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Lucy Bull: La rivoluzionaria della percezione

Pubblicato il: 20 Dicembre 2024

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 6 minuti

Lucy Bull non dipinge, orchestra un caos controllato che farebbe impallidire Nietzsche. Le sue tele sono campi di battaglia dove gli strati di vernice si accumulano come stratificazioni geologiche. Gratta, scava, riesuma tracce sepolte come un archeologo del subconscio.

Ascoltatemi bene, banda di snob, è tempo che parliamo di Lucy Bull (nata nel 1990 a New York), quest’artista che fa tremare le vostre certezze sull’astrazione come un terremoto di magnitudo 8 sulla scala Richter dell’arte contemporanea. Mentre alcuni si entusiasmano ancora per le loro riproduzioni di Rothko comprate su Amazon, Bull trasforma la pittura in un’esperienza sensoriale totale che vi colpisce come un TGV lanciato a 300 km/h.

La sua tecnica, innanzitutto. Bull non dipinge, orchestra un caos controllato che farebbe impallidire Nietzsche e il suo concetto di apollineo e dionisiaco. Le sue tele sono campi di battaglia dove gli strati di pittura si accumulano come stratificazioni geologiche, talvolta fino a venti strati sovrapposti. Gratta, scava, riesuma tracce sepolte come un archeologa del subconscio. È Max Ernst sotto acidi, ma meglio. Le sue opere sono giganteschi test di Rorschach che vi costringono a confrontarvi con i vostri demoni psichici.

Parliamo di quelle superfici allucinanti che crea. In “The Bottoms” (2021), i colori si scontrano con la violenza di un incontro di boxe: chartreuse contro fucsia, come se Matisse e Kandinsky si fossero ritrovati in un ottagono per un match di MMA cromatico. I cerchi che scendono a cascata evocano un ciclo lunare psichedelico, come se Timothy Leary avesse ridisegnato il calendario maya. È così intenso che neanche i miei Ray-Ban riescono ad attenuarne l’impatto.

Bull lavora come un’atleta di alto livello, rinchiudendosi nel suo studio per sessioni maratoniche che durano talvolta fino all’alba. Non è nella farsa dell’artista bohémien che dipinge tra un caffè latte da 10 euro e l’altro. No, è in una ricerca ossessiva di quel momento preciso in cui la pittura trascende la sua materialità per diventare pura sensazione. È Merleau-Ponty che incontra Jackson Pollock in una rave party filosofica.

La sua prima grande tematica è questa esplorazione del tempo come dimensione malleabile. Le sue tele non sono istantanee congelate ma portali temporali dove gli strati di pittura raccontano una storia non lineare. È come se avesse preso la teoria della relatività di Einstein e l’avesse tradotta in pigmenti e texture. In “13:35” (2023), il tempo si piega e si dispiega come un origami quantistico. I verdi giada sprofondano nei coralli e nei blu marina, creando correnti che sfidano ogni cronologia convenzionale.

La seconda tematica che definisce il suo lavoro è questa ossessione per l’ambiguità percettiva. Bull gioca con i nostri cervelli come un DJ mixa i suoi brani, creando transizioni così fluide tra le forme che non si sa più dove comincia l’astrazione e dove finisce la figurazione. È Georges Bataille visivo, quella fascinazione per l’informe che prende forma e poi si deforma. In “Stinger” (2021), crea una giungla allucinata dove le forme organiche pulsano con una vita propria, come se la tela respirasse. È un labirinto percettivo dove perfino Teseo si perderebbe con piacere.

Il suo processo creativo è tanto rigoroso quanto un teorema matematico, ma anche istintivo come una trance sciamanica. Lei inizia con una fase di pittura automatica che avrebbe fatto invidia ad André Breton, poi scolpisce questi strati come Rodin modellava la sua argilla, ma con una precisione chirurgica che farebbe ingelosire un neurochirurgo. È questa tensione tra controllo e abbandono che conferisce alle sue opere la loro potenza magnetica.

Nella sua mostra “The Garden of Forking Paths” all’ICA Miami (2024), Bull porta l’esperienza ancora più lontano con un dipinto monumentale alto 12 metri. È come se avesse deciso di creare una cattedrale astratta per il XXI secolo, uno spazio dove la trascendenza non ha bisogno di figurazione per elevarci spiritualmente. Anche Walter Benjamin avrebbe dovuto rivedere la sua teoria sull’aura dell’opera d’arte di fronte a una tale presenza fisica.

Questa artista comprende qualcosa che la maggior parte di voi, bloccati nelle vostre certezze estetiche del secolo scorso, non ha ancora afferrato: l’arte contemporanea non è qui per mettervi a vostro agio con una bella decorazione per il vostro salotto. È qui per scuotervi, destabilizzarvi, farvi dubitare delle vostre percezioni. Bull non dipinge quadri, crea esperienze che sfidano il nostro rapporto con il tempo, lo spazio e la coscienza stessa.

Le sue opere sono come virus visivi che infettano la vostra corteccia cerebrale e riconfigurano il vostro modo di vedere il mondo. È arte che funziona come un reset neurologico, un control-alt-suppr per il vostro sistema percettivo. In un’epoca in cui siamo bombardati da immagini digitali superficiali, Bull ci ricorda che la pittura può ancora essere un medium rivoluzionario.

Se non capite il suo lavoro, è forse perché cercate troppo di capirlo. I suoi quadri non sono enigmi da risolvere ma esperienze da vivere. È come cercare di spiegare il gusto dell’umami a qualcuno che ha mangiato solo Big Mac per tutta la vita. Bisogna sviluppare il proprio palato visivo, imparare a gustare la complessità, accettare di essere destabilizzati.

I critici che cercano di classificarla come una semplice erede dell’espressionismo astratto mancano completamente il punto. Bull non eredita, fa evolvere il linguaggio della pittura come un virus deve mutare per sopravvivere. Crea un nuovo dialetto visivo che parla direttamente ai nostri neuroni, bypassando i nostri filtri razionali per raggiungere qualcosa di più primordiale.

Posso già sentire alcuni di voi mormorare che è “troppo astratto”, “troppo caotico”. Ma è proprio così. Voi che cercate disperatamente di mettere tutto in scatole ordinate, Bull ci ricorda che il caos non è solo inevitabile ma necessario. I suoi quadri sono manifesti visivi per l’accettazione dell’incertezza, celebrazioni dell’ambiguità.

Bull ridefinisce cosa può essere la pittura nel XXI secolo. Dimostra che anche dopo secoli di storia dell’arte, è ancora possibile fare qualcosa di radicalmente nuovo con la pittura su tela. È come se avesse trovato una nuova ottava in una scala musicale che credevamo completa.

Vederla lavorare nel suo studio di Los Angeles è come osservare una fisica delle particelle che avesse scambiato il suo acceleratore con dei pennelli. Lei manipola la materia pittorica con la precisione di una scienziata e l’intuizione di una sciamana. Ogni quadro è un’esperienza, ogni pennellata un’ipotesi sulla natura della percezione.

Allora sì, i suoi prezzi volano alle aste, raggiungendo vette stratosferiche come questo “16:10” (2020) venduto a 1,8 milioni di euro da Sotheby’s. Ma, contrariamente ad alcuni artisti che cavalcano l’onda speculativa del mercato, Bull resta concentrata sull’essenziale: spingere i limiti di ciò che la pittura può fare alla nostra coscienza.

Lei lavora come una posseduta, in una ricerca quasi mistica di quel momento in cui la pittura trascende la sua materialità. È questa devozione monastica alla sua arte, combinata a un’audacia intellettuale rara, che la rende una delle voci più importanti della sua generazione.

Lucy Bull non è solo un’artista che dipinge quadri astratti. È una ricercatrice che esplora i confini della coscienza umana con la pittura come strumento di misurazione. Le sue opere sono portali verso dimensioni percettive che finora avevamo solo intravisto. E se non siete pronti a fare questo viaggio, beh, restate nella vostra zona di comfort con i vostri poster impressionisti. Nel frattempo, il resto di noi esplorerà questi nuovi territori che lei mappa colpo di pennello dopo colpo di pennello.

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Riferimento/i

Lucy BULL (1990)
Nome: Lucy
Cognome: BULL
Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Stati Uniti

Età: 35 anni (2025)

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