Ascoltatemi bene, banda di snob, mentre vi parlo di Louise Giovanelli, nata nel 1993 a Londra, che ridefinisce i codici della pittura contemporanea con un’audacia che fa tremare il piccolo mondo dell’arte contemporanea. Questa artista britannica, formatasi alla Manchester School of Art e alla prestigiosa Städelschule di Francoforte sotto la guida di Amy Sillman, non sta semplicemente dipingendo quadri. No, sta creando una nuova forma di sacralità visiva che trascende i confini tradizionali tra cultura popolare e alta cultura.
La sua tecnica pittorica è un vero e proprio capolavoro che merita di essere approfondito. Ereditata dai maestri fiamminghi come Jan van Eyck e Rogier van der Weyden, consiste nel sovrapporre meticolosamente strati di pittura a olio ultra-pigmentata, creando così una luminosità che sembra emanare dall’interno stesso della tela. Questo approccio metodico richiama le osservazioni di Walter Benjamin sull’aura dell’opera d’arte. Ma dove Benjamin vedeva una perdita inesorabile dell’aura nell’epoca della riproduzione meccanica, Giovanelli riesce nell’impossibile: crea una nuova forma di sacralità a partire da immagini profane tratte dalla nostra cultura visiva saturata.
La sua serie di quadri “Orbiter” (2021) illustra perfettamente questa trasmutazione del profano in sacro. Prendendo come soggetto un semplice dettaglio del vestito con paillettes di Mariah Carey durante uno spettacolo natalizio, trasforma ciò che potrebbe essere considerato un momento banale della cultura pop in un’esperienza visiva trascendente. La superficie pittorica diventa un campo di battaglia affascinante tra la materialità della pittura e l’immaterialità della luce. Questo approccio richiama le teorie di Roland Barthes sulla fotografia in “La Camera Chiara”, dove sviluppa il concetto di punctum. In Giovanelli, ogni pennellata diventa un punctum potenziale, creando una tensione permanente tra il visibile e l’invisibile che costringe lo spettatore a rallentare il suo sguardo.
Le tende, motivo ricorrente nella sua opera recente, meritano di essere approfondite. Questi drappeggi monumentali, che possono raggiungere fino a 3 metri di altezza, non sono semplici elementi decorativi o esercizi di stile. Diventano portali metafisici, soglie tra diversi stati di coscienza. In “Prairie” (2022), un trittico spettacolare, le tende di un verde iridescente sono attraversate da fessure di luce gialla pura che creano una tensione drammatica palpabile. Questo uso della tenda come metafora esistenziale richiama le riflessioni di Gaston Bachelard in “La Poetica dello Spazio” sulle dialettiche del dentro e del fuori. La tenda di Giovanelli non è più un semplice oggetto, diventa un luogo di transizione tra il reale e l’immaginario, tra il mondano e il trascendente.
Ma è nel suo trattamento delle scene di film cult che Giovanelli rivela tutta la sua potenza sovversiva. La sua reinterpretazione di scene dal film “Carrie” di Brian De Palma trascende la semplice citazione cinematografica. In “Altar” (2022), cattura quel momento preciso in cui il sangue cade su Sissy Spacek, trasformandolo in una sorta di epifania pagana. La superficie del quadro vibra di un’intensità quasi allucinatoria, creando ciò che Georges Didi-Huberman chiamerebbe un “immagine sopravvissuta”. I neon saturi e gli effetti di sfocatura creano un’atmosfera irreale che trasforma questa scena dell’orrore in un momento di rivelazione mistica.
L’artista spinge ancora più avanti la sua esplorazione dei confini tra sacro e profano nella sua serie “Surface to air” (2022), dove gambe allungate emergono dalla fessura di un abito scintillante. Questi quadri fanno riferimento alle colonne corinzie dell’architettura classica, creando un coraggioso parallelo tra l’architettura sacra e il glamour contemporaneo. Questa giustapposizione inattesa ci costringe a riconsiderare il nostro rapporto con le icone della cultura popolare e il loro status quasi religioso nella nostra società.
La tecnica di Giovanelli è tanto notevole quanto le sue scelte tematiche. Il suo modo di lavorare la pittura con sottili strati successivi crea una profondità ottica che ricorda gli effetti di velatura dei maestri antichi. Ma lei utilizza questa tecnica tradizionale per creare effetti decisamente contemporanei. Nelle sue pitture di bicchieri di vino, per esempio, riesce a creare effetti di rifrazione e distorsione che trasformano questi oggetti quotidiani in veicoli di contemplazione metafisica. Queste nature morte contemporanee ci ricordano le vanità del XVII secolo, pur essendo saldamente radicate nella nostra epoca.
Ciò che rende il lavoro di Giovanelli particolarmente pertinente oggi è la sua capacità di navigare tra diversi registri culturali con una disarmante facilità. Lei attinge sia alla storia dell’arte sia alla cultura popolare, creando opere che resistono a qualsiasi facile categorizzazione. Il suo approccio al sacro non è nostalgico o riverente, ma piuttosto esplorativo e trasformativo. Ci mostra che il sacro non è scomparso dal nostro mondo moderno, si è semplicemente spostato verso nuovi territori.
Il trattamento della luce nei suoi dipinti è anche particolarmente interessante. Piuttosto che rappresentare la luce in modo tradizionale, crea effetti luminosi che sembrano emanare dall’interno stesso della tela. Questo approccio ricorda le teorie di Maurice Merleau-Ponty sulla “carne del visibile”. Le texture che ottiene non sono semplici effetti di superficie, ma diventano manifestazioni tangibili di quella carne del mondo di cui parlava il filosofo.
Nel suo lavoro c’è una tensione permanente tra rivelazione e occultamento che non può non ricordare il concetto di “svelamento” di Martin Heidegger. Ogni quadro è come un aletheia, una verità che si svela mentre si nasconde. Questa dialettica è particolarmente evidente nei suoi dipinti di volti in primo piano, dove l’identità del soggetto si dissolve nella materia pittorica, creando quello che Jacques Derrida avrebbe potuto chiamare una “différance” visiva.
Il suo modo di lavorare con la ripetizione è anch’esso significativo. Riprendendo alcuni motivi come tende, bicchieri, volti, crea ciò che Gilles Deleuze chiamerebbe “differenze nella ripetizione”. Ogni iterazione di un motivo apporta sottili variazioni che arricchiscono la nostra comprensione del soggetto. Questo approccio seriale non è senza ricordare le “Variazioni” di Claude Monet sulla cattedrale di Rouen, ma con una sensibilità decisamente contemporanea.
Il trattamento che Giovanelli fa delle texture è particolarmente notevole. Che si tratti di paillettes, vetro, velluto o seta, riesce a creare superfici che sono allo stesso tempo sensuali e concettuali. Queste texture non sono semplicemente rappresentate, ma trasfigurate dal processo pittorico. Nei suoi dipinti, una semplice tenda di velluto può diventare tanto misteriosa quanto un velo di Veronica, tanto enigmatica quanto un quadro di Rothko.
Il suo modo di inquadrare i soggetti è altrettanto geniale. Isolando dettagli specifici dai loro contesti originali, crea quello che Roland Barthes chiamerebbe “effetti di reale” paradossali. Questi frammenti diventano entità autonome che generano il proprio significato. Questa strategia di decontestualizzazione ricorda le teorie di Craig Owens sull’allegoria postmoderna, dove il frammento diventa più significativo del tutto.
Louise Giovanelli ci offre una riflessione profonda sulla natura stessa della rappresentazione nel nostro mondo saturo di immagini. Trasforma momenti effimeri della cultura popolare in esperienze pittoriche durature, creando così un nuovo tipo di iconografia contemporanea. Il suo lavoro non è una semplice critica della società dello spettacolo, ma un’audace tentativo di creare una nuova forma di trascendenza dai frammenti della nostra cultura visiva.
La sua pittura ci ricorda che l’arte contemporanea non ha bisogno di rifiutare la tradizione per essere rilevante. Al contrario, è dialogando in modo creativo con la storia dell’arte che riesce a creare qualcosa di veramente nuovo. Ci mostra che la pittura, nel XXI secolo, non può più accontentarsi di essere un semplice mezzo di rappresentazione. Deve diventare un luogo di trasformazione alchemica dove il banale diventa straordinario, dove il profano diventa sacro. Ed è proprio questo che Giovanelli riesce a fare: trasformare il nostro sguardo sul mondo, un colpo di pennello alla volta.
















