Ascoltatemi bene, banda di snob, l’arte contemporanea cinese non è solo una questione di mercato o di speculazione. Ren Zhe, nato nel 1983 a Pechino, incarna perfettamente questa nuova generazione di artisti che trascendono i cliché orientalisti che alcuni collezionisti occidentali, in particolare quelli che abitano nei quartieri di lusso di Parigi, continuano a mantenere con una condiscendenza appena velata.
Formatosi all’Università Tsinghua, questo prodigioso scultore ha sviluppato un approccio unico che unisce l’acciaio inossidabile a una sensibilità profondamente radicata nella tradizione cinese. Ma attenzione, non lasciatevi ingannare: i suoi guerrieri non sono semplici figure decorative destinate ad ornare i lobby delle banche d’investimento di Hong Kong o i penthouse di Shanghai.
La prima caratteristica della sua opera è la sua reinterpretazione radicale del corpo eroico. Contrariamente all’approccio occidentale del corpo scultoreo, ereditato dai Greci e magnificato da Michelangelo, Ren Zhe propone una corporalità che sfida la semplice materialità. I suoi guerrieri, come nella sua opera emblematica “Lei”, non sono definiti dalla loro muscolatura ma da ciò che Walter Benjamin avrebbe chiamato la loro “aura”. Quest’aura, Ren Zhe la cattura nell’acciaio lucido come uno specchio, creando superfici che assorbono e riflettono simultaneamente la luce, trasformando ogni scultura in un dialogo costante tra presenza e assenza.
Questo approccio richiama in modo sorprendente la teoria del “corpo senza organi” di Deleuze e Guattari, dove il corpo non è più una semplice organizzazione anatomica ma un campo di intensità. I guerrieri di Ren Zhe, immobilizzati in pose dinamiche che sembrano sfidare la gravità, non rappresentano tanto corpi fisici quanto manifestazioni di ciò che i filosofi taoisti chiamano “qi”, quella forza vitale che trascende la semplice materialità.
Quando Johnny Depp ha visitato il suo studio nel 2014, probabilmente non ha colto tutta la profondità filosofica di queste opere, ma sicuramente ha percepito la loro potenza magnetica. Ed è proprio lì che risiede la seconda caratteristica del lavoro di Ren Zhe: la sua capacità di trascendere i confini culturali restando profondamente radicato nella tradizione cinese.
Prendiamo la sua installazione “Genesis” a Shenzhen. In quest’opera monumentale, Ren Zhe non si limita a fondere Oriente e Occidente, sarebbe troppo semplicistico, troppo prevedibile. No, crea ciò che Homi Bhabha chiamerebbe uno “spazio terzo”, dove le dicotomie tradizionali tra Oriente e Occidente si dissolvono per lasciare spazio a qualcosa di nuovo, qualcosa che non appartiene né all’uno né all’altro, ma che li comprende entrambi.
Il suo lavoro con l’acciaio inossidabile non è una semplice scelta estetica. È una dichiarazione audace sulla modernità cinese stessa. L’acciaio, materiale emblematico dell’industrializzazione, diventa sotto le sue mani un mezzo per esplorare quelle che il filosofo François Jullien chiama le “trasformazioni silenziose” della cultura cinese. Le superfici a specchio delle sue sculture non riflettono solo l’ambiente circostante, ma creano un dialogo costante tra tradizione e modernità, tra passato e presente.
La sua serie dei Quattro Guardiani Celesti per il Parkview Group di Pechino, Drago Azzurro, Tigre Bianca, Uccello Vermiglio e Tartaruga Nera, è particolarmente rivelatrice. Queste figure mitologiche tradizionali sono reinventate in un linguaggio scultoreo contemporaneo che risuona con le preoccupazioni della nostra epoca. Il modo in cui tratta le superfici levigate fino a raggiungere una qualità prossima alla gioielleria ricorda ciò che Roland Barthes diceva del Giappone in “L’Impero dei segni”: la superficie diventa essa stessa profondità.
Ciò che è affascinante nel lavoro di Ren Zhe è la sua capacità di creare ciò che Jacques Rancière chiamerebbe una “condivisione del sensibile” unica. I suoi guerrieri non sono semplicemente rappresentazioni di figure storiche o mitologiche, ma manifestazioni di ciò che significa essere umani in un mondo in costante mutamento. Ogni piega nell’acciaio, ogni torsione del metallo diventa una meditazione sulla condizione umana.
La sua mostra al Museo del Palazzo nel 2019, prima esposizione personale di scultura di grande scala nella Città Proibita, non era solo un semplice trionfo personale. Era una dimostrazione eclatante di come l’arte contemporanea possa dialogare con la tradizione senza cadere nel pastiche o nella riverenza servile. I suoi guerrieri, eretti con fierezza in questo luogo alto della storia cinese, creavano un ponte temporale vertiginoso tra passato e presente.
La vendita della sua opera “Infinite Spirit of Allegiance” per 2,52 milioni di dollari di Hong Kong da Sotheby’s nel 2021 è solo una validazione superficiale della sua importanza. Ciò che conta davvero è il modo in cui riesce a creare un’arte che parla simultaneamente ai collezionisti della Silicon Valley e ai monaci del tempio Shuanglin, dove ha trascorso un mese a studiare le sculture antiche che avrebbero profondamente influenzato il suo lavoro.
I critici che lo paragonano a Henry Moore o Lynn Chadwick mancano completamente il punto. Ren Zhe non è un artista che cerca di inserirsi in una linea occidentale della scultura moderna. Piuttosto crea ciò che il filosofo François Jullien chiamerebbe uno “scarto”, uno spazio di pensiero e creazione che permette di vedere sia l’Est che l’Ovest sotto una nuova luce.
La sua ultima serie basata sui personaggi dello scrittore Jin Yong mostra che continua a esplorare nuovi territori pur rimanendo fedele alla sua visione artistica fondamentale. Queste opere non sono semplici illustrazioni tridimensionali di personaggi letterari, ma meditazioni profonde su cosa significa essere un eroe in un mondo che ha disperatamente bisogno di esempi morali.
Ren Zhe crea un’arte che trascende le categorie facili. Le sue sculture non sono né tradizionali né contemporanee, né orientali né occidentali, sono semplicemente necessarie. In un mondo ossessionato dalle divisioni e dalle categorie, il suo lavoro ci ricorda che la vera grandezza artistica risiede nella capacità di costruire ponti piuttosto che muri. E se alcuni snob dell’arte contemporanea non capiscono questo, è un loro problema, non il suo.
















