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Caroline Walker: Gli sguardi dell’invisibile

Pubblicato il: 14 Febbraio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

Caroline Walker analizza la realtà sociale con la precisione di un chirurgo e la sensibilità di una poetessa. I suoi pennelli danzano tra ombre e luce per rivelare ciò che la nostra società cerca di ignorare: la presenza massiccia eppure invisibile delle donne nella nostra quotidianità.

Ascoltatemi bene, banda di snob, è giunto il momento di parlare di Caroline Walker, quest’artista che fa molto più che semplicemente dipingere donne al lavoro. Ci apre gli occhi su un intero aspetto invisibile della nostra società, con una precisione chirurgica che farebbe impallidire Michel Foucault.

Pensate di conoscere la pittura contemporanea? Lasciate che vi racconti la storia di questa scozzese nata nel 1982, che trasforma l’atto voyeuristico in un manifesto sociologico. Walker, armata dei suoi pennelli e del suo sguardo penetrante, si infiltra negli interstizi della nostra quotidianità per catturare quei momenti che preferiamo ignorare: una cameriera che cambia le lenzuola in un hotel di lusso per pochi euro l’ora, una manicure che lima instancabilmente le unghie di chi può permettersi questo lusso, una madre che sistema metodicamente la sua cucina alle 23.

Ma attenzione, non lasciatevi ingannare. Se Walker ci fa pensare al concetto del “Panopticon” di Foucault, non è un caso. Le sue tele monumentali ci pongono nella scomoda posizione del sorvegliante, osservando queste donne attraverso finestre, porte socchiuse, scale. Diventiamo complici di questa sorveglianza sociale costante, di questo controllo invisibile che regola le nostre vite moderne. La differenza? Walker ribalta il concetto. Non è più l’istituzione a sorvegliare, è l’artista a esporre la sorveglianza istituzionale della società sul lavoro femminile.

Prendiamo un momento per analizzare la sua tecnica. I suoi oli su tela non sono semplici fotografie trasposte. No, Walker gioca con la luce come Claude Monet coi suoi ninfei, ma invece di giardini bucolici, ci offre scene di realismo impressionante immerse in bagliori artificiali di neon, lampade da scrivania, smartphone. C’è qualcosa di profondamente politico nel modo in cui Walker tratta la luce. Questa luce non c’è per abbellire, è lì per rivelare. Nelle sue scene d’interno, Walker usa spesso una tavolozza calda, quasi confortante, ma che non riesce mai a dissipare completamente le ombre. Queste zone d’ombra non sono casuali: rappresentano tutto ciò che rifiutiamo di vedere, tutto ciò che preferiamo tenere nell’oscurità.

La sociologa Dorothy Smith parlerebbe qui di “standpoint theory”, questa teoria del punto di vista che afferma che la nostra posizione sociale influenza la percezione del mondo. Walker la illustra magistralmente. In quanto donna che dipinge donne, decostruisce lo “sguardo maschile” tradizionale per offrirci una prospettiva radicalmente diversa. Non è più lo sguardo maschile a oggettificare, è lo sguardo femminile a documentare, a capire, a condividere.

Nella sua serie sulle rifugiate a Londra, Walker spinge ancora più oltre l’esercizio. Non si limita a mostrare queste donne nella loro quotidianità, ma espone la violenza latente della loro situazione attraverso dettagli sottili: una borsa da viaggio mai disimballata, muri vuoti, spazi transitori. Qui risuona Simone de Beauvoir, con il suo concetto di “situazione”, su come l’ambiente sociale e materiale condizioni la nostra esistenza. Queste donne non sono semplicemente “in” questi spazi, sono definite da essi, costrette da essi.

Le sue tele sui saloni di manicure sono particolarmente rivelatrici. In “Pampered Pedis” (2016), Walker cattura l’assurdità della nostra società di consumo. Da un lato, donne che pagano per farsi curare i piedi, dall’altro, donne che passano le loro giornate in ginocchio per un salario minimo. La composizione è brillante: le clienti sono sempre leggermente sfocate, quasi evanescenti, mentre le lavoratrici sono rese con una precisione quasi dolorosa. È un commento acerbo sulla divisione delle classi sociali, ma anche sul modo in cui scegliamo ciò che vogliamo vedere e ciò che preferiamo ignorare.

La serie “Janet”, dedicata a sua madre, è forse la sua opera più intima eppure la più universale. Documentando le attività quotidiane di sua madre nella loro casa familiare a Dunfermline, Walker eleva il lavoro domestico al rango d’arte. Ogni pennellata è un riconoscimento di quei gesti ripetuti milioni di volte: piegare il bucato, annaffiare le piante, preparare la cena. È un omaggio a tutte quelle ore di lavoro invisibile, non retribuito, che mantengono la nostra società a galla.

Non fraintendete: se i suoi dipinti sono belli, non sono fatti per confortarci. Walker ci costringe a guardare ciò che preferiamo ignorare. Ci mette nella posizione scomoda del voyeur, ma un voyeur consapevole della propria posizione, costretto a riflettere sulla propria complicità in questi sistemi di sfruttamento. Anche la dimensione delle sue tele non è casuale. Creando opere spesso più grandi della vita, Walker ci obbliga a confrontarci con queste realtà in modo fisico. Non possiamo semplicemente distogliere lo sguardo: queste donne, le loro vite, il loro lavoro occupano letteralmente lo spazio. È una manifestazione fisica di ciò che la filosofa Nancy Fraser chiama “giustizia di riconoscimento”, l’idea che la giustizia sociale passi anche attraverso la visibilità e il riconoscimento.

Le ultime opere di Walker, in particolare quelle realizzate durante la pandemia, assumono una dimensione ancora più toccante. Nelle sue rappresentazioni di infermiere e assistenti sanitarie si ritrova la stessa attenzione ai dettagli, ma con una nuova urgenza. Le mascherine, le camici, i gesti di cura ripetuti instancabilmente diventano simboli di una resilienza quotidiana che abbiamo troppo a lungo dato per scontata. L’artista non si limita a documentare: trasforma. Ogni quadro è una finestra, ma anche uno specchio. Guardiamo queste donne, ma siamo anche costretti a guardarci noi stessi, a interrogarci sulla nostra posizione in questa dinamica sociale complessa. È qui che risiede la vera forza del suo lavoro: nella capacità di trasformare un atto voyeuristico in un esercizio di coscienza sociale.

Walker riesce in quella rara impresa: creare un’arte che sia allo stesso tempo politicamente impegnata ed esteticamente sofisticata. I suoi quadri sono documenti sociologici, manifesti femministi, ma anche e soprattutto opere d’arte che ci toccano per la loro bellezza formale e la loro maestria tecnica. Attraverso le sue tele, Walker ci ricorda che l’arte non serve solo a decorare le nostre pareti o a riempire i nostri musei. È lì per costringerci a vedere, a pensare, a mettere in discussione i nostri presupposti. In un mondo bombardato dalle immagini, lei ci insegna a guardare davvero, a vedere oltre le apparenze, a comprendere la complessità delle vite che si svolgono intorno a noi. Il suo lavoro è un costante promemoria che dietro ogni finestra illuminata, ogni porta socchiusa, ci sono vite che si svolgono, storie che meritano di essere raccontate, realtà che meritano di essere viste. E forse questo è, in definitiva, il vero ruolo dell’artista: insegnarci a vedere ciò che guardiamo senza vedere ogni giorno.

Nella sua serie “Birth Reflections”, esposta alla cappella Fitzrovia nel 2022, Walker esplora un nuovo territorio: quello della maternità. Dopo aver dato alla luce sua figlia, ha intrapreso una residenza presso l’ala maternità dell’University College Hospital di Londra. Il risultato è una serie di opere che catturano i momenti intimi e spesso difficili del parto e dei primi giorni di vita. Questi quadri sono particolarmente rivelatori della sua capacità di trasformare spazi clinici in scene profondamente umane. I corridoi asettici dell’ospedale diventano teatri di emozioni crude, in cui vita e vulnerabilità si affiancano. Walker cattura questi momenti con una tenerezza che non è mai sentimentale, un’onestà che non è mai brutale.

La serie “Lisa”, che segue sua cognata durante la gravidanza e i primi mesi della maternità, spinge questa esplorazione ancora più a fondo. Questi quadri mostrano gli aspetti raramente rappresentati della maternità: l’esaurimento fisico, le notti senza fine, i corpi che si trasformano, gli spazi domestici invasi dagli accessori per la puericultura. È uno sguardo senza filtri su questo periodo di intensa transizione, in cui l’identità si ricostruisce attorno a un nuovo ruolo.

Ciò che colpisce in queste opere recenti è il modo in cui Walker continua a esplorare i temi a lei cari, il lavoro invisibile delle donne, gli spazi di genere, la sorveglianza sociale, applicandoli a esperienze più personali. Ci mostra che anche i momenti più intimi delle nostre vite sono plasmati da strutture sociali più ampie.

La tavolozza di Walker si è ampliata anche nel corso degli anni. Se le sue prime opere privilegiavano spesso toni freddi e clinici, il suo lavoro recente abbraccia una gamma più varia di emozioni cromatiche. I rosa teneri delle camere d’ospedale si affiancano ai blu profondi delle scene notturne, creando una sinfonia visiva che riflette la complessità emotiva dei suoi soggetti.

La sua tecnica stessa si è affinata, diventando più sicura pur restando fedele al suo stile distintivo. Le pennellate sono al contempo precise ed espressive, creando una tensione affascinante tra documentario e interpretazione artistica. Questa padronanza tecnica le consente di navigare abilmente tra il realismo necessario per ancorare le sue scene al quotidiano e l’espressionismo che dà loro potenza emotiva.

Il successo crescente di Walker nel mercato dell’arte, con opere che raggiungono prezzi record all’asta, solleva anche questioni interessanti su come l’arte contemporanea possa affrontare temi sociali pur navigando nel mondo commerciale di gallerie e collezionisti. Il suo lavoro dimostra che è possibile mantenere un’integrità artistica e un impegno sociale trovando comunque il proprio posto nel mercato dell’arte.

Ma ciò che rimane costante nel suo lavoro è questa capacità unica di farci vedere l’invisibile. Sia che si tratti di una donna delle pulizie in un hotel di lusso, di una madre esausta che dà il biberon alle 3 del mattino, o di una rifugiata nel suo alloggio temporaneo, Walker ci costringe a guardare queste vite che si svolgono ai margini della nostra visione.

La sua arte ci ricorda che la vera rivoluzione non risiede sempre nei grandi gesti o nelle dichiarazioni clamorose, ma nella capacità di vedere quotidianamente in modo differente, di riconoscere la dignità e l’importanza di quei momenti apparentemente banali che costituiscono la trama delle nostre vite.

Il lavoro di Caroline Walker è molto più di una semplice documentazione del lavoro delle donne o di una critica sociale. È un invito a riconsiderare il nostro modo di vedere, valorizzare e comprendere il mondo che ci circonda. In un mondo che privilegia spesso lo spettacolare e lo straordinario, l’artista ci ricorda che la vera bellezza, il vero significato, si trova spesso in quei momenti quotidiani che troppo spesso diamo per scontati.

La sua opera risuona particolarmente oggi, mentre cominciamo finalmente a riconoscere l’importanza del lavoro invisibile che mantiene la nostra società in movimento. Ci mostra che l’arte può essere allo stesso tempo uno specchio che riflette la nostra realtà sociale e uno strumento per trasformarla. Costringendoci a vedere ciò che spesso preferiamo ignorare, ci invita a diventare osservatori più attenti e consapevoli del nostro mondo e, forse, attraverso questa presa di coscienza, a contribuire a cambiarlo.

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Riferimento/i

Caroline WALKER (1982)
Nome: Caroline
Cognome: WALKER
Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Regno Unito

Età: 43 anni (2025)

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