi, con le mani coperte di vernice, e lancia in faccia al mercato dell’arte la sua visione viscerale della creazione. Dipinge direttamente con le dita, senza alcuno schizzo preliminare.

Ascoltatemi bene, banda di snob, è tempo di parlare di Ayako Rokkaku (nata nel 1982 a Chiba, Giappone), questa artista che fa esplodere le aste asiatiche con le sue dita piene di pittura acrilica.

Mentre spesso ogni gesto artistico è calcolato, ogni pennellata è teorizzata fino all’esaurimento da curatori in abiti neri che sorseggiano champagne tiepido, Rokkaku arriva a piedi nudi, le mani coperte di pittura, e getta in faccia al mercato dell’arte la sua visione viscerale della creazione. Dipinge direttamente con le dita, senza uno schizzo preliminare, come per dirci: “Le vostre teorie sull’arte? Me ne lavo le mani, con l’acrilico.”

La prima caratteristica del suo lavoro è questo approccio fisico, quasi primitivo, alla pittura. Non usa pennelli, troppo borghesi, forse troppo convenzionali. No, immerge le mani direttamente nella pittura, come un bambino che scopre il piacere tattile della creazione. Questo metodo ricorda le action paintings di Jackson Pollock, tranne che qui non c’è la mistificazione maschile alla Greenberg. Rokkaku trasforma l’atto di dipingere in una performance in cui tutto il corpo partecipa alla creazione. È Yves Klein senza il blu, Ana Mendieta senza il sangue, una forma di body art che lascia tracce colorate piuttosto che impronte drammatiche.

Questo approccio corporeo alla pittura fa eco alla filosofia fenomenologica di Maurice Merleau-Ponty. In “L’Oeil et l’Esprit” (1964), scriveva: “Il pittore porta il suo corpo… È prestando il suo corpo al mondo che il pittore trasforma il mondo in pittura”. Rokkaku incarna letteralmente questa idea. Le sue dita diventano estensioni dirette della sua coscienza creativa, cancellando la distanza tradizionale tra l’artista e la sua opera imposta dal pennello. È un ritorno a quella che Walter Benjamin chiamava l’esperienza tattile dell’arte, prima che la riproduzione meccanica venisse a sterilizzare tutto.

La seconda caratteristica della sua opera risiede nel suo universo visivo unico, popolato da figure femminili con occhi enormi e arti allungati, che fluttuano in spazi astratti dai colori brillanti. Questi personaggi, spesso descritti come “kawaii” (carini in giapponese), sono in realtà molto più complessi. Portano con sé un inquietante straniamento che avrebbe fatto gioire Freud. Queste bambine con sguardi a volte vuoti, a volte accusatori, sono abitanti di un mondo dove l’innocenza si affianca al disagio esistenziale.

Le sue creazioni richiamano ciò che Gaston Bachelard descriveva in “La Poétique de la Rêverie” (1960) come “l’infanzia cosmica”, quello stato in cui i confini tra reale e immaginario si dissolvono. Ma contrariamente all’immaginario tradizionale dell’infanzia, i personaggi di Rokkaku non sono semplicemente carini o rassicuranti. Possiedono un’ambiguità inquietante che li avvicina più alle bambole inquietanti di Hans Bellmer che ai personaggi dei manga commerciali.

Questa dualità tra apparente ingenuità e complessità sottostante rende Rokkaku un’artista particolarmente rilevante nella nostra epoca di tensioni tra autenticità e artificio. Le sue opere sono diventate così ambite che le sue tele si vendono ora per diverse centinaia di migliaia di euro, facendo di lei la sesta artista giapponese più quotata di tutti i tempi. Non male per qualcuno che ha iniziato dipingendo sul cartone recuperato nei parchi di Tokyo.

Il successo commerciale potrebbe essere visto come un tradimento della spontaneità originaria del suo approccio. Ma Rokkaku mantiene una integrità straordinaria nella sua pratica. Che dipinga su una tela di sette metri o su un pezzo di cartone, conserva sempre lo stesso approccio diretto, fisico, quasi primitivo della creazione. Continua le sue performance di pittura dal vivo, trasformando l’atto creativo in uno spettacolo pubblico, smitizzando il processo artistico pur teatralizzandolo.

Il suo lavoro recente si è esteso alla scultura, in particolare in bronzo e vetro, dimostrando che le sue dita magiche possono modellare la materia in tutte le sue forme. In queste opere tridimensionali si ritrova la stessa tensione tra il “kawaii” e l’inquietante, tra la spontaneità del gesto e la durabilità del materiale. Le sue sculture in vetro, create a Murano, sono particolarmente affascinanti, come se i suoi personaggi dipinti avessero improvvisamente preso corpo nello spazio reale, congelati nel loro slancio dalla trasformazione del vetro fuso.

Il percorso di Rokkaku è una sberla magistrale a tutti coloro che pensano che l’arte debba necessariamente essere concettuale, distante, intellettualizzata oggigiorno. Dimostra che è ancora possibile creare un’arte viscerale, diretta, emotivamente carica, senza cadere nella facilità o nell’autoindulgenza. Il suo successo crescente, particolarmente in Asia dove le sue opere raggiungono prezzi da record, mostra che esiste ancora un pubblico per un’arte che parla al cuore tanto quanto alla mente. Rokkaku ricorda che la creazione può ancora essere un atto di pura gioia, di scoperta, di esplorazione senza vincoli. Lei è la prova vivente che l’innocenza, quando è portata da una forte visione artistica e da una tecnica innegabile, può essere una forza rivoluzionaria.

Le sue opere ci ricordano ciò che Paul Klee scriveva nella sua “Teoria dell’arte moderna”: “L’arte non riproduce il visibile, rende visibile”. Rokkaku rende visibile un mondo interiore dove gioia e inquietudine, innocenza e consapevolezza, spontaneità e padronanza coesistono in un equilibrio precario e affascinante. Lei ci invita a immergere le nostre mani nella materia dei nostri sogni, a ritrovare quella libertà creativa che tutti abbiamo conosciuto da bambini, prima che il mondo ci insegnasse a restare puliti e ben ordinati.

È diventata un’artista imprescindibile della scena contemporanea, esponendo in istituzioni prestigiose come il Long Museum di Shanghai o il Kunsthal di Rotterdam. Ma ciò che è notevole è che è riuscita a mantenere l’essenza del suo percorso artistico nonostante il successo commerciale. Continua a dipingere con le mani, a creare performance dal vivo, a spingere i limiti della sua arte pur rimanendo fedele alla sua visione originaria.

Se alcuni critici vedono nel suo lavoro una semplice estensione della cultura giapponese “kawaii”, è perché non hanno guardato con attenzione. Le sue opere sono attraversate da una tensione costante tra il gradevole e l’inquietante, lo spontaneo e il controllato, l’infanzia e la profondità adulta. È proprio questa complessità che rende la sua arte qualcosa di più di una semplice espressione della cultura pop giapponese.

Il suo percorso è tanto più notevole poiché è autodidatta. Mentre i diplomi delle grandi scuole spesso fungono da lasciapassare, lei si è affermata solo grazie alla forza della sua visione e della sua pratica. Potrebbe quasi incarnare ciò che Dubuffet cercava nell’Art Brut: una creazione libera da ogni condizionamento culturale, anche se, paradossalmente, il suo lavoro si inserisce profondamente nella cultura visiva contemporanea.

Rokkaku naviga tra Berlino, Porto e Tokyo, creando un’arte che trascende le frontiere culturali pur rimanendo profondamente personale. Rappresenta una nuova generazione di artisti globali che attingono alle proprie radici culturali creando un linguaggio visivo universale. Il suo successo crescente testimonia una sete di sincerità e autenticità in un ambiente intellettuale spesso dominato dalla posa.

È affascinante vedere come sia riuscita a trasformare quella che poteva essere solo una tecnica originale, dipingere con le dita, in una vera firma artistica. Questo approccio tattile alla pittura è una filosofia della creazione che pone il corpo e l’istinto al centro del processo artistico. Rokkaku ci ricorda che l’arte può ancora essere un’esperienza diretta, viscerale, emotivamente carica. Dimostra che la semplicità non è nemica della profondità e che la spontaneità può coesistere con la padronanza tecnica.

Il suo successo commerciale potrebbe essere visto come una forma di recupero da parte del mercato dell’arte, ma testimonia anche una sete autentica per un’arte che parla direttamente alle emozioni, che non ha bisogno di essere spiegata con pagine e pagine di teoria critica per essere apprezzata. Nel nostro ambiente artistico troppo spesso ermetico ed elitario, è una boccata d’aria fresca.

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Riferimento/i

Ayako ROKKAKU (1982)
Nome: Ayako
Cognome: ROKKAKU
Altri nome/i:

  • ロッカクアヤコ (Giapponese)

Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Giappone

Età: 43 anni (2025)

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