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Martedì 18 Novembre

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La geometria sentimentale di KYNE

Pubblicato il: 2 Aprile 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

L’economia di mezzi che caratterizza KYNE non è solo una scelta estetica, ma una posizione etica in un mondo saturo di immagini superflue. Ci mostra che è possibile dire molto con poco, creare una presenza forte con un intervento minimo.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Esiste a Fukuoka un artista che ridefinisce la femminilità contemporanea attraverso un’economia di linee così precisa da diventare quasi matematica. KYNE, questo nome che risuona ormai ben oltre il suo Giappone natale, si impone come l’architetto di una nuova iconografia femminile, radicata nella tradizione pittorica nipponica e spinta dalle pulsazioni frenetiche della cultura urbana.

Questo artista, che ha iniziato la sua carriera nella sua città natale intorno al 2006, ha sviluppato uno stile di singolare eccentricità. Le sue donne dallo sguardo enigmatico, incastonate in una malinconia urbana, ci fissano con un’intensità che sfida ogni interpretazione univoca. Si potrebbero passare ore a cercare in quei volti il significato nascosto di un’espressione che sfugge a qualsiasi tentativo di definizione. Proprio qui risiede la forza della sua opera: nella capacità di creare un vuoto narrativo che lo spettatore è invitato a colmare.

La traiettoria di KYNE è affascinante. Formatosi nella pittura tradizionale giapponese all’università, si è immerso contemporaneamente nella cultura dei graffiti, navigando tra accademismo e street art. Questa doppia influenza costituisce la spina dorsale della sua identità artistica. Le sue figure femminili monocrome, dai tratti essenziali, attingono tanto alle tecniche secolari del Nihonga quanto alle espressioni effimere dei graffiti urbani. Questa ibridazione culturale crea una tensione visiva che cattura immediatamente l’attenzione.

Ciò che colpisce nell’opera di KYNE è il modo in cui ha saputo trasformare l’estetica della cultura pop degli anni ’80 in un vero e proprio approccio concettuale. La stilizzazione estrema dei volti che rappresenta richiama le illustrazioni delle copertine di dischi di quel periodo, ma è trascendentale grazie a un approccio minimalista che li radica decisamente nella nostra contemporaneità.

Per comprendere KYNE, bisogna collocarlo nella tradizione degli artisti che hanno esplorato la geometria delle emozioni. Si pensa immediatamente a Giorgio Morandi, questo maestro italiano delle nature morte, la cui ricerca di purificazione formale risuona stranamente con il lavoro del giapponese. Morandi, con le sue composizioni di oggetti quotidiani ridotti alla loro espressione più semplice, cercava una sorta di silenzio visivo, uno spazio dove la contemplazione diventasse possibile [1]. KYNE porta avanti questa stessa ricerca, ma applicandola al volto umano, e più particolarmente a quello femminile.

La geometria morandiana, fatta di volumi semplici e relazioni spaziali misurate, trova il suo eco nel modo in cui KYNE costruisce i suoi ritratti. Ogni linea è calcolata, ogni curva pensata per creare un equilibrio visivo che sembra sospeso nel tempo. I volti che disegna esistono in uno spazio pittorico autonomo, distaccato dalle contingenze del reale, proprio come le bottiglie e i vasi di Morandi sembrano fluttuare in un universo parallelo.

Questa ricerca di un assoluto formale non è senza richiamare le parole dello stesso Morandi, che affermava: “Credo che nulla possa essere più astratto, più irreale, di ciò che vediamo realmente.” [2] Questa frase potrebbe applicarsi perfettamente al lavoro di KYNE, che estrae dalla realtà osservabile sagome femminili per trasformarle in segni grafici quasi astratti.

I volti di KYNE, come le nature morte di Morandi, sono oggetti di meditazione visiva. Ci invitano a contemplare il sottile confine tra figurazione e astrazione, tra presenza e assenza. Sono superfici su cui il nostro sguardo può posarsi, soffermarsi, e infine perdersi in una contemplazione che trascende l’immagine stessa.

Questo approccio artistico si inserisce anche in una riflessione più ampia sulla rappresentazione femminile nell’arte contemporanea. In un’epoca saturata da immagini ipersessualizzate o, al contrario, deliberatamente politicizzate, KYNE propone un’alternativa affascinante: volti femminili che non raccontano nulla di esplicito, ma che contengono tutte le storie possibili.

Lo stesso artista ha dichiarato in un’intervista: “Non cerco di rappresentare un’emozione particolare. Preferisco che lo spettatore possa proiettare i propri sentimenti ogni volta che guarda l’opera.” Proprio questa assenza volontaria di un’emozione definita crea uno spazio di appropriazione per l’osservatore. Le donne di KYNE, al di là della loro apparente freddezza, diventano ricettacoli emozionali universali.

Se l’influenza di Morandi si percepisce nell’approccio formale di KYNE, è dal lato della sociologia che bisogna volgere lo sguardo per comprendere appieno le implicazioni del suo lavoro. Le sagome femminili che disegna sono il prodotto di una società giapponese in mutazione, divisa tra tradizione e modernità, tra collettivismo e individualismo.

Il sociologo francese Pierre Bourdieu, nella sua analisi dei meccanismi di distinzione sociale, ha mostrato come i gusti estetici e le pratiche culturali siano intimamente legati alla nostra posizione nella società [3]. Questa griglia di lettura è particolarmente pertinente per comprendere il successo di KYNE, le cui opere circolano sia nel mondo elitario delle gallerie d’arte sia in quello, più democratico, delle collaborazioni con marchi di streetwear.

Le donne di KYNE, con il loro aspetto al contempo accessibile e misterioso, funzionano come segni di riconoscimento sociale in un mercato dell’arte globalizzato. Possedere un’opera di KYNE significa mostrare la propria appartenenza a una comunità estetica transnazionale, aggiornata sulle ultime tendenze artistiche asiatiche. Questo è ciò che Bourdieu avrebbe identificato come una forma di “capitale culturale”, un segno di distinzione sociale nel campo culturale contemporaneo.

Bourdieu scriveva che “il gusto classifica e classifica chi classifica” [4]. Gli ammiratori di KYNE, scegliendo di apprezzare la sua estetica essenziale e i suoi riferimenti culturali ibridi, si collocano essi stessi in una categoria di amanti dell’arte cosmopoliti, capaci di decifrare le sottigliezze di un’opera che miscela influenze orientali e occidentali, tradizionali e urbane.

Questa dimensione sociologica del lavoro di KYNE è indissolubilmente legata al suo contesto di emergenza. Il Giappone contemporaneo, con le sue contraddizioni e tensioni identitarie, costituisce il terreno fertile in cui un’opera così singolare ha potuto fiorire. I volti femminili che disegna sono testimoni silenziosi di una società in cerca di equilibrio tra rispetto delle tradizioni e desiderio di innovazione.

Ciò che colpisce particolarmente in KYNE è la sua capacità di trasformare la cultura pop degli anni ’80 in un linguaggio visivo al contempo nostalgico e decisamente contemporaneo. I suoi riferimenti alle copertine di dischi e alle riviste di quel periodo non sono semplici citazioni, ma una vera e propria rielaborazione critica che interroga il nostro rapporto con il passato recente.

In un mondo dove tutto procede troppo velocemente, dove le immagini si susseguono a ritmo frenetico sui nostri schermi, i volti sospesi di KYNE impongono una pausa, un momento di fermo contemplativo. Ci ricordano che l’arte può ancora offrirci esperienze di tempo dilatato, in cui l’incontro con un’opera si prolunga in una durata che sfugge all’accelerazione generalizzata delle nostre vite.

L’economia di mezzi che l’artista dimostra, con l’uso minimale di linee e palette cromatiche ristrette, non è solo una scelta estetica, ma anche una posizione etica in un mondo saturo di immagini superflue. KYNE ci mostra che è possibile dire molto con poco, creare una presenza forte con un intervento minimo.

Questo approccio trova un’eco particolare nella nostra epoca di sovraconsumo visivo. Nel flusso incessante di immagini che ci assalgono quotidianamente, le silhouette femminili di KYNE si distinguono per la loro semplicità consapevole. Sono come isolotti di calma nell’oceano tumultuoso della nostra cultura visiva.

La collaborazione dell’artista con Takashi Murakami, figura imprescindibile dell’arte contemporanea giapponese, ha ulteriormente accentuato la sua visibilità internazionale. Ma, a differenza di Murakami, la cui opera gioca deliberatamente con i codici dell’eccesso visivo, KYNE rimane fedele a un’estetica della sobrietà. Le sue donne dallo sguardo enigmatico resistono alla tentazione dello spettacolare per inserirsi meglio nella durata.

Forse è qui che risiede la vera forza di KYNE: nella capacità di creare immagini che, nonostante la loro apparente semplicità, non si esauriscono mai alla vista. Si possono contemplare i suoi volti femminili per ore senza mai stancarsi, tanto sembrano contenere moltitudini sotto la loro superficie liscia.

L’arte di KYNE è un invito a rallentare, a prendersi il tempo di vedere davvero. In un mondo dove l’attenzione è diventata la merce più rara, le sue opere ci offrono uno spazio di concentrazione, un luogo dove il nostro sguardo può finalmente posarsi senza essere immediatamente sollecitato altrove.

Non posso fare a meno di pensare che questi volti femminili, nel loro eloquente silenzio, siano anche specchi tesi alla nostra epoca turbata. Ci riflettono la nostra stessa ricerca d’identità, il nostro desiderio di definirci in un mondo dove i riferimenti tradizionali si sgretolano. Le donne di KYNE sono allo stesso tempo persone particolari e potenzialmente tutti, superfici di proiezione per i nostri desideri, le nostre paure e le nostre speranze.

L’artista ha compiuto questo prodigio: creare un’opera immediatamente riconoscibile senza mai cadere nella facilità della formula ripetitiva. Ognuno dei suoi ritratti è unico, abitato da una presenza singolare, pur inserendosi in una coerenza stilistica che costituisce la sua firma.

KYNE ci ricorda che l’arte non ha bisogno di essere appariscente per essere potente. Nel silenzio visivo delle sue composizioni, nell’economia raffinata delle sue linee, si dispiega un universo di infinita ricchezza. Un mondo in cui la contemplazione torna possibile, dove lo sguardo può finalmente posarsi e trovare senso nella semplicità.

Allora, banda di snob, la prossima volta che incrociate un volto di KYNE, prendetevi il tempo di fermarvi davvero. Guardate oltre l’evidenza formale, immergetevi in quegli occhi che non dicono nulla e tutto allo stesso tempo. Troverete forse un frammento di voi stessi, una piccola parte di quell’umanità comune che l’artista giapponese coglie magistralmente nella geometria sensibile dei suoi ritratti.

Ecco tutto il paradosso e tutta la bellezza dell’opera di KYNE: in quei volti che sono solo assemblaggi di linee, riconosciamo la nostra condizione umana, la nostra personale ricerca d’identità in un mondo in perenne mutamento. E proprio perché non ci dicono cosa pensare o cosa sentire, ci toccano così profondamente.


  1. Bandera, M. C., & Miracco, R. (2008). Giorgio Morandi 1890-1964. Milano: Skira.
  2. Wilkin, K. (1997). Giorgio Morandi: Works, Writings, Interviews. Barcellona: Ediciones Polígrafa.
  3. Bourdieu, P. (1979). La Distinction. Critique sociale du jugement. Parigi: Éditions de Minuit.
  4. Ibid.
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Riferimento/i

KYNE (1988)
Nome:
Cognome: KYNE
Altri nome/i:

  • キネ (Giapponese)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Giappone

Età: 37 anni (2025)

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