Ascoltatemi bene, banda di snob. Brian Donnelly, nato nel 1974 a Jersey City, noto come KAWS, è l’incarnazione stessa di ciò che l’arte contemporanea americana produce di più affascinante e al tempo stesso inquietante. Lasciate che vi dica perché questo tipo è un vero genio, anche se alcuni di voi preferiscono continuare a sorseggiare il loro champagne tiepido mentre guardano riproduzioni di Monet nei loro salotti climatizzati.
Mentre vi meravigliate davanti a opere consensuali, KAWS esplora da quasi 30 anni le profondità della nostra psiche collettiva con un’acuità che farebbe impallidire Jacques Lacan. Il suo lavoro non è una semplice appropriazione della cultura pop, è un’autopsia chirurgica del nostro rapporto con l’immagine, il desiderio e la morte. I suoi “Companions”, queste figure emblematiche con occhi a X, non sono semplici mascotte commerciali, ma memento mori per l’era digitale, vanità post-moderne che ci ricordano la nostra stessa finitudine in un mondo saturato di pixel.
Prendiamoci un momento per parlare della sua magistrale manipolazione dei codici visivi. KAWS comprende qualcosa che Theodor Adorno aveva già intuito: la cultura di massa non è nemica dell’arte, è il suo terreno più fertile. Quando trasforma Topolino in una creatura malinconica con orbite vuote, non si limita a riciclare un’icona, ma mette in scena una vera autopsia del nostro immaginario collettivo. È Roland Barthes in tre dimensioni, diamine! I suoi interventi su cartelloni pubblicitari negli anni ’90 non erano semplice vandalismo, ma una critica tagliente alla società dello spettacolo, degna delle migliori analisi di Guy Debord.
KAWS crea opere che funzionano simultaneamente come critica sociale e come oggetti del desiderio. È qui che la sua sensibilità artistica raggiunge vette vertiginose. Comprende, come pochi artisti prima di lui, che l’arte contemporanea non può più permettersi il lusso dell’isolamento elitario. E questo, banda di snob, faticherete a capirlo. Deve immergersi nel flusso costante di immagini e desideri che definiscono la nostra epoca. La sua collaborazione con i marchi non è una compromissione, è una strategia sofisticata che trasforma il capitalismo in medium artistico.
Parliamo anche del suo rapporto con lo spazio. Le sue sculture monumentali non sono semplici ingrandimenti delle sue figurine, rappresentano una riflessione profonda sul nostro rapporto con la scala in un mondo dove tutto è contemporaneamente miniaturizzato e smisurato. Quando una sua opera di 10 metri di altezza si erge nello spazio pubblico, non si limita ad occupare lo spazio, ma lo trasforma in una zona di tensione tra il familiare e l’inquietante, tra il commerciale e il sacro. È Gaston Bachelard sotto acidi, una poetica dello spazio rivista nell’era dei social network.
La sua padronanza tecnica è semplicemente stupefacente. Le transizioni cromatiche nelle sue opere, la precisione delle sue linee, il modo in cui gioca con le scale, tutto testimonia una profonda comprensione delle possibilità formali dell’arte contemporanea. C’è qualcosa di Gerhard Richter nel suo modo di manipolare la superficie pittorica, ma con una sensibilità decisamente radicata nel XXI secolo.
Ciò che mi affascina particolarmente è la sua capacità di creare opere che risuonano con un’autenticità rara nel mondo dell’arte contemporanea. Mentre molti artisti si limitano a riciclare formule consumate, KAWS crea un linguaggio visivo che parla direttamente alla nostra epoca. C’è una vera empatia nel suo lavoro, una profonda comprensione della solitudine e dell’alienazione che caratterizzano la nostra era digitale. I suoi personaggi, con i loro occhi a X, sono come specchi che ci riflettono il nostro smarrimento di fronte a un mondo sempre più disumanizzato.
Il modo in cui KAWS manipola i simboli della cultura popolare ricorda le analisi di Walter Benjamin sulla riproduzione meccanica dell’arte, ma va oltre. Non si limita a riprodurre, trasforma, sovverta, reinventa.
Il suo lavoro con la realtà aumentata è particolarmente affascinante. Utilizzando la tecnologia per creare opere che esistono solo nello spazio digitale, pone questioni fondamentali sulla natura dell’arte nell’era del virtuale. Jean Baudrillard avrebbe amato vedere come KAWS gioca con i simulacri e la simulazione, creando opere che esistono contemporaneamente ovunque e in nessun luogo. E ciò che fa non ha nulla a che vedere con i vostri NFT di scimmie acquistati con lingotti d’oro digitale.
La critica facile sarebbe dire che KAWS ha venduto la sua anima al mercato dell’arte e alle grandi marche. Ma è proprio qui che risiede il suo genio: usa i meccanismi del capitalismo come medium artistico, trasformando la mercificazione in commento sociale. C’è qualcosa di profondamente sovversivo nel suo modo di navigare tra cultura alta e cultura popolare, tra arte e commercio.
Le sue collaborazioni con i marchi non sono compromessi ma estensioni logiche della sua pratica artistica. Comprende che nel nostro mondo iperconnesso, l’arte non può più permettersi di restare nella sua torre d’avorio. Deve infiltrarsi in tutti gli aspetti della vita quotidiana, creare ponti tra diverse forme di espressione culturale.
Ciò che è davvero notevole in KAWS è la sua capacità di mantenere una coerenza artistica pur esplorando costantemente nuovi territori. Che lavori su una tela di 3 metri o su una figurina di 10 centimetri, il suo linguaggio visivo rimane immediatamente riconoscibile pur evolvendosi sottilmente. È questa tensione tra familiarità e innovazione che rende il suo lavoro così affascinante.
La sua pratica della collezione è anch’essa rivelatrice. Raccogliendo opere di artisti di art brut, tanto cari a Jean Dubuffet, dimostra una comprensione profonda della storia dell’arte che va ben oltre i canoni tradizionali. C’è qualcosa di profondamente democratico nel suo modo di approcciarsi all’arte, una volontà di rompere le gerarchie consolidate che ricorda le ambizioni delle avanguardie storiche. E sarei il peggiore a criticarlo su questo, perché, proprio come lui, l’art brut occupa un luogo essenziale nella mia vita. Chi colleziona Yuichiro Ukaï, questo giovane prodigio giapponese dal talento splendente, non può che essere una persona eccezionale.
È tempo di riconoscere KAWS per quello che è realmente: uno degli artisti più importanti della nostra epoca, qualcuno che comprende profondamente i meccanismi della nostra cultura visiva e sa usarli per creare opere che ci colpiscono, ci provocano e ci fanno riflettere. Il suo lavoro non è una semplice critica della società di consumo, ma una mappatura complessa della nostra psiche collettiva nell’era digitale.
Lasciate che vi dica questo: mentre alcuni continuano a piangere la morte dell’arte contemporanea, KAWS ci mostra che è ben vivo, che pulsa al ritmo della nostra epoca, che parla il nostro linguaggio pur trasformandolo. È tempo di smettere di snobbare il suo lavoro e riconoscere il suo contributo fondamentale all’arte del XXI secolo. E se non siete ancora convinti, forse siete troppo occupati ad ammirare i vostri riflessi nelle vostre flûte da champagne per vedere ciò che conta veramente nel mondo oggi.
















