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Lao Lianben e la poetica dell’oscurità

Pubblicato il: 11 Aprile 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

Le opere di Lao Lianben ci trasportano in un presente ancestrale, quella temporalità paradossale in cui passato e futuro si incontrano. Le sue composizioni monocrome creano un ritmo visivo che sospende il tempo, collocandoci in un limbo dove la materia diventa meditazione.

Ascoltatemi bene, banda di snob, se credete di aver visto tutto nel mondo dell’arte contemporanea asiatica, vi sbagliate. Lao Lianben, questo artista filippino nato nel 1948, vi darà uno schiaffo visivo da cui non vi riprenderete tanto presto. Sì, lo so, siete lì, ai vostri vernissage chic a far finta di capire l’arte astratta mentre non sapete nemmeno distinguere un Rothko da un Newman. Ma Lao Lianben, lui, trascende tutte queste frivolezze pretenziose.

Quando ho scoperto le sue opere monocrome, ho pensato subito: “Un altro di quei minimalisti che fanno i zen”. E poi, la magia ha operato. Una magia senza artifici, senza esibizioni, un’alchimia sottile tra materia e meditazione. Perché dove tanti artisti contemporanei si agitano per attirare l’attenzione, Lao Lianben ci invita al silenzio. Un silenzio assordante.

Formatosi all’Università dell’Est con una laurea in Belle Arti, Lianben è diventato una figura imprescindibile dell’arte filippina. Dalla sua prima mostra personale alla Solidaridad Galleries nel 1973, ha tracciato un percorso singolare, introducendo l’uso di oggetti trovati e materiali indigenei nei suoi assemblaggi, un approccio innovativo che gli ha valso numerosi riconoscimenti.

Ciò che colpisce immediatamente nelle opere di Lao Lianben è questa tensione costante tra il visibile e l’invisibile, tra ciò che viene mostrato e ciò che viene suggerito. Le sue composizioni, spesso dominate da neri profondi o grigi sfumati, rivelano una comprensione profonda della filosofia orientale, in particolare del buddhismo zen. Ma attenzione, non è un artista che si limita a riciclare cliché spirituali per turisti in cerca di esotismo.

L’opera di Lao Lianben si inscrive in una tradizione pittorica che risale alla dinastia Song meridionale in Cina. È particolarmente influenzato da Mu Qi (牧谿), monaco buddhista zen del XIII secolo, noto per i suoi dipinti ad inchiostro che catturano l’essenza stessa dei soggetti rappresentati. In “Table with Muchi (Mu Qi)”, Lao Lianben rende omaggio a questo maestro evocando il suo celebre dipinto di cachi, dove i frutti sembrano fluttuare nello spazio pittorico. Questo riferimento non è casuale: radica Lianben in una linea artistica che privilegia l’intuizione e la spontaneità sulla tecnica accademica [1].

Giorgio Agamben, filosofo italiano contemporaneo, propone una riflessione pertinente per comprendere l’opera di Lao Lianben. In “Che cos’è il contemporaneo?”, Agamben scrive: “Il contemporaneo è colui che fissa lo sguardo sul suo tempo per percepirne non le luci, ma l’oscurità” [2]. Questo pensiero risuona particolarmente con le tele scure di Lao Lianben, dove l’oscurità non è assenza ma presenza, densa e carica di significati. Le sue opere ci invitano a percepire questa oscurità, questa parte d’ombra della nostra epoca che preferiremmo ignorare.

Il modo in cui Lao Lianben lavora la superficie delle sue tele ricorda ciò che Agamben chiama “l’archeologia filosofica”, quel metodo che consiste nello scavare gli strati del presente per scoprirne le tracce del passato. Ogni strato di pittura, ogni texture creata da Lianben è come una stratificazione temporale, testimonianza di un gesto, di un’intenzione, di un momento. In “Soot” (Fuliggine), le molteplici striature creano uno spazio negativo che evoca una foresta di bambù, ma anche il racconto di una memoria collettiva, di un sapere trasmesso attraverso i secoli.

Agamben ci dice anche che “essere contemporanei significa tornare a un presente in cui non siamo mai stati” [3]. Le opere di Lao Lianben ci trasportano proprio in questo presente ancestrale, in questa temporalità paradossale dove passato e futuro si incontrano. Le sue opere come “Monk’s Dream” (Il sogno del monaco), con le sue 239 ciotole per l’elemosina ripetute, creano un ritmo visivo che sospende il tempo, collocandoci in questo fra-tempo di cui parla Agamben.

Ma non vi ingannate: Lao Lianben non è un mistico disconnesso dal mondo reale. Il suo lavoro si inscrive anche in una riflessione sulla materialità e sull’impatto ecologico della nostra civiltà. Prendiamo “Voices” (Voci), dove 182 lampade di burro sono disposte a formazione mandala sotto uno strato di cera trasparente gelificata. Quest’opera evoca le pratiche rituali tibetane, ma anche il nostro rapporto contemporaneo con il consumo energetico e la luce artificiale. Lao Lianben trasforma così un gesto tradizionale in un commento sottile sul nostro rapporto con il mondo materiale.

La filosofia di Agamben ci aiuta a comprendere questa dimensione critica dell’opera di Lao Lianben. Per il filosofo italiano, “il contemporaneo è colui che, attraverso la divisione e l’interpolazione del tempo, è in grado di trasformarlo e di metterlo in relazione con altri tempi” [4]. È esattamente ciò che fa Lao Lianben quando giustappone tecniche tradizionali e materiali moderni, quando dialoga con Mu Qi attraverso i secoli.

In “Buddhist Television” (Televisione Buddhista), Lao Lianben gioca con le parole per creare un ponte tra antica spiritualità e tecnologie moderne. Questo gioco di parole illustra perfettamente ciò che intende per “primo ordine” di articolazione e innovazione nell’arte. Vi è qui una critica implicita alla nostra società dello spettacolo, dove anche la spiritualità diventa un prodotto mediatico. Ma questa critica non è mai didattica o moralizzatrice, si esprime attraverso l’umorismo e la poesia visiva.

La serie “Sense of Light” (Senso della Luce) mostra come Lao Lianben trasforma materiali ordinari, come corde di abaca accuratamente arrotolate e inchiodate alla superficie della tela, in meditazioni visive sulla natura della percezione. Queste opere risuonano con il pensiero di Agamben sui dispositivi: “Chiamo dispositivo tutto ciò che ha, in un modo o nell’altro, la capacità di catturare, orientare, determinare, intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli esseri viventi” [5]. Le corde di Lao Lianben, organizzate in una griglia, diventano così un dispositivo che cattura il nostro sguardo e orienta la nostra percezione.

La questione del tempo attraversa tutta l’opera di Lao Lianben, così come attraversa il pensiero di Agamben. In “Table with 13 stones” (Tavolo con 13 pietre), l’artista rappresenta letteralmente tredici pietre allineate su un tavolo. Quest’opera apparentemente semplice è in realtà un commento sull’epistemologia digitale e sul senso. Lao Lianben, che aveva incorporato vere pietre nelle sue opere precedenti, le rappresenta qui in modo mimetico, creando così una distanza riflessiva con la propria pratica. Questa autoriferimento ricorda ciò che Agamben chiama “il gesto”, quella dimensione dell’azione umana che non è né un mezzo verso un fine, né un fine in sé, ma la pura medialità, l’esposizione di un mezzo come tale.

Ciò che amo di Lao Lianben è il suo modo di lavorare la materia. L’artista è un vero alchimista della texture. Le sue superfici sono come pelli viventi, che respirano, sudano, invecchiano. In “Monk’s House” (La Casa del Monaco), trasforma centinaia di bastoncini d’incenso bruciati in una struttura architettonica sorprendente, sormontata da un tetto decorativo ispirato ai mokoshi (piani sporgenti) dei templi buddhisti. Quest’opera, l’unica completamente nera, crea un contrasto sorprendente con altri pezzi dell’artista.

L’oscurità in Lao Lianben non è mai semplicemente decorativa. Fa riferimento agli insegnamenti del lama tibetano Tachen Rinpoche, che parla dei due tipi di oscurità che velano i nostri occhi ordinari: l’oscurità delle emozioni grossolane e perturbanti, e l’oscurità delle abitudini inconsce. L’incenso, nella tradizione buddhista, aiuta a dissipare “l’oscurità personale” e a coltivare la saggezza chiara. L’opera di Lao Lianben diventa così una metafora visiva di questo processo di illuminazione spirituale.

Ciò che è straordinario in Lao Lianben è la sua capacità di creare opere che funzionano simultaneamente su più livelli: estetico, filosofico, spirituale, critico. Egli fonde le tecniche per creare un’immediatezza che evoca direttamente l’immaginazione personale, piuttosto che un riferimento analitico a uno stile particolare. Questo è ciò che chiamo arte che ti prende alla pancia senza passare per il cervello. Arte che ti fa sentire prima di farti pensare. Eppure il pensiero arriva, inevitabile, come il riflusso dopo l’onda.

Dopo diverse decadi, Lao Lianben continua a creare opere che sfidano le nostre aspettative. La sua serie “Sense of Light” fa parte di un continuum, ma esiste anche indipendentemente, libera dal peso dell’identità dell’artista e del suo passato. È questa libertà che trovo così rinfrescante in lui. In un mondo dell’arte dove tutti cercano disperatamente di costruirsi un “marchio”, Lao Lianben si limita a seguire il suo percorso interiore, fedele alla sua visione.

Per citare un’ultima volta Agamben: “La via d’accesso al presente ha necessariamente la forma di un’archeologia” [6]. L’opera di Lao Lianben è proprio questa archeologia del presente, questo sforzo per dissotterrare il significato sepolto sotto gli strati della nostra cultura visiva saturata. Ci ricorda che l’arte vera non è nello spettacolare o nell’ostentativo, ma in questa minuziosa attenzione rivolta a ciò che, ordinariamente, ci sfugge.

Quindi, se volete davvero impressionare i vostri amici al prossimo ricevimento mondano, dimenticate le ultime tendenze di Art Basel e immergetevi nell’universo di Lao Lianben. La sua opera vi ricorderà perché avete iniziato ad amare l’arte in primo luogo, non per il suo prestigio sociale o il suo valore commerciale, ma per la sua capacità di farci vedere il mondo in modo differente, di connetterci a qualcosa di più grande di noi stessi.

E se questo non è ciò che l’arte dovrebbe fare, allora non so cos’altro dovrebbe fare.


  1. Aman Santos, “Unmediated”, catalogo della mostra “Sense of Light”, Taipei, Michael Ku Gallery, 2016.
  2. Giorgio Agamben, “Che cos’è il contemporaneo?”, tradotto da Maxime Rovere, Parigi, Payot & Rivages, 2008.
  3. Ibid.
  4. Ibid.
  5. Giorgio Agamben, “Che cos’è un dispositivo?”, tradotto da Martin Rueff, Parigi, Payot & Rivages, 2007.
  6. Giorgio Agamben, “Che cos’è il contemporaneo?”, op. cit.
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Riferimento/i

LAO Lianben (1948)
Nome: Lianben
Cognome: LAO
Altri nome/i:

  • 刘安民 (Cinese semplificato)
  • 号施纶 (Cinese semplificato)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Filippine

Età: 77 anni (2025)

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