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Martedì 18 Novembre

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Teppei Takeda: il maestro dell’illusione pittorica

Pubblicato il: 23 Novembre 2024

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 5 minuti

Nel suo studio di Yamagata, Teppei Takeda crea ritratti che sembrano esplosivi e spontanei ma sono in realtà frutto di una precisione chirurgica. Una contraddizione affascinante che sconvolge le nostre certezze sulla pittura contemporanea.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Vi parlerò di un artista che fa a pezzi le vostre certezze sulla pittura contemporanea. Teppei Takeda, nato nel 1978 a Yamagata, non è il vostro tipico artista giapponese zen e minimalista che amate citare nelle vostre cene mondane per apparire intelligenti.

Per un decennio, questo genio si è rinchiuso nel suo atelier come un monaco guerriero, perfezionando una tecnica così vertiginosa da farvi dubitare della vostra stessa percezione. In un’epoca in cui il mondo è saturato di immagini digitali e di artisti che si credono influencer di Instagram, Takeda ha scelto la via dell’asceta radicale, quella della ripetizione ossessiva e della padronanza assoluta.

La sua prima tematica è questa tecnica allucinante di trompe-l’oeil che vi fa credere in pennellate generose mentre tutto è assolutamente piatto. È un gioco di magia pittorica che avrebbe fatto impazzire di gioia Georges Bataille, lui che vedeva nell’arte la capacità di creare “esperienze impossibili”. Ogni quadro è un esercizio di seduzione perversa: da lontano guardate audaci colpi di pennello, masse di pittura che sembrano gettate con l’ardore di un espressionista astratto. Ma avvicinatevi, e tutto crolla. La realtà piatta vi schiaffeggia il viso. È come se Takeda ci dicesse: “Davvero pensavate che fosse così semplice?”

Questa ossessione dell’apparenza non è solo un esercizio tecnico. Richiama le riflessioni di Jean Baudrillard sul simulacro, ma le spinge al loro estremo. Quando Baudrillard parlava dell’iperrealtà, probabilmente non immaginava che un artista potesse creare opere che sono contemporaneamente originali e copie di se stesse. È un paradosso visivo che fa esplodere le nostre categorie abituali.

La seconda caratteristica del suo lavoro è il suo approccio quasi mistico alla ripetizione. Per ogni opera finale, Takeda dipinge la stessa immagine tra le venti e le cinquanta volte. Non è produzione in serie alla Warhol, no. È una ricerca spirituale che ricorda gli esercizi dei monaci zen, ma in versione psichedelica. Walter Benjamin parlava della perdita dell’aura dell’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica. Takeda, paradossalmente, crea quell’aura attraverso la riproduzione ossessiva.

Posso già sentire alcuni di voi sussurrare “ma è solo virtuosismo tecnico”. Quello che fa Takeda va ben oltre. Ognuno dei suoi ritratti anonimi è una meditazione sull’identità nell’era digitale. In un mondo in cui siamo bombardati da selfie e filtri di Instagram, crea volti che sono contemporaneamente presenti e assenti, concreti e astratti. È come se Francis Bacon avesse deciso di diventare programmatore pur mantenendo i suoi pennelli.

L’isolamento volontario di Takeda nel suo studio di Yamagata ricorda gli eremiti della tradizione giapponese, ma con una differenza fondamentale: non cerca l’illuminazione nella contemplazione della natura, bensì nell’esplorazione ossessiva dei limiti della rappresentazione pittorica. Ogni quadro è il risultato di una lotta accanita tra illusione e realtà, tra superficie e profondità.

Il suo processo creativo è di una rigore che farebbe impallidire un ingegnere della NASA. Inizia con uno schizzo preliminare, poi utilizza una combinazione di disegno analogico e dati digitali per calcolare con precisione l’effetto delle texture che andrà a creare. È come se Vermeer avesse avuto accesso a un computer quantistico. Con pennelli inizialmente destinati alla pittura in miniatura, ricostruisce meticolosamente ogni colpo di pennello illusorio, creando un paradosso visivo che sfida la nostra comprensione di cosa sia realmente un dipinto.

I critici superficiali diranno che il suo lavoro è solo un’impresa tecnica. Ma si perdono completamente il punto essenziale. Quello che Takeda fa è creare una nuova forma di verità pittorica usando la menzogna come materiale principale. È esattamente ciò di cui parlava Nietzsche quando affermava che “l’arte è il più grande stimolante della vita”. Takeda stimola la nostra percezione destabilizzandola sistematicamente.

Il modo in cui tratta la materialità della pittura è rivoluzionario. Creando l’illusione di una pittura spessa su una superficie perfettamente piatta, ci costringe a riconsiderare il nostro rapporto con la materialità stessa dell’arte. Roland Barthes avrebbe adorato analizzare questa tensione tra il reale e il simulato, tra il significante e il significato pittorico. È come se ogni quadro fosse una decostruzione vivente dei nostri presupposti su cosa debba essere un dipinto.

Il fatto che abbia aspettato di essere assolutamente pronto prima di mostrare il suo lavoro al mondo nel 2016 non è un dettaglio aneddotico. Nella nostra epoca di esposizione permanente e gratificazione istantanea, questa pazienza monastica è un atto di resistenza culturale. Quando finalmente espose le sue opere alla galleria Kuguru, vicino alla stazione di Yamagata, fu come se una bomba silenziosa fosse esplosa nel mondo dell’arte giapponese.

Devo confessarvi una cosa: la prima volta che ho visto le sue opere in fotografia, ho pensato “un altro artista che gioca con la pittura spessa”. Che errore monumentale! È esattamente la trappola in cui vuole farci cadere. Ogni quadro è una lezione di umiltà che ci ricorda che le nostre prime impressioni sono spesso sbagliate. È un calcio metafisico nel formicaio delle nostre certezze estetiche.

Il suo lavoro attuale sui fiori spinge ancora più avanti questa esplorazione della realtà e dell’illusione. Trasforma un soggetto tradizionale in un’esperienza visiva che sfida ogni facile categorizzazione. Questi fiori non sono rappresentazioni botaniche, ma fantasmi pittorici che esistono in uno spazio tra astrazione e figurazione, tra presenza e assenza.

Se pensate che quello che fa Takeda sia semplice, provate a riprodurlo. Fallirete miseramente. Non si tratta solo di tecnica pura, ma di visione. Ha creato un linguaggio pittorico unico che parla contemporaneamente della storia della pittura e del nostro presente digitale saturo di immagini. È un’impresa intellettuale e artistica che ridefinisce cosa può essere la pittura nel XXI secolo.

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Riferimento/i

Teppei TAKEDA (1978)
Nome: Teppei
Cognome: TAKEDA
Altri nome/i:

  • 武田 哲平 (Giapponese)

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Giappone

Età: 47 anni (2025)

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