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Martedì 18 Novembre

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Chloé Wise: L’iperrealtà della quotidianità in scena

Pubblicato il: 20 Gennaio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

L’artista Chloé Wise trasforma il banale in spettacolo con un’ironia mordace. I suoi ritratti e le sue sculture esplorano il nostro rapporto con il consumo e i social network, creando un dialogo affascinante tra l’autentico e l’artificiale, il tutto servito con un umorismo che non esclude la profondità.

Ascoltatemi bene, banda di snob, Chloé Wise (nata nel 1990) incarna perfettamente l’artista che sa trasformare la nostra società di consumo in un teatro dell’assurdo, mantenendo al contempo una distanza critica sorprendentemente affilata. Questa canadese stabilitasi a New York dispone di un arsenale creativo che oscilla tra pittura a olio, scultura e installazione, creando un universo in cui il sorriso convive con la riflessione più acuta sul nostro tempo. Il suo lavoro, profondamente radicato nel nostro presente, seziona con precisione chirurgica i meccanismi che regolano le nostre relazioni sociali e il nostro rapporto con il consumo.

Nel suo lavoro emergono con evidenza due assi principali. Il primo riguarda il suo modo unico di affrontare il consumismo e i suoi codici, in particolare attraverso un’esplorazione del rapporto tra cibo e desiderio. Le sue sculture di borse a forma di bagel o baguette, come il celebre “Bagel No. 5” (2014), non sono semplici provocazioni. Si inseriscono in una tradizione filosofica che risale a Jean Baudrillard e la sua teoria del simulacro. Baudrillard, in “Simulacri e simulazione” (1981), sviluppava l’idea che la nostra società contemporanea abbia sostituito il reale con segni del reale. Le opere di Wise illustrano perfettamente questa teoria creando oggetti che sono allo stesso tempo simulazioni di articoli di lusso e rappresentazioni del cibo, confondendo così i confini tra commestibile e commerciale, tra autentico e artificiale.

Questo approccio trova un’eco particolare nelle sue installazioni più recenti, come la serie di candelabri a forma di insalata cesar, dove l’artificiale diventa più vero del vero, creando ciò che Baudrillard chiamava iperrealtà. Queste sculture non sono semplicemente sofisticati trompe-l’oeil; interrogano il nostro rapporto con l’autenticità in un mondo in cui il confine tra vero e falso diventa sempre più poroso. Le gocce di vinaigrette che sembrano perlacee sulle foglie di lattuga delle sue installazioni luminose creano una tensione affascinante tra il deperibile e l’eterno, tra l’utilitario e l’artistico.

Il secondo asse del suo lavoro risiede nel suo approccio al ritratto contemporaneo. Wise rivisita questo genere tradizionale con una particolare perspicacia, integrando i codici visivi dell’era digitale. I suoi ritratti non sono semplici rappresentazioni di persone, ma esplorazioni profonde di come ci mettiamo in scena nell’era dei social media. Questo approccio riecheggia le riflessioni di Roland Barthes in “La camera chiara” (1980) sulla fotografia e su come costruiamo la nostra immagine. Barthes parlava del “punctum”, quell’elemento che in un’immagine ci punta e ci tocca personalmente. In Wise, questo punctum si trova spesso nelle espressioni leggermente spostate dei suoi modelli, in quei sorrisi che sembrano allo stesso tempo autentici e artificiali.

Il modo in cui dipinge i suoi amici e conoscenti, spesso con prodotti di consumo quotidiano come accessori, crea una tensione affascinante tra l’intimo e il commerciale. Questi ritratti ricordano le nature morte olandesi del XVII secolo, dove gli oggetti di uso quotidiano erano carichi di una simbolica profonda. Ma in Wise, i simboli sono quelli della nostra epoca: confezioni di prodotti lattiero-caseari, marchi riconosciuti, oggetti di ogni giorno elevati al rango di icone. La sua tecnica pittorica, ereditata dai grandi maestri ma applicata a soggetti contemporanei, crea un dialogo affascinante tra tradizione e modernità.

Nelle sue ultime opere, in particolare in quelle presentate nella mostra “Torn Clean” (2024), Chloé Wise spinge ancora più avanti la sua riflessione sulla vulnerabilità umana e sul nostro modo di mascherarla. L’introduzione dei cerotti nei suoi ritratti crea un nuovo livello di interpretazione: questi accessori medici diventano metafore della nostra fragilità e del nostro costante bisogno di guarigione. I sorrisi maniacali dei suoi soggetti, combinati a questi cerotti discreti, raccontano una storia di resilienza forzata, di quell’obbligo sociale di “fare buona figura” nonostante le nostre ferite.

L’uso del colore merita particolare attenzione. Le tonalità di carne che impiega, talvolta definite “porcellino” nei suoi tubetti di colore, creano una tensione tra il sublime e l’abbietto. Questo approccio richiama le teorie di Julia Kristeva sull’abbiezione nell’arte, dove il bello e il ripugnante coesistono in una danza complessa. Gli sfondi monocromatici dei suoi ritratti più recenti, spesso vicini ai toni della pelle dei soggetti, creano un effetto di mimetismo sottile che rafforza la sensazione di un’identità in dissoluzione.

Wise naviga tra diversi registri senza mai cadere nel puro cinismo. Il suo umorismo funziona come un cavallo di Troia, permettendo di introdurre interrogativi più profondi sulla nostra epoca. Riesce a mantenere un equilibrio delicato tra critica sociale e una forma di empatia per i suoi soggetti, creando così un’arte che non è né completamente accusatoria né totalmente compiacente.

Il suo lavoro sui sorrisi, in particolare, merita di essere approfondito. In una società in cui il sorriso è diventato una forma di moneta sociale, Wise ne fa un soggetto di studio antropologico. I suoi ritratti catturano questa strana temporalità del sorriso posato, quello che dura troppo a lungo per essere naturale. Questa esplorazione riecheggia le osservazioni di Baudrillard in “America” sul sorriso americano come forma di comunicazione codificata. I soggetti di Wise sembrano consapevoli di essere osservati, le loro espressioni oscillano tra l’autentico e il performativo.

L’artista non si limita a criticare questa performance sociale; ne rivela anche la strana bellezza e la necessità. I suoi ritratti recenti, con i loro sorrisi esagerati e i loro cerotti discreti, raccontano la storia della nostra resilienza collettiva, della nostra capacità di continuare a sorridere anche nelle avversità. Forse qui risiede la più grande forza del suo lavoro: nella sua capacità di trasformare il nostro quotidiano mediatico in una forma di poesia visiva contemporanea.

Il suo approccio alla celebrità e al riconoscimento artistico è particolarmente interessante. Dalla popolarità suscitata dal suo “Bagel No. 5” indossato durante un evento Chanel, Wise è riuscita a navigare nel mondo dell’arte con un’intelligenza notevole. Utilizza i meccanismi che critica, social network, cultura degli influencer, marketing del lusso, per diffondere il suo lavoro. Realizza opere che funzionano sia come critiche sociali sia come oggetti del desiderio. I suoi dipinti e le sue sculture, pur puntando il dito sugli eccessi della nostra società consumistica, diventano essi stessi oggetti da collezione ambiti. Questa ironia non sfugge all’artista, che ne fa un elemento della sua riflessione sul modo in cui l’arte circola e acquisisce valore nella nostra società.

La dimensione performativa del suo lavoro si estende ben oltre la tela e la scultura. Le sue installazioni creano ambienti immersivi che trasformano lo spazio espositivo in una scena dove si rappresenta il teatro del nostro consumo quotidiano. I blocchi di burro che si sciolgono lentamente sulle loro basi di vetro nelle sue recenti esposizioni creano una tensione temporale che costringe lo spettatore a confrontarsi con la natura effimera dei nostri desideri e delle nostre proprietà.

Il suo utilizzo della tecnica tradizionale della pittura a olio per rappresentare il nostro mondo iperconnesso non è casuale. Questa tecnica, storicamente associata ai ritratti dell’aristocrazia e alle nature morte sfarzose, diventa nelle sue mani uno strumento per documentare e interrogare i nostri nuovi rituali sociali. La virtuosità tecnica che dispiega serve a rappresentare momenti apparentemente banali, qualcuno che beve latte di mandorla, un’amica che posa con le sue cuffie wireless, trasformando questi istanti quotidiani in quadri che meritano la stessa attenzione delle vanità del XVII secolo.

La pandemia ha aggiunto una nuova dimensione al suo lavoro, in particolare nel modo in cui affronta l’indifferenza come meccanismo di sopravvivenza. In un mondo saturato di informazioni traumatiche, le sue opere esplorano come riusciamo a mantenere una facciata di normalità. I suoi ritratti di questo periodo catturano questa strana dualità: la coscienza acuta della catastrofe e la necessità di continuare a funzionare normalmente. I corpi che dipinge, spesso nudi ma mai volgarizzati, portano anche i segni della nostra epoca: tatuaggi, piercing, accessori tecnologici. Questi elementi diventano marcatori temporali che ancorano le sue opere al nostro presente donando loro al contempo una possibile dimensione archeologica.

Riserva agli oggetti della vita quotidiana un trattamento particolarmente speciale. Le sue nature morte contemporanee, popolate di prodotti di consumo comune, trasformano questi oggetti in reliquie del nostro tempo. Una confezione di latte diventa un artefatto culturale, un cerotto simbolo della nostra vulnerabilità collettiva. Questo approccio ricorda la tradizione delle vanità, ma attualizzata per la nostra epoca di sovraconsumo e obsolescenza programmata.

L’influenza del digitale sulla sua pratica è particolarmente visibile nel modo in cui compone le sue immagini. I suoi inquadramenti, spesso ispirati ai codici dei selfie e delle foto dei social network, creano un dialogo tra la tradizione del ritratto dipinto e le nuove forme di auto-rappresentazione. Questa ibridazione di riferimenti visivi produce opere che funzionano sia come documenti sociologici sia come oggetti estetici autonomi.

Il suo lavoro sulla materialità è particolarmente affascinante nelle sue sculture. L’uso dell’uretan e della pittura a olio per creare simulazioni iperrealistiche di cibo solleva questioni fondamentali sul nostro rapporto con il reale in una società in cui il virtuale assume un ruolo sempre più importante. Queste opere non sono semplicemente sofisticati trompe-l’oeil; interrogano la nostra capacità di distinguere il vero dal falso, il naturale dall’artificiale.

La dimensione politica del suo lavoro, sebbene mai didattica, si manifesta nel modo in cui affronta le questioni di genere e identità. I suoi ritratti di donne, in particolare, decostruiscono i codici della rappresentazione femminile nell’arte. Le espressioni talvolta grottesche o inquietanti dei suoi modelli femminili sfidano le convenzioni di bellezza e docilità tradizionalmente associate ai ritratti di donne.

Wise riesce a creare un’arte che parla profondamente della nostra epoca evitando le insidie del commento sociale semplicistico. Il suo lavoro è complesso proprio perché rifiuta posizioni morali facili. Ci mostra il nostro mondo in tutta la sua assurdità, la sua bellezza e il suo orrore, lasciandoci liberi di navigare tra queste diverse letture.

Il lavoro di Chloé Wise costituisce un commento complesso e sfumato sulla nostra epoca, in cui l’autentico e l’artificiale si confondono costantemente. Riesce a catturare l’essenza della nostra relazione ambivalente con il consumo, la rappresentazione di sé e la tecnologia, creando al contempo opere che rimangono profondamente umane nel loro approccio. Attraverso il suo sguardo al contempo critico ed empatico, Wise ci offre uno specchio della nostra società, ma uno specchio che non si limita a riflettere: rivela, interroga e trasforma la nostra percezione del reale.

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Riferimento/i

Chloé WISE (1990)
Nome: Chloé
Cognome: WISE
Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Canada

Età: 35 anni (2025)

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