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Martedì 18 Novembre

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Meguru Yamaguchi: l’arte oltre i confini

Pubblicato il: 5 Dicembre 2024

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 7 minuti

Le opere di Meguru Yamaguchi trascendono i limiti tradizionali della pittura, creando un nuovo linguaggio visivo in cui le pennellate scolpite nello spazio sfidano le nostre percezioni. La sua tecnica rivoluzionaria “Cut & Paste” ridefinisce le possibilità dell’espressione artistica contemporanea.

Ascoltatemi bene, banda di snob, è tempo di parlare di un artista che polverizza le vostre certezze estetiche con la precisione di un maestro zen e l’audacia di un rivoluzionario. Meguru Yamaguchi (nato nel 1984 a Tokyo) non è semplicemente un altro artista giapponese che ha conquistato New York. No, è un mago della materia pittorica che trasforma l’eredità dell’espressionismo astratto in qualcosa di così radicalmente nuovo che i vostri piccoli punti di riferimento comodi tremano ancora.

Lasciate che vi spieghi perché il suo lavoro è così fondamentalmente importante per capire dove sta andando l’arte oggi. Tutto inizia con la sua tecnica “Cut & Paste”, che non è solo un’innovazione formale, ma una vera rottura epistemologica nella storia della pittura. Quando Yamaguchi stende la sua pittura su fogli di plastica, la lascia asciugare, poi la stacca per incollarla altrove, non si limita a creare forme tridimensionali, ma mette in discussione tutta la nozione di superficie pittorica che ci perseguita dalla Rinascenza. È esattamente ciò che Theodor Adorno avrebbe definito la “negazione determinata” dell’arte convenzionale. Queste pennellate che sembrano fluttuare nello spazio sono una perfetta metafora della nostra epoca liquida, dove identità e certezze si dissolvono più velocemente di un tweet controverso.

Ciò che rende il suo approccio così interessante è il modo in cui integra il suo retaggio della calligrafia giapponese in questo percorso radicalmente contemporaneo. Contrariamente a tanti artisti asiatici che sfruttano le loro radici culturali come semplice argomento di marketing, Yamaguchi opera una vera e propria trasmutazione della tradizione. Le sue opere possiedono quella qualità che Roland Barthes, in “L’Impero dei segni”, identificava come specificamente giapponese: una capacità di svuotare il segno del suo significato convenzionale per creare un nuovo tipo di significato, più fluido e più ambiguo. Nelle sue composizioni, ogni colpo di pennello diventa un significante fluttuante, liberato dalla tirannia del significato.

La sua serie “Out of Bounds” è particolarmente rivelatrice di questo approccio. Queste composizioni che traboccano letteralmente dal loro quadro non sono semplicemente spettacolari, incarnano ciò che Gilles Deleuze chiamava una “linea di fuga”, una fuga dai sistemi consolidati di rappresentazione e pensiero. Ogni colpo di pennello diventa un vettore di deterritorializzazione, creando nuovi spazi di possibilità artistica. È come se Yamaguchi fosse riuscito a dare una forma fisica al concetto deleuziano di “rizoma”, le sue composizioni non hanno né inizio né fine, si sviluppano dal centro, creando connessioni inaspettate e diventano molteplici.

Osservate attentamente come utilizza il colore. Questi blu profondi che dominano il suo lavoro non sono casuali. In un’epoca in cui tanti artisti contemporanei si perdono in tonalità pastello instagrammabili, Yamaguchi si immerge nelle profondità dell’indaco con un’intensità che ricorda gli ukiyo-e di Hokusai. Ma mentre Hokusai cercava di catturare l’essenza dell’onda, Yamaguchi libera l’onda stessa, lasciandola riversare fuori dal quadro in un gesto di pura liberazione. Questo è ciò che Walter Benjamin avrebbe riconosciuto come un momento di “urto”, dove l’esperienza estetica diventa così intensa da perturbare i nostri consueti modi di percezione.

La sua collaborazione con marchi come Nike o Uniqlo potrebbe sembrare paradossale per un artista di tale calibro. Ma Yamaguchi comprende intuitivamente ciò che Benjamin aveva teorizzato: nell’era della riproduzione tecnica, l’arte deve trovare nuovi modi per mantenere la propria aura. Applicando la sua visione artistica a oggetti della vita quotidiana, non diluisce la sua arte, la democratizza, creando ciò che Nicolas Bourriaud chiamerebbe “momenti di socialità”, punti di contatto tra l’arte concettuale più esigente e la vita quotidiana. È una forma di resistenza sottile alla mercificazione dell’arte, usando gli strumenti del capitalismo contro se stesso.

La cosa più notevole del suo percorso è forse il modo in cui ha trasformato le sue limitazioni iniziali in forze creative. Non essendo riuscito a entrare all’università d’arte di Tokyo, ha sviluppato il proprio approccio, libero dai vincoli accademici. Questa marginalità iniziale è diventata il motore della sua innovazione. Come scriveva Edward Said, la posizione di esiliato, sia essa geografica o istituzionale, può diventare una fonte di creatività e intuizione unica. Yamaguchi incarna perfettamente questa figura dell’artista come outsider creativo, trasformando la sua esclusione dai circuiti tradizionali in una posizione di forza.

Nelle sue opere più recenti, si osserva un’evoluzione affascinante verso quella che chiamerei una “materialità trascendente”. Le pennellate non sono più semplicemente elementi formali, ma diventano entità quasi autonome che sembrano possedere una propria coscienza. È come se Yamaguchi fosse riuscito a dare vita a ciò che Maurice Merleau-Ponty descriveva come la “carne del mondo”, quella texture primordiale dell’essere che precede la divisione tra soggetto e oggetto. Le sue composizioni recenti, in particolare nella serie “Shadow Pieces”, esplorano questa dimensione con una sottigliezza crescente, creando opere che sembrano respirare e pulsare con una propria vita interiore.

Ciò che distingue veramente Yamaguchi dalla massa degli artisti contemporanei è che egli mantiene un equilibrio precario tra caos e controllo. Le sue composizioni possono sembrare spontanee, ma in realtà sono il risultato di una maestria tecnica eccezionale. Questo è ciò che Clement Greenberg avrebbe chiamato una “spontaneità disciplinata”, una libertà possibile solo grazie a una comprensione profonda delle restrizioni del medium. Ogni gesto, ogni decisione compositiva testimonia un’intelligenza artistica che non lascia nulla al caso pur preservando la freschezza dell’improvvisazione.

Il modo in cui utilizza lo spazio negativo è particolarmente rivelatore di questa padronanza. Nella tradizione zen giapponese, il vuoto non è un’assenza ma una presenza attiva. Yamaguchi attualizza questo antico concetto in modo radicalmente contemporaneo. Gli spazi tra le sue pennellate tridimensionali non sono semplicemente pause nella composizione, ma diventano campi di forza dinamici che attivano l’intera opera. Questo è ciò che Martin Heidegger, in “L’Origine dell’opera d’arte”, avrebbe riconosciuto come la “radura dell’essere”, uno spazio dove la verità dell’arte può manifestarsi.

Il suo studio a Brooklyn è diventato una sorta di laboratorio in cui spinge costantemente i limiti di ciò che è possibile con la pittura. Ogni nuova serie rivela nuove possibilità tecniche e concettuali. È esattamente questo tipo di sperimentazione rigorosa che Susan Sontag difendeva in “Contro l’interpretazione”, un impegno con la materialità dell’arte che genera nuove forme di sensibilità. Yamaguchi non si limita a creare opere d’arte, inventa nuovi modi di percepire.

C’è qualcosa di profondamente politico in questo approccio, anche se Yamaguchi non fa mai dichiarazioni esplicitamente politiche nel suo lavoro. Come suggeriva Jacques Rancière, la politica dell’arte non risiede nei suoi messaggi o nelle sue intenzioni, ma nella sua capacità di riconfigurare la “condivisione del sensibile”, il modo in cui percepiamo e comprendiamo il mondo. Creando opere che sfidano le nostre aspettative su cosa la pittura può essere e fare, Yamaguchi partecipa a questa fondamentale riconfigurazione della nostra esperienza estetica.

Le implicazioni del suo lavoro vanno ben oltre il mondo dell’arte. In un’epoca in cui siamo bombardati da immagini digitali effimere, le sue opere insistono sulla materialità e la presenza fisica. È una forma di resistenza a ciò che Paul Virilio chiamava la “dematerializzazione” dell’esperienza contemporanea. Le sue pennellate scolpite nello spazio ci ricordano che l’arte può ancora essere un’esperienza incarnata, tattile, tridimensionale.

La sua pratica solleva anche questioni sulla natura dell’originalità nell’arte contemporanea. In un mondo in cui sembra che tutto sia già stato fatto, Yamaguchi trova ancora modi per sorprenderci. Non si tratta dell’originalità facile della novità per la novità stessa, ma di quella che Harold Bloom chiamerebbe una “ansia dell’influenza” produttiva, un modo di dialogare con la tradizione trasformandola radicalmente. La sua tecnica “Cut & Paste” può essere vista come una metafora di questo stesso processo, demolendo e ricombinando gli elementi della storia dell’arte per creare qualcosa di veramente nuovo.

L’influenza del movimento Gutai nel suo lavoro è particolarmente interessante da questo punto di vista. Come Kazuo Shiraga prima di lui, Yamaguchi cerca di liberare la pittura dalle sue tradizionali costrizioni. Ma mentre Shiraga usava tutto il corpo per creare le sue opere, Yamaguchi adotta un approccio più chirurgico, più preciso. È come se avesse trovato un modo per combinare la radicalità del Gutai con la precisione della calligrafia tradizionale, creando una sintesi totalmente nuova.

La sua traiettoria illustra perfettamente ciò che Pierre Bourdieu definiva “traiettoria sociale ascendente” nel campo artistico. Partito dalle periferie del mondo dell’arte, è riuscito a creare il proprio spazio, definendo nuove regole del gioco invece di conformarsi a quelle esistenti. Le sue opere non sono semplicemente oggetti estetici, sono interventi nel discorso stesso dell’arte contemporanea, mettendo in discussione i nostri presupposti su ciò che l’arte può essere e fare.

Ciò che rende il lavoro di Yamaguchi così notevole per la nostra epoca è che crea quelli che il filosofo François Jullien chiama “scarti”, spazi di differenza produttiva tra le tradizioni artistiche occidentali e orientali. Non si tratta di una semplice fusione o di un meticciato superficiale, ma di una vera trasformazione reciproca che apre nuove possibilità per l’arte contemporanea.

Quindi sì, potete continuare ad ammirare le vostre piccole tele ben educate e le vostre installazioni concettuali prevedibili. Nel frattempo, Meguru Yamaguchi sarà lì, nel suo studio a Brooklyn, a spingere i confini di ciò che è possibile nell’arte, un colpo di pennello tridimensionale alla volta. E quando la storia dell’arte del XXI secolo sarà scritta, vi garantisco che lui ne occuperà un posto centrale. Ma non preoccupatevi, potrete sempre fingere di essere stati tra i primi a riconoscere il suo genio. Non dirò nulla.

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Riferimento/i

Meguru YAMAGUCHI (1984)
Nome: Meguru
Cognome: YAMAGUCHI
Altri nome/i:

  • 山口歴 (Giapponese)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Giappone

Età: 41 anni (2025)

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