English | Italiano

Martedì 18 Novembre

ArtCritic favicon

Le aurore acquatiche di Marina Perez Simão

Pubblicato il: 1 Marzo 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

Marina Perez Simão cattura nelle sue tele questa tensione permanente tra controllo e abbandono. I suoi paesaggi impossibili sono campi di battaglia dove le nostre certezze percettive si dissolvono come la nebbia mattutina, invitandoci a un’esperienza sensoriale totale che trascende le categorie facili.

Ascoltatemi bene, banda di snob, ho una pittrice da presentarvi che vi scuoterà dalla vostra torpore estetica. Marina Perez Simão non è semplicemente un’artista brasiliana, è una navigatrice cosmica che ci guida attraverso i confini incerti della percezione. Nei suoi dipinti, questa donna straordinaria cattura l’essenza stessa di quel momento in cui il giorno abbraccia la notte, in cui il sogno si confonde con la realtà.

Quando osservo le sue opere, mi sento come Ulisse di fronte alle sirene dell’astrazione, attratto da quegli orizzonti multipli che si sovrappongono in un balletto cromatico vertiginoso. Le composizioni di Simão non sono semplici evocazioni paesaggistiche, ma cartografie mentali in cui ogni strato colorato corrisponde a uno stato di coscienza. L’ambiguità regna sovrana nel suo universo pittorico, ed è proprio questa indeterminatezza che costituisce la sua forza.

La fenomenologia di Merleau-Ponty ci insegna che la percezione non è mai un atto passivo, ma una costruzione attiva in cui corpo e mente si intrecciano per dare senso al mondo. “Il visibile e l’invisibile” si toccano continuamente nell’esperienza sensoriale, ed è esattamente ciò che Simão ci offre nelle sue composizioni. I suoi paesaggi impossibili sono campi di battaglia in cui le nostre certezze percettive si dissolvono come la nebbia mattutina sulle colline di Minas Gerais. “L’occhio non è sensibile solo a ciò che è visibile, ma a ciò che lo rende visibile”, scriveva Merleau-Ponty [1], e le tele di Marina Perez Simão incarnano perfettamente questa dialettica in cui lo spettatore partecipa attivamente all’emergere del senso.

Prendiamo l’esempio della sua mostra “Zwielicht” alla G2 Kunsthalle di Lipsia nel 2024. Questi dipinti enormi, con i loro movimenti fluidi e i loro colori incandescente, non rappresentano tanto luoghi quanto transizioni tra diversi stati di coscienza. L’artista ci immerge in un limbo crepuscolare, un intervallo in cui i contorni del reale si dissolvono per lasciare spazio a visioni interiori. Non è un caso che “Zwielicht” significhi “tra cane e lupo” in tedesco, quel momento fugace in cui la luce cambia e trasforma la nostra percezione del mondo.

Se la fenomenologia ci offre una griglia di lettura per comprendere l’opera di Simão, la poesia di Fernando Pessoa ci permette di coglierne la dimensione esistenziale. L’eteronimia del poeta portoghese, questa capacità di frammentarsi in molteplici personalità creative, trova un’eco sorprendente nei paesaggi ibridi dell’artista brasiliana. Proprio come Pessoa scriveva sotto diversi eteronimi per esplorare varie sfaccettature dell’esperienza umana, Simão moltiplica i punti di vista e gli orizzonti nelle sue composizioni.

Nel suo poema “Autopsicografia”, Pessoa afferma che “il poeta è un simulatore” che “simula così completamente che finisce per simulare il dolore che realmente prova” [2]. Questa mise en abyme dell’esperienza soggettiva risuona profondamente con l’approccio di Simão, che ci invita a navigare tra diverse stratificazioni di realtà. I suoi dipinti sono simulazioni visive che, paradossalmente, ci ricollegano a sensazioni autentiche, lo stupore davanti a un tramonto, il vertigine davanti all’immensità di un paesaggio, la malinconia di un crepuscolo.

Durante la sua mostra “Onda” alla Pace Gallery di Londra nel 2022, Marina Perez Simão ha presentato una serie di polittici dove le forme organiche sembravano proseguire da un pannello all’altro, creando così un racconto visivo frammentato ma coerente. Questa struttura narrativa frammentata non può non ricordare il “Libro dell’inquietudine” di Pessoa, quest’opera-fiume composta da frammenti che, insieme, dipingono il ritratto di una coscienza in perpetuo movimento. “Sono un frammento di un io di cui non conosco la totalità”, avrebbe potuto scrivere Bernardo Soares, l’eteronimo di Pessoa, contemplando questi quadri in cui l’unità nasce dalla frammentazione.

La forza di Marina Perez Simão risiede nella sua capacità di trasformare l’esperienza del paesaggio in un’esplorazione interiore. Le ondulazioni sensuali delle sue composizioni non sono semplici rappresentazioni di colline o onde, ma metafore visive dei nostri stati d’animo mutevoli. Come ha confidato in un’intervista: “Rompo la composizione per creare un cambiamento di stato, una promessa di qualcosa al di là del quadro.” Questa promessa di un aldilà, di un superamento dei limiti del visibile, è al centro del suo approccio artistico.

L’artista non lavora mai quando è triste, questa è una confessione che merita attenzione! Contrariamente al mito romantico del genio tormentato, Simão rivendica la gioia come condizione necessaria alla creazione. “Devo sentirmi bene per stare nello studio”, dice. Questa etica della felicità creativa si traduce nelle sue tele in una luminosità particolare, una vibrazione cromatica che ci strappa dalla nostra quotidiana malinconia. I suoi paesaggi astratti sono macchine per produrre gioia visiva, dispositivi ottici che stimolano i nostri neuroni assetati di bellezza.

La formazione di Simão all’École des Beaux-Arts di Parigi ha sicuramente influenzato la sua tecnica pittorica, ma è nel dialogo con il paesaggio brasiliano che ha forgiato il suo linguaggio visivo unico. I colori vibranti dei suoi quadri, questi arancioni incandescenti, questi blu profondi, questi violetti crepuscolari, evocano i contrasti sorprendenti della natura brasiliana. “Tutto è troppo”, dice a proposito del suo paese natale, dove le tempeste sorgono improvvisamente, dove la luce trasforma radicalmente il paesaggio a seconda dell’ora del giorno.

Ciò che colpisce nell’opera di Marina Perez Simão è questa tensione costante tra controllo e abbandono. Ogni quadro è meticolosamente preparato attraverso una serie di acquerelli e schizzi, ma l’artista preserva sempre una parte di improvvisazione nell’esecuzione finale. “Non mi piace troppo esitare nella pittura”, afferma, “mi piace il gesto diretto.” Questa fluidità gestuale conferisce alle sue composizioni una qualità quasi musicale, come se ogni colore fosse una nota in una sinfonia visiva.

A coloro che vorrebbero ridurre il suo lavoro a una semplice variazione sull’astrazione paesaggistica, rispondo: aprite bene gli occhi! L’arte di Simão trascende le categorie facili e ci invita a un’esperienza sensoriale totale. I suoi quadri non sono finestre sul mondo, ma specchi della nostra interiorità, portali verso dimensioni parallele dove le leggi della fisica sono sospese.

La critica Hettie Judah ha giustamente osservato che nei polittici di Simão, “succede qualcosa di interessante nello spazio tra i pannelli”. Questi interstizi, quei pochi centimetri di muro bianco che punteggiano le sue opere, diventano spazi di proiezione per la nostra immaginazione. Cosa succede in queste rotture? Un intervallo di tempo? Un movimento nello spazio? Queste domande senza risposta definitiva fanno parte integrante dell’esperienza estetica che ci propone l’artista.

L’approccio di Simão si inserisce in una tradizione di artiste che hanno esplorato i confini tra astrazione e figurazione, da Georgia O’Keeffe a Helen Frankenthaler passando per Tarsila do Amaral. Ma lei apporta a questa tradizione una sensibilità contemporanea, impregnata dalle urgenze ecologiche del nostro tempo. I suoi paesaggi chimerei possono essere letti come visioni post-apocalittiche, mondi alternativi in cui la natura avrebbe ripreso i suoi diritti dopo la catastrofe antropocenica.

Non pensate che Marina Perez Simão sia un’artista ingenua che si limita a produrre belle immagini. Il suo lavoro è profondamente ancorato a una riflessione sulle possibilità e i limiti della pittura nell’era digitale. In un mondo saturo di immagini virtuali, le sue tele affermano la presenza irriducibile della materia pittorica, l’importanza del gesto e del corpo nell’atto creativo.

Quando parla del suo processo creativo, Simão evoca quella sensazione di “ignoranza” che cerca: “Devo sorprendermi da sola. Devo avere questa sensazione di ignoranza: Cos’è? Dove è?” Questa posizione di stupore filosofico, questo costante interrogarsi di fronte al visibile, è al cuore del suo approccio. La pittrice non ci offre risposte, ma spazi di contemplazione attiva dove le nostre certezze si dissolvono.

Cosa dire della sua tecnica? Gli strati di pittura si accumulano sulla tela come stratificazioni geologiche, creando una profondità che invita lo sguardo a immergersi nella superficie. I contrasti di materia, tra zone lisce e impasti, tra trasparenza e opacità, aggiungono una dimensione tattile all’esperienza visiva. Si ha voglia di accarezzare queste tele come si toccherebbe un paesaggio sognato.

C’è qualcosa di profondamente liberatorio nell’arte di Marina Perez Simão. Confondendo i confini tra interno ed esterno, tra reale e immaginario, ci ricorda che la nostra percezione del mondo è sempre una costruzione soggettiva, un processo creativo in sé. I suoi dipinti sono inviti a esplorare i nostri paesaggi interiori, a perderci nei meandri della nostra coscienza.

La prossima volta che vi troverete davanti a una tela di Simão, prendetevi il tempo di abbandonarvici completamente. Lasciate vagare i vostri occhi tra gli strati colorati, perdetevi nelle ondulazioni sensuali delle sue composizioni, respirate al ritmo dei suoi contrasti cromatici. L’arte non è fatta per essere compresa, ma per essere vissuta, e poche artiste contemporanee ci offrono un’esperienza così intensa come Marina Perez Simão.

Non siate quegli spettatori frivoli che passano davanti ai dipinti in cerca di una soddisfazione immediata. Siate piuttosto quei viaggiatori intrepidi pronti ad imbarcarsi per una traversata verso l’ignoto. Perché è proprio di questo che si tratta con l’opera di Simão: un invito al viaggio, non verso terre lontane, ma verso i territori inesplorati della nostra stessa sensibilità.

E se non siete in grado di una tale apertura, se preferite aggrapparvi alle vostre certezze estetiche, allora pazienza per voi! Perderete una delle esperienze visive più esaltanti che l’arte contemporanea ha da offrire. Marina Perez Simão non ha bisogno della vostra approvazione, le sue tele continueranno a brillare ben oltre il momento in cui i vostri giudizi affrettati saranno dimenticati.


  1. Merleau-Ponty, Maurice. “Il visibile e l’invisibile”, Éditions Gallimard, Parigi, 1964.
  2. Pessoa, Fernando. “Autopsicografia” in “Poesie di Fernando Pessoa”, Christian Bourgois éditore, Parigi, 2001.
Was this helpful?
0/400

Riferimento/i

Marina PEREZ SIMAO (1980)
Nome: Marina
Cognome: PEREZ SIMAO
Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Brasile

Età: 45 anni (2025)

Seguimi