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Il teatro infuocato di Antoine Roegiers

Pubblicato il: 26 Febbraio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 12 minuti

Antoine Roegiers trasforma la pittura in teatro visivo dove maschere e fiamme raccontano la nostra follia collettiva. Le sue processioni di personaggi grotteschi che attraversano paesaggi infuocati rivelano, con un’ironia mordace, la nostra incapacità di affrontare le rovine che noi stessi abbiamo creato.

Ascoltatemi bene, banda di snob, se non vi siete ancora immersi nell’universo di Antoine Roegiers, preparatevi a una scossa visiva che vi risveglierà dalla vostra torpore estetica! Questo belga di nascita, francese di adozione, non è solo un pittore, è un narratore, un regista, un piromane visivo che incendia le nostre coscienze addormentate.

Diplomato all’École nationale supérieure des Beaux-Arts di Parigi nel 2007, Roegiers si è subito distinto, non cercando di reinventare la ruota, ma scavando nel fertile terreno della storia dell’arte con un’audacia rinfrescante. Ha capito, al contrario di tanti artisti contemporanei ossessionati dall’idea di novità a tutti i costi, che dialogare con i maestri del passato può essere la forma più radicale di innovazione.

Ciò che trovo particolarmente brillante in Roegiers è che trasforma la nostra nostalgia per la pittura narrativa in qualcosa di decisamente attuale. Le sue grandi tele, in particolare quelle presentate nella sua mostra “La grande parade” alla galleria Templon di Parigi nel 2024, non sono semplici omaggi ai maestri fiamminghi, ma specchi deformanti della nostra stessa società in decomposizione.

Guardate quei suoi cieli infuocati, le sue branchi di cani randagi, i suoi personaggi mascherati che sfilano, indifferenti al mondo che crolla intorno a loro. Non è forse la perfetta metafora della nostra epoca, in cui continuiamo le nostre parate assurde mentre il pianeta brucia? Nel suo quadro “La malinconia del disertore”, un autoritratto appena celato, Roegiers si presenta come un uomo disorientato, che ha osato uscire dal corteo collettivo. Questa immagine risuona come un manifesto personale che mette in discussione la nostra stessa capacità di uscire dal gregge.

C’è qualcosa in Roegiers che mi ricorda la teatralità barocca, ma rivisitata attraverso la lente delle grandi angosce contemporanee. Il suo lavoro si inscrive in una lunga tradizione teatrale, quella che risale ai misteri medievali e trova il suo apice nel teatro barocco del XVII secolo. Il teatro barocco, con il suo gusto per l’illusione, le metamorfosi e l’instabilità, offre un parallelo affascinante con l’opera di Roegiers[1].

Il teatro barocco era caratterizzato dalla sua fascinazione per maschere e travestimenti, elementi onnipresenti nelle tele di Roegiers. “La bruciatura del risveglio”, la sua mostra presso Templon a Bruxelles nel 2023, presentava proprio scheletri che raccoglievano maschere abbandonate dagli umani. Nella tradizione barocca, la maschera era sia uno strumento di occultamento sia un rivelatore di verità, una dualità che Roegiers esplora con intelligenza mordace. Come scriveva Jean Rousset nella sua opera “La littérature de l’âge baroque en France”: “La maschera è contemporaneamente menzogna e verità, nasconde per meglio rivelare”[2].

Nel teatro barocco, il confine tra illusione e realtà era costantemente sfocato, così come nei dipinti di Roegiers dove personaggi mascherati si muovono in paesaggi a metà strada tra il sogno e l’incubo. Questa estetica dell’instabilità e della metamorfosi, così caratteristica del barocco, trova in Roegiers una risonanza contemporanea sorprendente.

La scenografia barocca, con le sue macchine sofisticate che permettono cambiamenti in vista ed effetti spettacolari, trova un’eco nel modo in cui Roegiers compone le sue tele, creando spazi impossibili dove scale e prospettive sembrano obbedire a una logica onirica piuttosto che fisica. Non dimentichiamo che Roegiers ha anche realizzato film d’animazione, trasponendo questo gusto per il movimento e la trasformazione in un medium che permette letteralmente di dare vita alle immagini fisse.

Il teatro barocco era anche ossessionato dalla consapevolezza della fugacità dell’esistenza, il famoso “memento mori”, tema che Roegiers esplora attraverso le sue rappresentazioni di incendi distruttivi e paesaggi post-apocalittici. I suoi dipinti ci ricordano, come faceva il teatro di Calderón de la Barca con “La vita è un sogno” (1635), che le certezze su cui costruiamo le nostre vite possono svanire in un istante[3].

La nozione di “theatrum mundi”, il mondo come teatro, così centrale nel pensiero barocco, trova un’espressione evidente nelle messa in scena pittorica di Roegiers. I suoi personaggi sembrano tutti recitare una parte in una grande farsa cosmica di cui ignorano la sceneggiatura. Questa visione del mondo come vasto spettacolo orchestrato da forze che ci superano è perfettamente illustrata in “La grande parata”, dove musicisti mascherati perseguono la loro folle sfilata in un paesaggio devastato.

Il teatro barocco amava anche giocare con i contrasti violenti, luce e ombra, vita e morte, bellezza e bruttezza, un approccio che Roegiers adotta con maestria. Le sue tele spesso giustappongono la bellezza formale della sua tecnica pittorica con l’orrore di ciò che rappresenta, creando quella tensione estetica così caratteristica del barocco.

La stessa struttura del suo progetto narrativo, questa storia senza fine determinata che sviluppa dal 2018, richiama i grandi cicli teatrali barocchi, quegli spettacoli che potevano svolgersi su più giornate, tessendo racconti complessi e interconnessi. Come spiega lo stesso artista: “È una rêverie continua, i quadri sono collegati e si susseguono l’uno dall’altro per formare un insieme coerente a mio avviso: un filo narrativo libero a cronologia variabile e senza fine”[4].

Questa dimensione teatrale si manifesta anche nel modo in cui Roegiers utilizza il colore. I suoi cieli infuocati, i suoi rossi sangue e i suoi neri profondi non sono senza richiamare le illuminazioni drammatiche del teatro barocco, dove la luce era usata per creare effetti emozionali potenti. C’è qualcosa di profondamente scenografico nel suo modo di concepire lo spazio pittorico.

Ma non lasciatevi ingannare: Roegiers non è un semplice nostalgico che ricicla estetiche passate. Ciò che rende il suo lavoro così incisivo è la sua capacità di usare questi riferimenti storici per parlare direttamente del nostro presente. I suoi quadri sono come produzioni teatrali barocche che sono state riscritte per affrontare le ansie del XXI secolo, il cambiamento climatico, l’alienazione sociale, la perdita di senso collettivo.

Il grande teorico del barocco Eugenio d’Ors vedeva in questa sensibilità non semplicemente un movimento storicamente situato, ma una costante che riemerge in diverse epoche di crisi e trasformazione[5]. In questo senso, Roegiers è profondamente barocco, non perché imita stilisticamente quel periodo, ma perché ne cattura lo spirito inquieto e metamorfosico in un momento in cui la nostra epoca sembra nuovamente caratterizzata da instabilità e incertezza.

Le maschere nell’opera di Roegiers sono particolarmente interessanti. In “La brûlure de l’éveil”, queste maschere abbandonate raccolte da scheletri rappresentano l’artificio che gli esseri umani hanno costruito intorno a loro. È esattamente ciò che il teatro barocco cercava di svelare, la natura illusoria delle apparenze sociali. Non diceva il drammaturgo Tirso de Molina che “la vita è una commedia, e il mondo un teatro dove ciascuno recita il suo ruolo mascherato”[6]?

Ma c’è anche in Roegiers una consapevolezza acuta dei limiti della rappresentazione stessa, altro tema caro al barocco. Quando reinterpretare le opere di Bosch o Brueghel, non si limita a citarle; le anima, le decostruisce, le reinventa. Così facendo, ci ricorda che ogni rappresentazione è una costruzione, un artificio, esattamente come il teatro barocco che, paradossalmente, usava gli artifici più elaborati per mettere in discussione la natura illusoria del mondo.

Osservate come, nelle sue prime opere video come “Les sept péchés capitaux”, Roegiers scompone i quadri di Brueghel, isolando ogni elemento per poi ricomporli in sequenze animate. Questa procedura richiama il procedimento del “teatro nel teatro” tanto caro ai drammaturghi barocchi, questa messa in abisso che rivela i meccanismi dell’illusione mentre ci immerge più profondamente in essa.

La dimensione spettacolare del barocco trova anche un’eco nel modo in cui Roegiers concepisce le sue esposizioni come esperienze immersive. Quando si entra in una sala che presenta le sue opere, si è colpiti dalla stessa sensazione che dovevano provare gli spettatori dei grandi spettacoli barocchi, quella di essere trasportati in un universo parallelo che, pur essendo chiaramente artificiale, ci parla però di verità profonde.

Il teatro barocco era ossessionato dai colpi di scena improvvisi, dagli eventi teatrali che sconvolgono l’ordine stabilito. Gli incendi apocalittici di Roegiers, che trasformano radicalmente i paesaggi, funzionano come tali colpi di scena visivi. Essi incarnano quell'”estetica della sorpresa” che Walter Benjamin identificava come centrale nell’allegoria barocca[7].

È sorprendente constatare come Roegiers, in “La grande parata”, sovverta i codici della processione trionfale, altro motivo ricorrente del teatro barocco, per farne l’espressione di un’assurdità collettiva. I suoi musicisti mascherati, che marciano al passo in un mondo in rovina, evocano quei personaggi del teatro barocco che perseguono le loro trame futili, inconsapevoli del disastro imminente.

Questa tensione tra coscienza e incoscienza è al centro dell’opera di Roegiers. I suoi personaggi mascherati sembrano prigionieri dei loro ruoli, incapaci di vedere la realtà che li circonda, mentre l’artista, e noi per estensione, osserviamo la loro parata con un misto di fascino e terrore. È esattamente il tipo di posizione scomoda in cui il teatro barocco amava porre i suoi spettatori.

Il motivo dell’eclisse, presente in “La grande parata”, è particolarmente rivelatore di questa sensibilità barocca. Nel teatro barocco, i fenomeni celesti erano spesso usati come metafore di sconvolgimenti terrestri. L’eclisse, in Roegiers, ci ricorda, come dice lui stesso, che “noi siamo solo un piccolo coriandolo in questo così grande universo”[8]. Questa consapevolezza della nostra insignificanza cosmica era proprio ciò che il teatro barocco cercava di risvegliare nei suoi spettatori.

La figura del disertore, che Roegiers rappresenta nel suo autoritratto, evoca quei personaggi del teatro barocco che, improvvisamente illuminati sulla natura illusoria del mondo, si ritrovano isolati nella loro lucidità. Come Sigismondo di Calderón che si chiede se la vita non sia altro che un sogno, il disertore di Roegiers appare disorientato dalla propria presa di coscienza.

Un altro aspetto dell’opera di Roegiers che risuona con l’estetica barocca è il suo interesse per le figure grottesche e ibride. Le creature fantastiche che popolano le sue tele, ereditate in parte da Bosch e Brueghel ma reinventate per la nostra epoca, ricordano i personaggi mostruosi che apparivano negli intermezzi comici delle tragedie barocche. Queste figure liminali incarnavano l’ambivalenza fondamentale del barocco, la sua fascinazione per i limiti e le trasgressioni.

Il teatro barocco era anche caratterizzato dal gusto per l’accumulazione e la saturazione visiva, un’estetica che Roegiers riprende a suo favore in composizioni abbondanti dove ogni centimetro quadrato della tela sembra vivo e significativo. Questa horror vacui, questa paura del vuoto che spinge a riempire tutto lo spazio disponibile, crea un effetto di stordimento simile a quello ricercato dai registi barocchi.

Ma ciò che distingue veramente Roegiers è che fa di questa estetica barocca non un fine in sé, ma un mezzo per parlare del nostro presente con un’urgenza implacabile. I suoi incendi non sono semplici effetti spettacolari, sono le manifestazioni visive delle crisi ecologiche che stiamo attraversando. I suoi personaggi mascherati non sono solo figure pittoresche, sono gli emblemi della nostra stessa incapacità collettiva di affrontare la realtà.

In questo senso, Roegiers realizza ciò che il miglior teatro barocco cercava di fare: utilizzare gli artifici più elaborati per confrontarci con le verità più essenziali. Come scriveva Jean Rousset, “il barocco fa dell’instabilità stessa un principio di organizzazione”[9], una descrizione che si applica perfettamente al modo in cui Roegiers struttura le sue narrazioni pittoriche.

C’è qualcosa di profondamente teatrale nel modo in cui Roegiers concepisce la pittura stessa. Per lui, come spiega, dipingere significa “esplorare un mondo che non esiste e dargli corpo”[10], una definizione che potrebbe valere altrettanto bene per l’arte del regista teatrale. Ogni quadro diventa una scena, ogni esposizione un atto in un’opera più vasta che si sviluppa nel corso degli anni.

Questa dimensione performativa è rafforzata dal fatto che Roegiers si mette letteralmente in scena in alcune sue opere. Il suo autoritratto da disertore non è senza ricordare quei momenti del teatro barocco in cui l’autore rompe la quarta parete per rivolgersi direttamente al pubblico, creando un effetto di distanziamento che paradossalmente rafforza l’impatto emotivo dell’opera.

Sono particolarmente colpito dal modo in cui Roegiers usa l’umorismo nelle sue composizioni più cupe, un altro tratto caratteristico del teatro barocco che amava intrecciare il comico e il tragico. I suoi cani sbandati che osservano con perplessità la parata umana introducono un elemento di commedia in un quadro altrimenti apocalittico. Questa giustapposizione crea una tensione emotiva complessa che anche il teatro barocco cercava.

Ciò che fa la forza dell’opera di Roegiers è che riattiva per la nostra epoca questa sensibilità barocca che fioriva proprio in periodi di crisi e incertezze simili ai nostri. Come scriveva Heinrich Wölfflin, “il barocco esprime non la perfezione e il compimento, ma il movimento e il divenire”[11], una descrizione che cattura perfettamente la natura dinamica e processuale del progetto narrativo di Roegiers.

Attraverso le sue tele infuocate e i suoi personaggi mascherati, Roegiers ci invita a riconoscere che forse viviamo noi stessi in una nuova era barocca, un’epoca in cui le certezze crollano, le apparenze ingannano, e il confine tra reale e illusorio diventa sempre più permeabile. La sua opera ci tende uno specchio teatrale in cui possiamo contemplare la nostra stessa parata assurda.

La prossima volta che vi troverete di fronte a una delle sue opere, non limitatevi ad ammirare la sua tecnica impeccabile o i suoi riferimenti storici. Lasciatevi piuttosto trasportare dal dramma visivo che si svolge davanti ai vostri occhi, accettate di essere allo stesso tempo sedotti e destabilizzati, come lo erano gli spettatori dei grandi spettacoli barocchi. Perché è proprio in questa tensione tra fascinazione e disagio che risiede la potenza sovversiva dell’arte di Roegiers.

In un mondo dell’arte contemporanea spesso ossessionato dalla decostruzione e dalla concettualizzazione eccessiva, Roegiers osa abbracciare la narrazione, lo spettacolo, l’emozione, non per offrirci un rifugio confortevole nella nostalgia, ma per confrontarci meglio con le contraddizioni e le crisi del nostro presente. In questo, non è solo l’erede dei grandi maestri fiamminghi, ma anche uno dei pittori più pertinenti della nostra epoca.

Mentre il nostro mondo si infiamma letteralmente e metaforicamente, abbiamo bisogno di artisti come Roegiers per porci davanti uno specchio teatrale in cui possiamo contemplare la nostra stessa assurdità collettiva. Perché come suggeriscono le sue tele enigmatiche e sfavillanti, forse l’unica risposta sensata di fronte all’apocalisse è continuare la nostra parata, ma pienamente consapevoli della sua natura fatuamente ridicola.


  1. Jean Rousset, La letteratura dell’età barocca in Francia, José Corti, 1954.
  2. Ibid.
  3. Pedro Calderón de la Barca, La vita è un sogno, 1635, trad. Bernard Sesé, Flammarion, 1992.
  4. Antoine Roegiers, citato nel dossier stampa della mostra “La brûlure de l’éveil”, Galerie Templon, Bruxelles, 2023.
  5. Eugenio d’Ors, Del Barocco, Gallimard, 1935, trad. Agathe Rouart-Valéry, 1968.
  6. Tirso de Molina, El vergonzoso en palacio, 1611, citato da Jean-Pierre Cavaillé in Barocs, Honoré Champion, 2019.
  7. Walter Benjamin, Origine del dramma barocco tedesco, 1928, trad. Sibylle Muller, Flammarion, 1985.
  8. Antoine Roegiers, citato nel dossier stampa della mostra “La grande parade”, Galerie Templon, Parigi, 2024.
  9. Jean Rousset, op. cit.
  10. Antoine Roegiers, citato nel dossier stampa della mostra “La bruciatura del risveglio”, Galerie Templon, Bruxelles, 2023.
  11. Heinrich Wölfflin, Rinascimento e Barocco, 1888, trad. Guy Ballangé, Gérard Monfort, 1985.
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Riferimento/i

Antoine ROEGIERS (1980)
Nome: Antoine
Cognome: ROEGIERS
Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Belgio

Età: 45 anni (2025)

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