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Tunga: L’alchimista che trasformava la materia

Pubblicato il: 28 Gennaio 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 7 minuti

Nelle sue installazioni monumentali, Tunga orchestrava metamorfosi dove piombo, vetro, capelli e cristalli diventavano gli ingredienti di una ricetta mistica. Le sue opere non sono illustrazioni di teorie scientifiche, ma esplorazioni poetiche della materia.

Ascoltatemi bene, banda di snob. Antonio José de Barros Carvalho e Mello Mourão, alias Tunga (1952-2016), era molto più di un semplice scultore brasiliano di moda. Questo artista, cresciuto nell’effervescenza intellettuale degli anni ’70, immerso nella poesia del padre Gerardo Melo Mourão e nella resistenza politica di sua madre attivista sociale, ha reinventato il nostro rapporto con la materia e lo spazio con un’audacia che ancora oggi fa tremare le pareti asettiche dei nostri musei contemporanei.

Cominciamo dalla sua fascinazione per l’alchimia e la trasformazione della materia, che non è un semplice effetto di stile ma il fondamento stesso della sua pratica artistica. Quando Tunga assembla piombo, vetro, capelli e cristalli nelle sue installazioni monumentali, non crea soltanto sculture, ma orchestra metamorfosi degne dei più grandi trattati ermetici. La sua installazione magistrale “À la Lumière des Deux Mondes” al Louvre del 2005, prima opera contemporanea a investire questo tempio dell’arte classica, non era una semplice provocazione istituzionale. Rappresentava il culmine della sua ricerca alchemica, trasformando la piramide di vetro in un crogiuolo dove i materiali più eterogenei si fondevano in una sintesi improbabile. Questo approccio risuona con il pensiero di Gaston Bachelard in “La formazione dello spirito scientifico”, dove il filosofo esplora la transizione tra il pensiero alchemico e la razionalità scientifica. Come Bachelard, Tunga comprende che l’immaginazione materiale precede e nutre la conoscenza razionale. Le sue opere non sono illustrazioni di teorie scientifiche, ma laboratori sperimentali dove la materia si libera dalle costrizioni della fisica classica per esplorare potenzialità inedite.

Prendiamo ad esempio la sua serie “La Voie Humide” (2011-2014), titolo che fa esplicito riferimento alla tradizione alchemica. In queste opere, Tunga non si limita a giustapporre materiali, ma crea reazioni a catena in cui ogni elemento influenza e trasforma gli altri. I tripodi in acciaio che sostengono le sue sculture non sono semplici supporti, ma conduttori di energia che mettono in relazione diversi stati della materia. I vasi in terracotta pieni di cristalli e spugne diventano matrici in cui si operano trasmutazioni simboliche. Questo approccio rivela una comprensione profonda del pensiero alchemico, non come una pseudoscienza ingenua, ma come un sistema complesso di trasformazione dove materia e spirito sono indissolubilmente legati.

Questa dimensione trasformativa assume un’importanza particolare nelle sue performance, in particolare in “Xifópagas Capilares” (1984), dove due gemelle sono unite dai loro capelli in una coreografia enigmatica. Quest’opera emblematica non si limita a esplorare i confini tra il corpo individuale e il corpo collettivo, ma incarna letteralmente la teoria del “corpo senza organi” sviluppata da Antonin Artaud e ripresa successivamente da Gilles Deleuze. In questa prospettiva filosofica rivoluzionaria, il corpo non è più concepito come una macchina biologica con funzioni predeterminate, ma come un campo di intensità e divenire. I corpi intrecciati delle performer di Tunga diventano vettori di trasformazione, zone di sperimentazione dove i confini tra il sé e l’altro, l’organico e l’inorganico, si dissolvono in una danza cosmica che sfida le nostre categorie abituali di pensiero.

Questa performance non è un caso isolato ma si inserisce in un’esplorazione sistematica delle possibilità del corpo come medium artistico. In “Inside Out, Upside Down” (1997), presentata alla documenta X, Tunga spinge oltre questa riflessione creando un’installazione-performance dove uomini in abito, portando valigie, seguono traiettorie precise ispirate agli acceleratori di particelle. Quando i loro cammini si incrociano, il contenuto delle loro valigie, frammenti di corpi in gelatina, si sparge sul pavimento in una coreografia meticolosamente orchestrata. Quest’opera stabilisce un parallelo straordinario tra la fisica quantistica e il teatro della vita quotidiana, suggerendo che la nostra realtà più banale è attraversata da forze misteriose che solo l’arte può rivelare.

Tunga crea opere che funzionano come sistemi continui, loop infiniti dove ogni elemento rimanda a un altro in una catena di significati senza fine. La sua installazione-film “Ão” (1981) ne è l’esempio perfetto. Proiettata nel tunnel Dois Irmãos a Rio de Janeiro, quest’opera trasforma lo spazio architettonico in un toro matematico, accompagnato da un loop sonoro di “Night and Day” di Cole Porter cantata da Frank Sinatra. È puro Tunga: una fusione vertiginosa tra geometria non euclidea, architettura urbana e cultura popolare. Non si limita a giustapporre questi riferimenti, li fa letteralmente copulare come parole in una poesia surrealista, creando ibridi concettuali che sfidano la nostra comprensione razionale stimolando al contempo la nostra immaginazione.

Questo approccio sistemico si ritrova anche nel suo rapporto unico con il disegno. Contrariamente a molti artisti contemporanei che usano il disegno come semplice strumento preparatorio, Tunga lo rende un elemento centrale della sua pratica. I suoi disegni, in particolare quelli della serie “Vê-Nus” (1976-1977), non sono schizzi ma opere autonome dove le linee sembrano animate da una vita propria. Le forme biomorfiche che emergono da questi tratti evocano talvolta organi misteriosi, talvolta costellazioni immaginarie, creando un universo visivo dove il microscopico e il macroscopico si incontrano in una danza cosmica.

La sua prima mostra personale al Museu de Arte Moderna di Rio de Janeiro nel 1974, intitolata in modo provocatorio “Museu da Masturbação Infantil”, rivelava già questo approccio singolare al disegno. Le forme astratte e figurative presentate non cercavano di rappresentare la realtà ma di esplorare le tensioni erotiche insite nell’atto stesso di tracciare linee sulla carta. Questa mostra precoce annunciava già i temi che avrebbero ossessionato Tunga per tutta la sua carriera: la trasformazione della materia, la fusione degli opposti, l’esplorazione dei confini tra il razionale e l’irrazionale.

Questa ossessione per la metamorfosi non è un semplice capriccio estetico ma si iscrive in una profonda tradizione filosofica che risale a Eraclito e al suo concetto di “panta rhei” (tutto scorre). Ma laddove il filosofo greco vedeva un principio cosmologico universale, Tunga vi trova un principio creativo che applica a tutti gli aspetti della sua pratica artistica. Le sue opere non rappresentano il cambiamento, esse sono il cambiamento in azione. Ogni installazione, ogni performance diventa un microcosmo dove la materia, lo spazio e il tempo si piegano alle leggi di una fisica alternativa, una fisica dell’immaginario che ci fa intravedere possibilità insospettate dell’esistenza.

Questo approccio raggiunge il suo apice nei due padiglioni a lui dedicati all’Instituto Inhotim, un vero museo a cielo aperto immerso nella giungla brasiliana. Questi spazi non sono semplicemente luoghi di esposizione, ma ambienti immersivi dove le opere di Tunga dialogano tra loro e con il loro ambiente naturale. In “True Rouge” (1997), per esempio, reti piene di bottiglie di vetro, perle e tessuti rossi creano un’installazione sospesa che evoca al contempo un’esperienza scientifica e un rito mistico. L’opera sembra pulsare di vita propria, come se fosse in perpetua metamorfosi, sfidando la nostra percezione abituale del tempo e dello spazio.

Il suo uso dei materiali è altrettanto rivoluzionario. Tunga non si limita all’uso di materiali nobili o tradizionali, ma esplora le possibilità espressive di sostanze spesso trascurate dall’arte contemporanea: gelatina, trucco, gomma arabica, spugne naturali. In “Cooking Crystals” (2010), utilizza persino cristalli in formazione come elementi scultorei, creando un’opera che continua letteralmente a crescere e trasformarsi dopo l’installazione. Questo approccio echeggia le teorie del filosofo Gilbert Simondon sull’individuazione, dove la forma non è imposta alla materia dall’esterno, ma emerge dalle potenzialità insite nei materiali stessi.

Ciò che rende l’opera di Tunga così pertinente oggi è che essa trascende le tradizionali dicotomie tra natura e cultura, scienza e magia, ragione e immaginazione. Mentre il nostro mondo è ossessionato dalle categorie rigide e dai confini impermeabili, la sua arte ci ricorda che la realtà è più fluida, più misteriosa di quanto i nostri sistemi di classificazione suggeriscano. Non cerca di risolvere queste contraddizioni, ma di farle proliferare, creando uno spazio in cui l’incertezza diventa una forza creativa piuttosto che una debolezza da superare.

La sua influenza sull’arte contemporanea brasiliana e internazionale è considerevole, anche se non sempre riconosciuta a giusto valore. Artisti come Ernesto Neto e Jac Leirner hanno riconosciuto il loro debito verso la sua visione radicale dell’arte come processo di trasformazione. Ma l’eredità di Tunga non si limita alla sua influenza stilistica o concettuale. Risiede nella sua capacità di farci vedere il mondo in modo diverso, ricordandoci che la realtà che diamo per scontata è solo una configurazione temporanea in un universo in perpetua metamorfosi.

Visitando oggi le installazioni permanenti di Tunga all’Instituto Inhotim, si resta colpiti dalla loro attualità. In un mondo alle prese con crisi ecologiche, sociali ed epistemologiche senza precedenti, la sua visione di un’arte capace di trasformare non solo la materia ma anche la nostra percezione del reale sembra più pertinente che mai. Le sue opere ci ricordano che la vera creazione artistica non sta nella riproduzione del conosciuto ma nell’esplorazione dell’ignoto, non nella conferma delle nostre certezze ma nella loro radicale messa in discussione.

E se pensate che stia esagerando con l’iperbole lirica, vi sfido a passare un’ora davanti alla sua installazione “True Rouge” a Inhotim. Ne uscirete o completamente trasformati o totalmente persi. In entrambi i casi, Tunga avrà vinto la sua scommessa: farvi dubitare delle vostre certezze più radicate sulla natura dell’arte e della realtà stessa. Perché forse è proprio lì che risiede il suo più grande traguardo: aver creato un’arte che non si limita a rappresentare il mondo ma che lo re-inventa, un tiro di dado che abolisce le nostre categorie abituali per aprire prospettive vertiginose su ciò che l’arte può essere.

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Riferimento/i

TUNGA (1952-2016)
Nome:
Cognome: TUNGA
Altri nome/i:

  • Antonio José de Barros Carvalho et Mello Mourão

Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Brasile

Età: 64 anni (2016)

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