English | Italiano

Martedì 18 Novembre

ArtCritic favicon

Nina Chanel Abney: La geometria della dissidenza

Pubblicato il: 25 Agosto 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 8 minuti

Nina Chanel Abney crea opere monumentali che fondono estetica pop e critica sociale. Le sue composizioni geometriche analizzano le tensioni razziali, le violenze della polizia e la cultura digitale contemporanea. L’artista utilizza colori vivaci e forme cubiste per interrogarsi sull’identità americana attraverso un linguaggio visivo innovativo e accessibile.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Nina Chanel Abney ci tende uno specchio deformante della nostra epoca, dove le linee di fuga della modernità di Picasso incontrano la brutalità immediata dell’immagine digitale contemporanea. Quest’artista americana nata nel 1982 a Chicago sviluppa da due decenni un linguaggio visivo che interroga le nostre certezze con l’efficacia di un pugno nello stomaco e la sofisticazione di una partitura jazz.

L’architettura del caos: Una modernità reinventata

Quando Abney si riappropria dell’eredità cubista, non si limita a citare Picasso o Braque. Détourna le loro innovazioni formali per creare un vocabolario plastico decisamente ancorato al XXI secolo. Le sue composizioni frammentate evocano meno le Demoiselles d’Avignon che lo scoppio dei nostri schermi, la proliferazione dei nostri flussi di informazioni, la saturazione dei nostri feed Instagram. Questa filiazione con il cubismo storico non è né nostalgica né reverenziale: è strategica.

L’artista prende in prestito dalla modernità europea i suoi strumenti di decostruzione formale per analizzare le strutture di potere contemporanee. Le sue figure geometriche, dai contorni netti e dai colori saturi, sembrano fuggite da un universo digitale dove l’emoji contende il territorio all’arte concettuale. Questa estetica della semplificazione apparente nasconde una complessità narrativa formidabile. Ogni tela di Abney funziona come una testimonianza visiva dove si sovrappongono al tempo stesso riferimenti pop, critica sociale e interrogativi identitari.

In Catfish (2017), dirige un balletto di corpi nudi su 5,5 metri, evocando simultaneamente lo spirito delle Demoiselles d’Avignon e la cultura del selfie erotico. Quest’opera magistrale illustra perfettamente il metodo Abney: partire da un referente artistico canonico per interrogare i nostri comportamenti contemporanei più prosaici. I corpi dei suoi personaggi, ridotti alle loro componenti geometriche essenziali, diventano ideogrammi del desiderio e della mercificazione.

Questo approccio neocubista permette all’artista di superare i limiti della rappresentazione tradizionale. Frammentando i suoi soggetti, li libera dalle assegnazioni identitarie rigide. I suoi personaggi con volti stilizzati e corpi angolari sfuggono alle categorizzazioni razziali o di genere convenzionali, creando uno spazio di libertà interpretativa che pochi artisti contemporanei riescono a mantenere con tale costanza.

Il ricorso a forme geometriche semplici, cerchi, triangoli e rettangoli, non è mai gratuito in Abney. Si tratta di una grammatica visiva che permette di costruire racconti complessi a partire da elementi formali elementari. Questa economia di mezzi, ereditata dalle avanguardie storiche, serve qui a un discorso critico contemporaneo di rara acutezza. L’artista dimostra così che l’innovazione formale può ancora essere un vettore di sovversione politica, a patto che si sappia articolare a una visione del mondo esigente.

La poetica dell’immediatezza: Un’estetica dell’urgenza

L’opera di Abney intrattiene con la poesia contemporanea rapporti che si potrebbero definire osmotici. Come alcuni poeti della sua generazione che praticano il taglio digitale o la frammentazione sintattica, procede per collisioni semantiche e telescopi visivi. Le sue tele funzionano secondo una logica simile a quella del verso libero: organizzano i loro elementi secondo un ritmo interno che sfugge alle regole classiche della composizione.

Questa parentela con la scrittura poetica si manifesta particolarmente nel suo uso del testo. Parole troncate, acronimi, onomatopee emergono nel mezzo delle sue composizioni come versi liberi inscritti nella materia pittorica. In Untitled (FUCK TE OP) (2014), i frammenti testuali, “BLACK”, “KILL”, “WOW”, punteggiano lo spazio visivo con la forza d’impatto di una poesia di protesta. Queste inserzioni linguistiche non sono mai ridondanti con l’immagine; al contrario creano effetti di senso per attrito, come fanno i migliori poeti contemporanei che fanno emergere il senso dalla collisione tra registri eterogenei.

L’artista domina l’arte del cortocircuito semantico, questa capacità di condensare in un’unica immagine reti di significati complessi. I suoi titoli partecipano a questa poetica della condensazione: Miss Opportunity, Sea & Seized testimoniano un gusto per il gioco di parole che non è affatto gratuito. Questi giochi di parole rivelano al contrario una coscienza acuta del potere sovversivo del linguaggio, questa capacità che hanno le parole di ritornare contro i loro usi convenuti per rivelare verità nascoste [1].

La temporalità delle sue opere abbraccia quella della poesia contemporanea: privilegia l’istante decisivo, il momento di svolta in cui il senso si cristallizza. Le sue composizioni catturano istanti di tensione massima, manifestazione, aggressione della polizia e performance di genere, e li fissano in un’eternità plastica che ne rivela tutta la carica poetica. Questa estetica dell’istantaneo permette all’artista di cogliere lo spirito del tempo con una precisione che non consentirebbe un approccio più tradizionale della pittura narrativa.

L’influenza della poesia slam e del rap sul suo lavoro merita di essere sottolineata. Come queste forme di espressione, l’arte di Abney privilegia l’impatto immediato e la risonanza duratura. Le sue opere funzionano su più livelli di lettura simultanei: accessibili al primo sguardo, rivelano progressivamente le loro stratificazioni di significato più profonde. Questa strategia di svelamento progressivo si avvicina alle tecniche dei migliori rapper, capaci di far coesistere in un unico pezzo semplicità melodica e complessità testuale.

La dimensione performativa delle sue opere le avvicina anche alla poesia d’azione. Quando Abney investe lo spazio pubblico con i suoi murales o trasforma un campo da basket in opera d’arte, attiva una poetica dell’intervento che va oltre il quadro tradizionale della galleria. Queste opere in situ creano situazioni poetiche inaspettate dove l’arte si mescola con il quotidiano secondo modalità che ricordano le migliori sperimentazioni della poesia contemporanea [2].

La strategia del détournement: L’arte come arma di precisione

L’efficacia critica di Abney si basa su una strategia di sottrazione di rara sofisticazione. L’artista non denuncia mai frontalmente; preferisce infiltrare i codici visivi dominanti per sovvertirli dall’interno. Questo approccio obliquo le permette di raggiungere un pubblico molto più ampio di quello che produrrebbero opere esplicitamente militanti, conservando nondimeno una radicalità politica indiscutibile.

Le sue collaborazioni con marchi come Nike Jordan o Timberland illustrano perfettamente questa tattica. Accettando di lavorare per giganti del capitalismo contemporaneo, Abney non tradisce le sue convinzioni: le infiltra. I suoi design per questi marchi introducono subdolamente le sue ossessioni formali e tematiche nell’universo del consumo di massa. Questa strategia di entrismo culturale si dimostra terribilmente efficace: permette ai suoi codici visivi di contaminare lo spazio pubblico secondo modalità inedite.

L’artista comprende intuitivamente che la critica più efficace procede per seduzione piuttosto che per repulsione. Le sue tele attirano innanzitutto per il loro impatto visivo immediato, colori brillanti, composizioni dinamiche e riferimenti pop familiari, prima di dispiegare la loro carica critica [3]. Questa estetica del cavallo di Troia permette ad Abney di raggiungere pubblici che scapperebbero immediatamente da un’arte apertamente politica.

Il suo uso dell’umorismo fa parte di questa strategia di disarmo critico. Quando rappresenta Condoleezza Rice in bikini in Randaleeza (2008), l’artista ricorre alla caricatura piuttosto che alla denuncia diretta. Questo approccio satirico, erede della tradizione della caricatura politica, si dimostra più devastante di un ritratto accusatorio convenzionale. L’umorismo diventa qui un rivelatore chimico che fa emergere le contraddizioni dei suoi soggetti.

La molteplicità dei livelli di lettura delle sue opere costituisce un altro aspetto di questa strategia. Ogni tela di Abney può essere apprezzata per le sue qualità formali pure, per i suoi riferimenti culturali, per la sua carica politica o per la sua dimensione ludica [4]. Questa polisemanticità dichiarata le permette di raggiungere simultaneamente pubblici con aspettative divergenti, creando uno spazio di dialogo critico raro nell’arte contemporanea.

L’artista domina anche l’arte dell’allusione e della suggestione. Piuttosto che rappresentare esplicitamente la violenza poliziesca, preferisce giocare sull’inversione dei ruoli razziali, come nella sua serie del 2015 in cui poliziotti neri arrestano sospetti bianchi. Questo approccio controfattuale obbliga lo spettatore a interrogare i propri pregiudizi rivelando al contempo l’arbitrarietà dei rapporti di dominio contemporanei.

L’eredità e l’innovazione: Verso un’estetica post-identitaria

Nina Chanel Abney si inscrive in una linea di artisti afroamericani che hanno rivoluzionato l’arte contemporanea, da Jean-Michel Basquiat a Kara Walker passando per Kerry James Marshall. Ma si distingue per la sua capacità di superare le assegnazioni identitarie senza però ignorarle. Le sue opere interrogano la questione razziale americana rifiutando però di limitarvisi.

Questa posizione singolare le permette di sviluppare un’arte veramente post-identitaria, che integra i risultati delle lotte per il riconoscimento senza rinchiudervisi. I suoi personaggi stilizzati, dalle identità volutamente ambigue, incarnano questa aspirazione a un universale che non neghi i particolarismi. L’artista dimostra così che è possibile parlare di razza senza razzializzare, di evocare il genere senza essenzializzare.

La sua influenza sulla giovane generazione di artisti americani è già manifesta. Numerosi pittori emergenti adottano i suoi codici formali, geometricizzazione delle figure, uso di colori saturi e inserimento di testi, per sviluppare le proprie ricerche. Questa influenza stilistica testimonia la pertinenza delle sue innovazioni formali tanto quanto il loro potenziale di sviluppo.

La mostra LIE DOGGO alla Jack Shainman Gallery segna una nuova tappa nell’evoluzione dell’artista. Investendo la scultura e l’arte digitale, Abney dimostra che il suo linguaggio visivo può adattarsi a tutti i media. Questa capacità di adattamento testimonia la solidità concettuale del suo approccio: oltre gli effetti superficiali, è proprio una visione del mondo coerente che si esprime attraverso le sue opere.

L’artista incarna una generazione di artisti cresciuti con internet e i social network, e che integrano naturalmente questi riferimenti nella loro pratica. Le sue opere rivelano le strutture di potere che governano le nostre interazioni digitali sfruttando al contempo le possibilità estetiche di questi nuovi territori. Questa doppia consapevolezza, critica e creativa, la rende una delle figure più rilevanti dell’arte contemporanea americana.

Nina Chanel Abney ci ricorda che l’arte può ancora essere uno spazio di resistenza e invenzione, purché si accetti di scuotere le categorie stabilite. La sua opera testimonia un’epoca in mutamento dove i vecchi punti di riferimento vacillano senza che i nuovi siano ancora stabilizzati. In questa incertezza generalizzata, traccia delle linee di fuga che permettono di intravedere altri possibili scenari. Forse è proprio qui che risiede la sua forza principale: convincerci che l’arte può ancora cambiare il nostro sguardo sul mondo e, di conseguenza, contribuire a trasformarlo.


  1. Saltz, Jerry, “How to Be an Artist”, Simon & Schuster, 2020.
  2. Abney, Nina Chanel, citata in Fuller, Daniel, “Nina Chanel Abney: How To Live Bold”, Upstate Diary, 2024.
  3. Abney, Nina Chanel, intervista con Jamillah James, Royal Flush (catalogo della mostra), Nasher Museum of Art, 2017.
  4. O’Leary, Erin, “The Remixed Symbology of Nina Chanel Abney”, Contemporary Art Review Los Angeles, 2018.
Was this helpful?
0/400

Riferimento/i

Nina CHANEL ABNEY (1982)
Nome: Nina
Cognome: CHANEL ABNEY
Genere: Femmina
Nazionalità:

  • Stati Uniti

Età: 43 anni (2025)

Seguimi