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Tunji Adeniyi-Jones contro il velo razziale

Pubblicato il: 20 Ottobre 2025

Di: Hervé Lancelin

Categoria: Critica d’arte

Tempo di lettura: 12 minuti

Tunji Adeniyi-Jones costruisce spazi pittorici dove il cubismo incontra i bronzi del Benin, dove le silhouette del Rinascimento di Harlem si affiancano alla mitologia yoruba. Le sue figure androgine dai colori saturi abitano una doppia coscienza, rifiutando la fissità dello sguardo coloniale per celebrare l’identità diasporica in tutta la sua fluidità.

Ascoltatemi bene, banda di snob: Tunji Adeniyi-Jones dipinge come se ogni pennellata fosse un atto di resistenza contro l’amnesia collettiva. Nato a Londra nel 1992, formato a Oxford e poi a Yale, questo pittore britannico-nigeriano con base a Brooklyn non si limita a colorare tele. Riscrive le gerarchie visive che hanno rinchiuso l’arte africana nelle vetrine polverose del primitivismo per troppo tempo. Le sue opere sono spazi di collisione dove il Rinascimento di Harlem incontra i bronzi del Benin, dove il cubismo dialoga con le cerimonie yoruba, dove le silhouette androgine danzano tra astrazione e figurazione senza chiedere il permesso a nessuno.

Il vocabolario visivo di Adeniyi-Jones si radica in ciò che lui stesso chiama “l’aggiunta culturale, la combinazione e la collaborazione”. Questa formula struttura l’intero suo approccio. I suoi personaggi emergono da sfondi astratti saturi di motivi vegetali stilizzati. I corpi sinuosi, resi in campiture di colore unico, si frammentano e si dissolvono in forme organiche che si incastrano. I rossi, gli arancioni e i gialli si fondono in composizioni che evocano i motivi dei tessuti wax olandesi, essi stessi prodotti di scambi interculturali complessi. In alcune opere, una palette scura di indaco e viola evoca la notte, le silhouette disegnate in toni chiari conferendo loro un aspetto spettrale.

La doppia coscienza e lo sguardo che attraversa il velo

È qui che il pensiero di W.E.B. Du Bois diventa indispensabile. In The Souls of Black Folk pubblicato nel 1903, Du Bois introdusse il concetto di “doppia coscienza” per descrivere l’esperienza singolare degli afroamericani costretti a vedersi simultaneamente attraverso i propri occhi e attraverso lo sguardo razzializzato della società bianca dominante [1]. Questa dualità, Du Bois la definiva come “quella strana sensazione di essere sempre al contempo visti attraverso gli occhi di un altro”. Il filosofo descriveva il sentimento di “duplicità” provato dai neri americani, lacerati tra la loro identità americana e la loro identità nera, due anime in conflitto in un solo corpo.

Adeniyi-Jones opera visivamente ciò che Du Bois teorizzava filosoficamente. Le sue figure dagli occhi a mandorla, aggiunti per ultime su ogni tela, fissano direttamente lo spettatore. Questi sguardi non sono mai passivi. I corpi che dipinge occupano lo spazio, lo trattengono, si muovono attraverso di esso. Li guardiamo, certo, ma loro ci guardano anche. Per l’artista, questo scambio parla precisamente della doppia coscienza di Du Bois: esistere contemporaneamente nella propria identità nera e nello sguardo alterante degli altri. È in questo spazio carico, tra autonomia e aspettative proiettate, che Adeniyi-Jones celebra la natura multiforme dell’identità.

Le opere recenti portano questa esplorazione ancora più avanti. Nella sua serie “Immersions” presentata a Seul nel 2025, l’artista abbandona gli ancoraggi gravitazionali tradizionali. Ruotando la tela mentre lavora, crea spazi senza una linea d’orizzonte definita. In alcune tele, il corpo scompare completamente, dissolto nel piano pittorico. L’artista spiega: “Mi interessa rappresentare la riverberazione e la frequenza cromatica che questi personaggi audaci lasciano dietro di sé”. Questa dissoluzione non è un’annichilazione ma una liberazione. Le figure sfuggono alla fissità dello sguardo alterante che Du Bois chiamava “il velo”.

La doppia coscienza di Du Bois non era solo un peso. Era anche un dono, una “seconda vista” che permetteva di vedere entrambi i lati del velo razziale. Adeniyi-Jones sfrutta questa seconda vista creando opere che esistono simultaneamente in più tradizioni visive. Le sue silhouette evocano Aaron Douglas e il Rinascimento di Harlem incorporando allo stesso tempo le linee fluide ispirate dalle pratiche yoruba di pittura del corpo e di scarnificazione. Le sue composizioni piatte richiamano il cubismo europeo e i papiers découpés di Matisse pur radicandosi nei racconti dell’Africa occidentale. Questa molteplicità è una strategia deliberata per creare, come dice l’artista, “una sorta di oscurità diversa”, uno spazio liminale dove la figura può esistere come simbolo, divinità, creatura mitica.

Du Bois affermava che la doppia coscienza creava “due desideri irriconciliabili, due ideali in guerra in un corpo scuro”. Adeniyi-Jones rifiuta questa irriducibilità. Le sue opere propongono una sintesi, non cancellando le tensioni ma abitando pienamente queste ultime. Le figure androgine che dipinge incarnano questa fluidità. Rifiutando di assegnare un genere fisso ai suoi personaggi, l’artista estende la logica della doppia coscienza oltre la razza. Suggerisce che tutte le identità sono multiple, frammentate, in movimento. La fissità è una violenza imposta dall’esterno.

Aaron Douglas e la silhouette come strategia di molteplicità

Adeniyi-Jones cita esplicitamente Aaron Douglas come influenza maggiore, soprattutto nella sua serie di litografie Midnight Voices creata nel 2022 [2]. Douglas, figura centrale del Rinascimento di Harlem, aveva sviluppato uno stile caratteristico usando silhouette eleganti e ritmiche per rappresentare l’esperienza afroamericana. Le sue illustrazioni per The New Negro di Alain Locke nel 1925 stabilirono un linguaggio visivo che fondeva il cubismo europeo, l’art déco e le forme stilizzate dell’arte africana antica.

Douglas usava la silhouette come dispositivo egualitario. Riducendo le sue figure a profili scuri, creava immagini universali leggibili da chiunque. Questa semplificazione portava con sé un carico politico considerevole. La silhouette rifiutava i dettagli fisionomici che avrebbero permesso di razzializzare in modo riduttivo. Offriva quella che Douglas chiamava un'”espressione di molteplicità”. Una silhouette poteva essere chiunque. Resisteva agli stereotipi visivi che saturavano l’immaginario razzista dell’epoca.

Adeniyi-Jones comprende questa lezione e la adatta per il XXI secolo. Nelle sue litografie riprende la tecnica di Douglas delle silhouette nere su sfondi astratti. Ma mentre Douglas usava principalmente bianco e nero con accenti di colore, Adeniyi-Jones inonda le sue tele di blu violacei, rossi aranciati, fucsia brillanti. Questa saturazione cromatica situa fermamente le sue opere nel presente riconoscendo però il debito verso il passato.

Douglas aveva creato le sue opere in un contesto di segregazione Jim Crow, in una nazione dove il linciaggio degli Afroamericani rimaneva una pratica diffusa. Le sue silhouette offrivano una dignità visiva agli Afroamericani in un momento in cui la loro umanità veniva costantemente negata. Adeniyi-Jones lavora in un contesto diverso ma non meno carico. Dopo i movimenti Black Lives Matter, dopo decenni di lotta per la visibilità nelle istituzioni artistiche bianche, crea opere che si rifiutano di essere ridotte a semplici documenti sociologici. I suoi dipinti esistono prima di tutto come dipinti, come esplorazioni formali del colore, della composizione, dello spazio.

Il riferimento a Douglas permette anche ad Adeniyi-Jones di inserirsi in una genealogia specificamente afro-atlantica. Citando un artista del Rinascimento di Harlem, traccia una linea che collega Londra, dove è nato, Lagos, da cui proviene la sua famiglia yoruba, Dakar dove ha risieduto, e New York dove vive e lavora. Questa circolazione transatlantica non è una dispersione ma un accumulo. Ogni luogo aggiunge uno strato, un’influenza, una prospettiva.

L’eredità letteraria e la resistenza narrativa

Adeniyi-Jones situa esplicitamente il suo lavoro sulla scia della letteratura postcoloniale nigeriana. Ha dichiarato: “Ogni mito greco o favola memorabile che conosciamo ha un equivalente africano altrettanto potente, ma a causa di concetti riduttivi come il primitivismo, si vede raramente il mondo espansivo dell’Africa occidentale antica rappresentato fuori dal continente. Questi paralleli culturali sono stati dettagliati in particolare attraverso la letteratura di Chinua Achebe, Wole Soyinka e Amos Tutuola, e voglio che i miei dipinti servano come accompagnamento visivo a questa linea” [3].

Questo riferimento ai giganti della letteratura nigeriana non è casuale. Achebe pubblicò Things Fall Apart nel 1958, romanzo fondamentale che raccontava l’impatto del colonialismo britannico sulle società igbo della Nigeria da una prospettiva interna, africana. Prima di Achebe, la letteratura coloniale britannica rappresentava gli africani come selvaggi senza storia né cultura complessa. Achebe smontò metodicamente questi stereotipi mostrando la ricchezza delle strutture sociali, religiose e filosofiche precoloniali.

Soyinka, primo africano a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura nel 1986, portò questa decolonizzazione narrativa ancora più avanti. Drammaturgo, poeta, romanziere, creò un’opera che fondeva le tradizioni yoruba con le forme letterarie occidentali. Amos Tutuola pubblicò The Palm-Wine Drinkard nel 1952, racconto fantasioso narrato in pidgin nigeriano, lingua creola a base lessicale inglese, che mescolava folclore yoruba, racconto fantastico e modernismo letterario. Il suo stile rilassato, il suo rifiuto delle convenzioni letterarie europee scandalizzarono alcuni critici ma influenzarono profondamente un’intera generazione di scrittori africani.

Adeniyi-Jones eredita direttamente questa tradizione di resistenza narrativa. I suoi dipinti realizzano visivamente ciò che Achebe, Soyinka e Tutuola realizzavano letterariamente: affermano l’esistenza e la legittimità di racconti africani che non hanno bisogno della validazione occidentale per esistere. Quando rappresenta oggetti singolari come uno sgabello reale Asante, una maschera da performance dell’Africa occidentale, una testa Ife o un bronzo del Benin come punti di partenza per i suoi dipinti, Adeniyi-Jones compie esattamente lo stesso gesto che Achebe fece raccontando le cerimonie igbo.

L’artista ha anche menzionato che il suo lavoro recente consisteva in gran parte di “dipinti del lutto” creati dopo la morte di suo padre nel novembre 2020. Spiegava: “Tutto questo lavoro che ho fatto l’anno scorso, sono dipinti del lutto. Li faccio per sentirmi meglio, nel cuore di assolutamente tutto” [4]. Questa brutalità franca sulla funzione terapeutica della sua arte risuona con la tradizione letteraria nigeriana che rifiuta di edulcorare la sofferenza ma la trasforma in materia estetica.

La connessione con Achebe, Soyinka e Tutuola stabilisce che Adeniyi-Jones lavora in una tradizione di resistenza intellettuale. Questi scrittori costruivano un contro-racconto di fronte alle storie coloniali che avevano cancellato, deformato o deriso le culture africane. Adeniyi-Jones prosegue questo progetto nel campo visivo. I suoi dipinti reclamano lo spazio per i racconti africani nei musei e nelle gallerie occidentali che li hanno così a lungo esclusi.

È significativo che Adeniyi-Jones abbia studiato a Oxford e Yale, due bastioni storici del privilegio bianco. Questa formazione nelle istituzioni coloniali gli ha dato accesso ai canoni artistici europei. Ma invece di essere assimilato da queste tradizioni, le ha cannibalizzate, rivoltandole contro se stesse. Questa strategia ricorda quella di Achebe che scriveva in inglese, la lingua del colonizzatore, ma la piegava per raccontare storie che smantellavano le giustificazioni del colonialismo.

L’ibridità come progetto estetico e politico

Adeniyi-Jones crea opere che si rifiutano ostinatamente di essere ridotte a una sola lettura. Rifiutando di scegliere tra le sue molteplici influenze, crea spazi pittorici autenticamente ibridi. Non una miscela omogenea dove tutto si dissolve, ma un assemblaggio in cui ogni elemento resta identificabile pur trasformandosi al contatto con gli altri.

Le figure di Adeniyi-Jones danzano, si tuffano, ruotano attraverso lo spazio della tela. Non sono mai immobili, mai congelate. Questa cinetica perpetua incarna l’esperienza diasporica stessa, segnata dallo spostamento, dalla migrazione, dal viaggio costante tra mondi molteplici. Adeniyi-Jones non dipinge ritratti di individui specifici. Dipinge l’esperienza stessa del movimento, della trasformazione, del divenire.

Gli occhi a mandorla delle sue figure ci fissano. Ci ricordano che siamo osservati tanto quanto osserviamo. Questa reciprocità dello sguardo smantella la dinamica coloniale tradizionale in cui i corpi neri erano offerti alla contemplazione voyeuristica dello sguardo bianco senza mai poter restituire tale sguardo. Qui, le figure reclamano la loro soggettività.

Il lavoro di Adeniyi-Jones arriva in un momento cruciale. Dopo decenni di lotte, gli artisti neri ottengono finalmente una visibilità significativa nelle istituzioni artistiche occidentali. Ma questo riconoscimento tardivo porta con sé le proprie insidie. Il mercato dell’arte ha una capacità infinita di assorbire e neutralizzare la critica. I suoi dipinti si vendono a sei cifre nel mercato secondario. Come mantenere un progetto di resistenza culturale quando si diventa a loro volta una merce di lusso?

L’artista non pretende di risolvere questa contraddizione. Ma le sue opere mantengono la loro carica sovversiva proprio perché si rifiutano di essere facilmente consumabili. Esigono dallo spettatore che compia il lavoro di comprendere i riferimenti, di cogliere le connessioni, di riflettere sulle implicazioni. Resistono, dolcemente ma fermamente, alle letture pigre che cercherebbero di ridurle a semplici immagini esotiche.

La bellezza dei dipinti di Adeniyi-Jones non è una concessione alla decorazione. È un’arma. Creando opere visivamente seducenti, attira lo spettatore. Una volta catturato dai colori e dalle forme, le opere iniziano a lavorare su di lui in modi più sottili. Le domande sull’identità, sullo sguardo, sulla storia, sul potere si insinuano progressivamente. La bellezza funziona come un cavallo di Troia per idee che altrimenti potrebbero essere rifiutate.

Adeniyi-Jones appartiene a una generazione di artisti neri che non accettano più i termini del dibattito così come sono stati stabiliti dalle istituzioni bianche. Non chiedono il permesso di esistere. Creano con una fiducia che assume che le loro referenze culturali, le loro storie, le loro preoccupazioni siano al centro, non alla periferia. Questa postura decoloniale non si proclama rumorosamente. Si incarna in ogni decisione formale, in ogni scelta cromatica, in ogni composizione.

I dipinti di Adeniyi-Jones sono profondamente contemporanei pur essendo radicati in tradizioni millenarie. Guardano simultaneamente al passato e al futuro. Questa temporalità complessa, non lineare, riflette le concezioni africane del tempo che non sono mai state puramente cronologiche. Il passato, il presente e il futuro coesistono, si interpenetrono, si modificano reciprocamente. Adeniyi-Jones dipinge questa coesistenza temporale sovrapponendo riferimenti a epoche diverse, luoghi diversi, tradizioni diverse in un unico spazio pittorico.

Le sue opere costituiscono infine un manifesto visivo per ciò che potrebbe essere l’arte globale nel XXI secolo: non un universalismo che cancella le differenze sotto pretesto di unità, ma un cosmopolitismo che celebra la molteplicità, che insiste affinché tutte le tradizioni possano dialogare su un piano di parità, che rifiuta le gerarchie imposte da secoli di dominazione coloniale. Nei quadri di Adeniyi-Jones, Aaron Douglas dialoga con i bronzi del Benin, Matisse con i tessuti wax, il jazz con la mitologia yoruba. Nessuno domina.

È questa visione di un mondo in cui l’addizione culturale sostituisce la sottrazione coloniale che rende il lavoro di Adeniyi-Jones essenziale oggi. In un momento in cui le identità nazionali si irrigidiscono, in cui le frontiere si chiudono, in cui la ritirata identitaria avanza, i suoi dipinti propongono un’alternativa generosa. Mostrano che si può essere fedeli alle proprie radici pur aprendosi ad altre influenze. Che si può onorare il proprio patrimonio senza fetishizzarlo. Che si può creare qualcosa di nuovo senza tradire il passato.

Le figure androgine di Adeniyi-Jones danzano in spazi impossibili, sfidando la gravità, le categorie e le nostre aspettative. Incarnano la libertà di diventare, di trasformarsi e di rifiutare le assegnazioni identitarie rigide. In un mondo che cerca costantemente di rinchiuderci in caselle, queste figure fluide e sfuggenti offrono una visione liberatoria di ciò che potrebbe essere l’identità umana liberata dalle costrizioni che la soffocano.

Tunji Adeniyi-Jones non pretende di avere tutte le risposte. I suoi dipinti non risolvono le contraddizioni della condizione diasporica. Ma creano spazi in cui queste tensioni possono coesistere in modo produttivo, dove le contraddizioni generano bellezza anziché paralisi, dove la molteplicità diventa una forza piuttosto che una debolezza. Ecco perché il suo lavoro è importante. Non perché offre soluzioni facili o narrazioni rassicuranti. Ma perché ci mostra com’è il duro lavoro di vivere pienamente nella complessità, di rifiutare le semplificazioni consolanti, di abbracciare l’incertezza creativa che arriva quando si accetta di essere più cose contemporaneamente. Le sue tele sono spazi di libertà dove i corpi neri possono esistere al di fuori delle categorie imposte, dove possono ballare, tuffarsi, dissolversi e riapparire secondo i propri termini. È una forma di liberazione dipinta con colori vibranti su tele che si rifiutano di restare tranquille.


  1. W.E.B. Du Bois, The Souls of Black Folk, A.C. McClurg & Co., 1903.
  2. White Cube, “Tunji Adeniyi-Jones: Immersions”, comunicato stampa della mostra a Seoul, gennaio 2025.
  3. White Cube, biografia dell’artista Tunji Adeniyi-Jones, whitecube.com, consultato a ottobre 2025.
  4. Brian Keith Jackson, “Tunji Adeniyi-Jones: the art of healing”, Art Basel Miami Beach 2021 magazine, 2021.
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Riferimento/i

Tunji ADENIYI-JONES (1992)
Nome: Tunji
Cognome: ADENIYI-JONES
Genere: Maschio
Nazionalità:

  • Regno Unito
  • Nigeria

Età: 33 anni (2025)

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